No, non sto parlando della celebre trasmissione degli anni '90 di Fabio Fazio, ma di un gruppo di ricerca dell'Università di Verona che ha da poco pubblicato un lavoro molto interessante dedicato a una proteina che lega il calcio, la calmodulina. Mi piace parlarne per vari motivi, ma il più importante di questi è la capacità di mettere insieme diverse tecniche, sperimentali e computazionali, per cercare di rispondere a domande di interesse biomedico legate, per giunta, a malattie rare. Se infatti risulta abbastanza facile ottenere finanziamenti per studiare malattie molto diffuse e, tra queste, in particolare le malattie tipiche dei paesi più ricchi del nostro martoriato pianeta, molto più complicato è ottenere fondi per studiare patologie che si presentano molto raramente nella popolazione. Queste malattie sono tuttavia molto importanti, non solo perché causano sofferenza ad altri esseri umani (e, di questi tempi, è sempre bene ricordare che dovremmo cercare di dedicare la nostra vita ad alleviare le sofferenze altrui, non a causarle), ma anche perché ci permettono di comprendere meccanismi che potrebbero presentarsi in forme molto simili in malattie meno rare di quelle da cui siamo partiti.