Siamo ormai a fine anno e colgo l'occasione per scrivere qualcosa di più generale, del tipo: per chi si fosse sintonizzato in questo momento... uno dei motivi per cui mi sono avvicinato pian piano alla biofisica computazionale sicuramente è la mia innata, conclamata, incurabile e ormai cronica ipocondria, che mi ha portato a studiare bugiardini dei farmaci sin da quando ero bambino, naturalmente avvertendone tutti gli effetti collaterali. I farmaci mi hanno sempre atterrito e affascinato, a partire dai rimedi naturali. Avevo letto che già nell'antica Grecia (per cui ho sempre avuto un fascino particolare) utilizzavano la corteccia del salice, perché permetteva di abbassare la febbre. Mi è difficile immaginare come l'avessero scoperto, probabilmente con qualcuno addormentato in un tempio di Asclepios che ha sognato questo miracoloso rimedio. L'idea delle pozioni magiche da un lato attirava la mia curiosità di bambino e adolescente, dall'altro stimolava la cocciutaggine di voler capire "ma perché funzionano?" e soprattutto "ne possiamo trovare anche di migliori? Magari per curare le malattie che oggi riteniamo incurabili?". Un gran contributo mi era offerto dalla fantascienza: tra le prime serie televisive, ho amato molto i Visitors (V, the Visitors) nella serie originale degli anni '80, con tute arancioni e occhiali a goccia in linea con la moda del periodo. Ad un certo punto i misteriosi e fin troppo umani visitatori (prima ancora che si scoprisse la loro vera natura lucertoloide) regalavano all'umanità una fiala con la cura per il cancro: una miscela verde in una provetta. Quanta ingenuità. Tuttavia a quella ingenuità e alla mia ipocondria ho spesso ripensato quando mi sono avvicinato alla biofisica computazionale. Siamo il risultato della nostra adolescenza, no?