Prendo lo spunto da un articolo comparso l'anno scorso sulla rivista PLOS Biology, a firma di Florian Markowetz, dell'Università di Cambridge, in Inghilterra. Il titolo originale dell'articolo è "Tutta la biologia è biologia computazionale": mi è piaciuto perché l'autore è partito da uno spunto personale per parlare di come la biologia computazionale stia rivoluzionando l'intero mondo della biologia. O forse semplicemente di come la biologia stia arrivando a un livello di maturazione che ha già interessato altre discipline scientifiche. Lo spunto di partenza di Markowetz è il suo colloquio di lavoro che lo ha portato poi a ricoprire il ruolo che attualmente riveste presso il Centro di Ricerca sul Cancro dell'Università di Cambridge. Markowetz, matematico di formazione e con un'attività di ricerca prevalente in apprendimento automatico (il machine learning di cui si parla tanto), si trovava a fronteggiare una commissione di biologi che, giustamente, si chiedevano quale fosse l'utilità di assumere un matematico in un Centro di Ricerca sul Cancro. Proveniva già da esperienze negative in tal senso, in cui la commissione aveva ritenuto inutile puntare su quella che avevano definito "un'unità di servizio matematico", per qualcuno che mostrava "una mancanza di comprensione approfondita della biologia" e la cui carriera scientifica era stata "fondata sulle collaborazioni" (con i biologi, sottinteso), quasi a voler denigrare il suo apporto.
Nella comunità biomedica addirittura è stata usata l'espressione "parassiti della ricerca" per definire i biologi computazionali che fanno uso dei dati sperimentali già pubblicati sulle riviste per cercare di dar loro un senso e interpretarli con i loro modelli.