martedì 11 ottobre 2022

Giro, girotondo...

Come dimostra il mio google-coso qui accanto, sono tornato un po’ a girare per il mondo, uno degli aspetti più appaganti di questo lavoro in cui si decide “autonomamente” di continuare a studiare per tutta la vita, con l’idea di trasmettere ad altri e ad altre la stessa passione per lo studio e la stessa curiosità per il mondo. E proprio di questi miei viaggi ho deciso di parlare in questo post di ottobre, perché il mese appena trascorso è stato decisamente denso di spostamenti, la maggior parte per lavoro con un intermezzo di un weekend a Roma, un regalo che ho deciso di concedermi per ricaricarmi prima della partenza del semestre di fuoco, con il 90% del mio carico didattico concentrato tra settembre e dicembre e tantissime cose da sistemare. Avevo già parlato nell’ultimo post del ritorno in insolita collocazione post-pandemia del famoso workshop di Bressanone, giunto ormai alla settima edizione. Subito dopo ho partecipato, per la mia prima volta, al Congresso Annuale della Società di Biofisica Pura ed Applicata (SIBPA) che si è tenuto nella suggestiva San Miniato, in provincia di Pisa. Non sono socio della SIBPA da molto tempo (dal 2019): sono invece socio della Biophysical Society americana da molto più tempo, dal 2001. Il motivo per cui sono diventato prima socio della lontana Biophysical Society e poi della vicinissima SIBPA è indicativa dello stato della biofisica nei dipartimenti di fisica italiani.

Stavo infatti frequentando il dottorato e ricevevo costantemente inviti ad entrare sia nell’American Physical Society, che nella Biophysical Society. Da studente di dottorato, si trattava in realtà di una tessera associativa poco costosa, per cui mi ero detto “ma sì, perché no?” anche perché l’associazione mi permetteva di ricevere alcune riviste direttamente a casa, o meglio in ufficio, dato che vivevo praticamente lì, oltre che l’accesso al Biophysical Journal e la possibilità di presentare le mie ricerche ai congressi dell’American Biophysical Society. E in effetti, c’ero stato: nel 2000, a New Orleans, nel 2001 a Boston, nel 2008 a Long Beach e nel 2009 ancora a Boston. Quei mega-congressi mi erano stati molto utili per comprendere quale fosse la portata della biofisica nel mondo. I primi erano stati due congressi ai quali mi ero presentato da dottorando che cercava di capire in quale direzione muovere i suoi primi passi: o meglio, non sapevo neanche come muovermi, cercavo di ascoltare gli interventi che ritenevo più interessanti per capire se davvero potevo applicare tutte quelle teorie e quelle equazioni che avevo studiato ad un campo così affascinante come la Biofisica, di cui sapevo poco o meglio quasi nulla. E proprio in quei primi due congressi avevo compreso quanto fossero importanti, affascinanti e terribilmente difficili gli esperimenti in quel campo. I due congressi del 2008 e del 2009 erano invece stati una boccata d’ossigeno: ero ormai già ricercatore, ma in una sede universitaria e in un dipartimento che non valorizzava troppo (per usare un eufemismo) le attività in biofisica. Per carità, erano in buona compagnia: in Italia c’è tuttora chi davvero ritiene che esista una fisica di serie A e una di serie B, con la biofisica che si colloca in una serie C fatta di persone che hanno deciso di dedicare la propria vita a interpretare esperimenti che il più delle volte non riescono…
Per questo non avevo neanche mai guardato alle attività della SIBPA: semplicemente ne ignoravo l’esistenza, anche perché la mia sede universitaria contribuiva a farmi sentire abbastanza un alieno nel panorama della fisica, una specie di teorico mancato. Certo, dal punto di vista psicologico, sarebbe stato meglio cercare compagni di sventura, ma mi sentivo talmente isolato da non ritenere possibile un gancio all’interno del territorio italiano. Per giunta, quello che avevo studiato degli esperimenti in America e poi in Germania mi avevano convinto che ci volessero davvero molti fondi per condurre esperimenti in biofisica e tutto questo contrastava con la realtà italiana. Negli anni successivi al 2009, i fondi italiani sono diventati infatti ancora più scarsi e per me inaccessibili, per cui investivo quei pochi che riuscivo ad ottenere in conferenze con tematiche più circoscritte (come Bressanone o le conferenze del CECAM in Europa), ma meno costose. La situazione è decisamente cambiata da quando mi sono trasferito a Trento: l’idea di costruire insieme ai miei colleghi una “scuola” nell’ambito della biofisica mi ha portato a confrontarmi con le realtà italiane, scoprendo così quello che per me era sempre stato un sottobosco, ma solo per mia ignoranza. La biofisica in Italia esiste ed è rappresentata dalla SIBPA che ha esattamente, fortunata coincidenza, la mia stessa età.
Silvia Braslavsky parla dell'intreccio tra ricerca, 
vita privata e la terribile storia della dittatura
militare argentina
I suoi congressi si tengono ogni due anni: non ho potuto partecipare a quello del 2020 che si è tenuto online a causa della pandemia, ma ho deciso di partecipare a quello del 2022. Devo ammettere che di spunti interessanti ne ho colti parecchi: non solo sul piano scientifico, ma soprattutto su quello umano. Si tratta infatti di una comunità che è cresciuta molto negli anni, ma si è soprattutto rinnovata moltissimo. Tantissimi giovani studiosi e studiose, con una percentuale di rappresentanza femminile senza pari in altri campi della fisica: abbiamo eletto un nuovo direttivo formato da 6 donne e 2 uomini, senza nessuna imposizione di quote gender, semplicemente perché ci sono sembrate le persone più preparate e più impegnate a portare avanti i progetti della società. L’altro aspetto che ho trovato davvero molto interessante è stata la presenza di diverse linee di ricerca, senza la prevalenza di una sulle altre: la sezione di biofisica computazionale c’era, ma non era preponderante, ho potuto invece apprezzare (e molto, davvero) gli interventi sulle applicazioni della fisica nel campo della produzione di immagini a carattere biomedicale, così come gli interventi di illustri scienziati e scienziate che hanno parlato della loro vita e delle loro ricerche, in un intreccio che ho trovato appassionato e appassionante, come Silvia Braslavsky (in foto)  e Jean Paul Changeux.
I miei viaggi di settembre, però, prevedevano ancora il weekend romano con visita al MAXXI - Museo delle Arti Contemporanee del XXI secolo e, soprattutto, il viaggio a Rouen, in Normandia, per il kick-off meeting (ovvero l’incontro con cui dare il via) del progetto MIMOSA, un progetto finanziato dall’Unione Europea nell’ambito di un programma FET Open: l’acronimo FET sta per Future and Emerging Technologies, mentre l’aggettivo Open si riferisce all’apertura di questo tipo di programma verso avventure nell’ignoto. E in effetti con il progetto MIMOSA cercheremo di sfruttare alcune tecnologie emergenti come il laser con frequenze nel Terahertz per studiare la struttura delle proteine che non si riescono a portare sottoforma di cristalli o a risolvere in soluzione: le proteine vengono incastrate in una matrice formata da silice o silicati vari che, successivamente, viene colpita da fasci laser che la distruggono strato per strato. Nel farlo, però, è possibile ricostruire le coordinate dei singoli atomi che compongono la proteina, con una precisione davvero notevole (in teoria si può arrivare all’angstrom ovvero la decimilionesima parte del millimetro). 
In questo primo incontro di persona, è stato davvero molto istruttivo capire cosa studiano i vari gruppi coinvolti nel progetto e, soprattutto, confrontarsi per capire come venirsi incontro in modo da affrontare le problematiche relative. Per me è stato davvero entusiasmante constatare come alcune delle domande poste dai gruppi sperimentali fossero alla portata dei nostri metodi computazionali. In più, è stato molto bello poter girare per Rouen e visitare una città che non conoscevo e ho trovato molto bella, nonostante sia quasi sempre sotto una pioggerellina costante e leggera. Non è finita qui, perché quando questo post sarà pubblicato, mi troverò a Roma per un altro kick-off meeting, questa volta relativo al Centro Nazionale per il Calcolo ad Alte Prestazioni, finanziato nell’ambito del Piano Nazionale di Recupero e Resilienza, con l’infausto acronimo di PNRR. Quanto mi piacerebbe poter usare il nome dato dall’Unione Europea, ovvero Next Generation EU, perché in effetti di questo dovremmo preoccuparci: la prossima generazione di cittadini europei, sperando che gli eventi internazionali ci permettano di averne ancora qualcuna...

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