Mentre siamo impegnati ad evitare gli assembramenti per vedere le partite degli europei di calcio, o andarceli a cercare secondo i gusti o le convinzioni (pare che il virus non si diffonda quando gioca l'Italia), vorrei spostare l'attenzione sugli assembramenti all'interno delle cellule. Sì, perché soprattutto in biofisica computazionale studiamo le proteine (o altre macromolecole) in uno splendido isolamento, neanche fossimo l'impero coloniale inglese di fine '800. E non sto parlando della presenza indispensabile degli ioni (le proteine in acqua pura perdono la loro struttura funzionale) o di quella importantissima dei lipidi quando studiamo proteine di membrana, ma del fatto che l'ambiente cellulare è molto affollato e dunque le proteine devono districarsi tra incontri essenziali per dare un senso alla loro stessa esistenza e incontri indesiderati, un po' come facciamo noi nella vita... o sulle spiagge in estate.
Ecco, volendo usare la metafora delle spiagge, potremmo dire che quello che noi studiamo è l'equivalente delle famose scatole di plexiglas in cui volevamo imbrigliarci la scorsa estate per evitare il contagio dal virus e al contempo goderci (si fa per dire) la spiaggia. Studiare il cosiddetto "protein crowding" è però davvero complicato: ne sento parlare da più di dieci anni, ma devo ammettere che spesso ho avuto la sensazione di quello che in inglese chiameremmo "wishful thinking", che in italiano pare si debba tradurre con pensiero illusorio, o pensiero di buon auspicio. Mi sono però imbattuto in un recentissimo e denso articolo affollato di equazioni sul Journal of Chemical Theory and Computation, che offre un nuovo paradigma e una nuova prospettiva in questa direzione.
