venerdì 11 maggio 2018

Cosa farò da grande? Il Biofisico Computazionale!



In quei tempi antichissimi in cui io frequentavo le scuole medie sulle cartine vi assicuro che non c'era il Limes dell'Impero Romano, ma comparivano ancora la Germania Est (o DDR) e la Yugoslavia. Incredibilmente però c'era già la televisione (a colori!!!) e una delle prime pubblicità tormentone cominciava con una domanda posta a una serie di bambini (che oggi saranno probabilmente già genitori): cosa farai da grande? E via con le risposte: il paracadutista, la ballerina, il pompiere, e grazie al cielo nessuno osava dire l'influencer o il tronista, ma neanche il biofisico computazionale! Dopo questa tenera carrellata, compariva una mamma che consigliava, qualunque fosse la scelta, di mangiare i famosi bastoncini di pesce per diventare grandi: tutta forza e niente spine, accompagnata dal mitico capitano qui nella foto. 
Per questo mese ho deciso quindi di ispirarmi a questo tormentone degli anni '80 per fornire alcuni consigli su come si diventa un biofisico computazionale ai giorni nostri: non vi preoccupate, i bastoncini di pesce potete mangiarli o meno, secondo i gusti o sostituirli con un'insalata di seitan, germogli di soia, curcuma e semi di zucca (anche se io consiglierei una sana pasta, aglio olio e peperoncino).

Premetto anzitutto che non è ancora molto chiaro cosa si intenda per biofisica computazionale: io stesso spesso uso questo termine (anche nel mio corso che ha questa denominazione) a indicare l'uso della fisica e delle simulazioni basate sulle leggi della fisica per lo studio delle strutture biomolecolari, ma in realtà l'esperienza (di insegnamento e ricerca, che devono sempre andare insieme) mi sta suggerendo che qualunque impiego della fisica computazionale per lo studio della biologia è in realtà biofisica computazionale. La comprensione dei meccanismi biomolecolari, lo studio delle strutture di proteine, membrane e acidi nucleici costituiscono quindi un campo importantissimo, forse anche il cosiddetto "core business" della biofisica computazionale, ma certamente non l'unico: anche i modelli che descrivono la cellula nel suo insieme (complicatissima) fanno parte della biofisica computazionale e spero, in futuro, di inserire anche questi modelli nel mio corso, chissà, almeno in via sperimentale. 
Al momento non c'è un corso di laurea in biofisica computazionale e alla fine di questo post dovrebbe essere abbastanza chiaro che la mia personale opinione è che questo sia un bene. Io stesso mi sono avvicinato a questa disciplina con un percorso tutto mio che è partito dalla meccanica statistica, materia che ho l'onore (e l'onere) di insegnare a Trento. La meccanica statistica si occupa di determinare il comportamento macroscopico della materia (sia in forma gassosa, liquida, solida, o vivente) a partire dai suoi costituenti microscopici e dalle leggi della meccanica, classica e quantistica. Il fatto che la materia sia composta da un grandissimo numero di costituenti (atomi, molecole o anche granuli) permette di adoperare la teoria della probabilità e le leggi della statistica, che diventano più precise proprio all'aumentare dei numeri in gioco (la cosiddetta legge dei grandi numeri).
La meccanica statistica è molto più vasta di quello che un qualunque corso universitario può lasciar anche solo immaginare: per intenderci, io ne insegno i fondamenti, ma il corso avanzato è comunque molto riduttivo rispetto ai campi di applicazione. In genere si fanno scelte, anche piuttosto dolorose, basate sugli interessi di ricerca del/della docente cui è affidato l'incarico o, nei casi migliori, dei gruppi di ricerca presenti nel dipartimento.
Ciò comporta che il corso di base abbia contenuti piuttosto standard, mentre quello avanzato può variare da sede a sede. Ritengo che, qualunque sia l'accezione che vogliamo dare alla biofisica computazionale, un corso introduttivo di meccanica statistica sia assolutamente indispensabile, e non solo per la mia esperienza personale, ma proprio per ciò di cui la biologia tratta: sarà sempre e comunque un gran numero di componenti.
Basandomi su questo assunto, sembrerebbe che per una carriera in biofisica computazionale la scelta debba ricadere assolutamente sul corso di laurea almeno triennale in fisica. In realtà non è propriamente così: è pur vero che la meccanica statistica rappresenta il fondamento teorico di base delle ricerche in biofisica computazionale. Tuttavia si tratta sempre di un campo di ricerca multidisciplinare, che è impossibile riunire in un'unica persona con un unico tipo di formazione. In altre parole, in biofisica computazionale non è proprio possibile lavorare in isolamento, ma nel modo più assoluto: dimenticatevi e cancellate dalla vostra mente l'idea dello scienziato pazzo rinchiuso nello scantinato che tira fuori l'invenzione geniale del secolo.
No, la biofisica computazionale richiede lavoro di squadra ed è essenziale che la squadra comprenda persone con capacità e formazione diverse accomunate da una mentalità molto aperta: non c'è spazio per alcun tipo di razzismo in un'impresa scientifica di questo tipo. Perché forse non è abbastanza chiaro, ma esiste anche un razzismo scientifico, di chi considera il proprio settore di ricerca o di studio più importante e fondamentale di quello altrui. Razzismo dei fisici nei confronti di altri fisici, dei fisici nei confronti dei chimici, degli ingegneri nei confronti degli architetti, dei biologi nei confronti dei biotecnologi e la lista è lunga...
In realtà in biofisica computazionale servono tutti: il fisico non può conoscere tutta la biologia, il biologo non può cavarsela impunemente con il formalismo matematico della fisica, entrambi non possono fare a meno della sensibilità del chimico per i costituenti fondamentali della materia, e tutti insieme hanno comunque bisogno dell'informatica per tradurre tutte le loro idee in previsioni che possano essere confrontate con gli esperimenti. E non finisce qui: un corso di laurea in matematica potrebbe comunque essere compatibile, se non desiderabile, ma anche un corso di laurea in statistica, per non parlare dei nuovi corsi sui big data (ne è stato aperto uno recentemente a Padova), dei corsi ibridi (come il nostro in Quantitative and Computational Biology a Trento).
Quindi, ragazzi e ragazze che state leggendo queste mie parole, il mio consiglio è sempre lo stesso che dò a chiunque mi chieda cosa studiare: studiate quello che vi piace, dedicatevi al corso di laurea triennale (in questo caso, scientifico) che vi sembra più vicino alle vostre inclinazioni, seguite sempre le vostre passioni e, se ritenete che la biofisica computazionale sia il vostro percorso, cercate di inserire, a livello della laurea magistrale, alcuni esami che vi permettano di dialogare anche con chi ha una formazione diversa: i piani di studio oggi consentono di inserire almeno due esami presi da un qualunque corso di laurea magistrale, quindi inserite pure esami di biochimica in un corso di laurea in fisica, o di meccanica statistica in un corso di biologia o di biofisica per informatica.
Il vostro obiettivo non deve essere però quello di diventare un fisico che sa tutto di biochimica, ma quello di un fisico che ha la giusta sensibilità per apprezzare il contributo che un biochimico può dare al suo gruppo di ricerca. E non vi preoccupate troppo (né voi, né i vostri genitori) delle opportunità di lavoro: in biofisica computazionale non mancano, ma in realtà non è questo il motivo per cui dovreste scegliere questo percorso.
La cosa più importante, nella vita, è trovare quello in cui si riesce meglio e, vi assicuro, non è difficile individuarlo. Ci sono delle naturali inclinazioni, quelle cose che ci riescono facili, incredibilmente facili: sono quelle che ci fanno sentire bene mentre le facciamo. Ecco, cercate quel percorso e ricordatevi sempre che, qualunque sia la vostra scelta, se avrete abbastanza tenacia e seguirete le vostre naturali inclinazioni, davvero nulla è impossibile. E, qualunque sia ciò che farete da grandi, non dimenticate mai che quello che fate deve contribuire a rendervi felici. Tutti, a parole, diciamo di voler essere felici: ma la felicità richiede impegno e vi sembrerà incredibile ma in questa mia mezza età forse la cosa più importante che ho compreso è che ci sono persone talmente pigre che, piuttosto che impegnarsi per essere felici, preferiscono essere infelici e lamentarsene, solo perché costa meno fatica. Che sia o no la biofisica computazionale ciò che farete da grandi, impegnatevi comunque per essere felici: ce lo meritiamo tutti!

Nessun commento:

Posta un commento