O almeno speriamo. Si tratta dei ragazzi e delle ragazze che hanno partecipato alla seconda edizione della Winter School "Physics of the Cell" che si è tenuta a Trento dal 16 al 27 gennaio. E' stata una grande emozione ricordare la prima edizione di questa scuola, esattamente 3 anni fa. Un'emozione perché la scuola si chiuse proprio il 31 gennaio 2020, la data divenuta poi tristemente famosa per la proclamazione dello stato di emergenza dovuto alla pandemia da Covid-19. Quest'anno speriamo di avere miglior sorte e di passarla liscia. Voglio dirlo subito: non ero proprio sicuro di volermi imbarcare una seconda volta in questa avventura, un po' perché ricordavo perfettamente quanto fosse stato faticoso mettere insieme un programma di lezioni incastrando le date e le disponibilità dei miei colleghi, un po' perché i 2 anni di didattica in remoto avevano alterato la mia percezione dell'utilità di andare in giro per il mondo o di far arrivare persone da varie parti del mondo per tenere un evento in presenza. Alla soglia dei 50 anni di vita ormai penso però di aver capito una cosa di me stesso: le mie paure sono inevitabili, ma la voglia di mettermi in gioco è sempre più forte. Soprattutto è forte il desiderio di creare esperienze e opportunità di incontro per gli studenti e le studentesse. Perché, come dico spesso, l'Università è un organismo complesso, ma io credo fermamente in questa Istituzione, ormai millenaria. Credo fermamente che il sapere sia sempre in grado di adattarsi alle sfide poste dalla società e lavorare per questa istituzione comporta per me il rischio di affrontare queste sfide. Quindi paura sì, è nella mia indole, non riesco ad evitarla, ma la paura non mi ferma: piuttosto metto in conto la figuraccia. In questo caso però sapevo di avere ottime risorse per disinnescare l'eventuale esito infausto.