mercoledì 11 gennaio 2023

Non sappiamo "quanto" stiamo andando...

Per la mia generazione, questa caricatura di Corrado Guzzanti è immediatamente riconoscibile. Si tratta di “Quelo”, una specie di sacerdote di una nuova religione, una presa in giro di tutte quelle nuove spiritualità new-age che impazzavano negli anni ’90. Alla domanda del pubblico incuriosito “Da dove veniamo? Da un’altra galassia? Da Marte? Da Atlantide?” rispondeva deciso “Da Foggia”. Per poi aggiungere “non sappiamo dove stiamo andando, non sappiamo quanto stiamo andando…” L’inizio dell’anno mi è sembrato dunque un buon momento per cercare di capire un po’ “quanto stiamo andando”: in che direzione va questo 2023 per la biofisica computazionale? Per saperlo, dobbiamo fare un po’ come si fa in dinamica molecolare, ovvero allargare lo sguardo per coprire una buona parte della traiettoria e, su questa, usare Nla statistica per estrapolare i dati più significativi. Non è un’operazione facile, anche perché per fare della buona statistica è necessario avere un buon campione di dati, mentre il mio punto di vista può essere solo, necessariamente, parziale. Quanto alla statistica, poi, abbiamo gli ultimi 50 anni: non sono pochi, ma non sono neanche moltissimi, anche perché il sistema è chiaramente fuori dall’equilibrio e continuamente in transizione da uno stato all’altro, con diversi momenti di pausa e improvvise accelerate. Ci provo comunque, anche per fare il punto su quanto ha portato il 2022.

Comincio allora dalle risorse: ad ottobre 2022 è stato finalmente acceso il nuovo supercomputer Leonardo, il quarto al mondo per potenza di calcolo secondo la classifica dei Top500. Leonardo è ospitato nel nuovo Tecnopolo di Bologna e gestito dal Cineca, che da anni coordina il supercalcolo italiano. Per l’intera comunità dei fisici computazionali (inclusi i biofisici computazionali) si tratta di una risorsa molto importante che riflette anche la crescita di quell’amplissimo e variegato campo di ricerca che è riassunto dal titolo “Calcolo Scientifico” e che rappresenta un’importante fonte di occupazione per i laureati e le laureate in materie scientifiche. Il fatto che l’Italia sia riuscita ad assicurarsi questa risorsa non è un risultato da poco: il nostro Paese, quando si muove nel modo giusto e con il giusto spirito di squadra, riesce davvero a rientrare nei primi posti a livello mondiale. La nuova sfida sarà utilizzare Leonardo in sinergia con i fondi del piano Next Generation EU, qui in Italia tradotto con il pessimo acronimo (un po’ da codice fiscale) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, o PNRR. Tuttavia, come ho scritto più volte su questo blog e vado ripetendo anche a lezione e persino a teatro, non saranno i supercomputer a salvarci o a risolvere tutti i problemi che ci pone la biofisica computazionale. I supercomputer sono uno strumento potentissimo, ma anche i problemi che dobbiamo affrontare sono davvero troppo complicati per pretendere di poterli risolvere soltanto osservando gli atomi che si muovono su uno schermo.

Da questo punto di vista sarà sempre più necessario ricorrere a metodi intelligenti per riuscire a capire quali segnali emergano da quei Terabyte (o Petabyte) di dati provenienti dalle simulazioni. Si tratta quindi di applicare le metodologie che permettono di scavare in quei dati come se fossero delle miniere di informazioni e, non a caso, i metodi utilizzati vanno sotto il nome di “data mining”. Uno strumento utilissimo per il “data mining” è fornito dai metodi di apprendimento automatico, o “machine learning”: al momento si tratta di un vero e proprio hype, ovvero di una di quelle tematiche sulle quali il dibattito scientifico è molto attivo, forse in modo persino esagerato. Questo perché il machine learning non si applica solo al data mining, ma anche alla predizione di proprietà fisiche, chimiche e persino farmacologiche. 

Basti pensare che una delle sue applicazioni di maggior successo è stata proprio AlphaFold2 di cui ho già parlato in una precedente puntata di questo blog. E’ indubbio che i progressi di AlphaFold2, ovvero la possibilità di predire la struttura di una qualunque sequenza di amminoacidi, hanno segnato il 2022 che ci siamo appena lasciati alle spalle e costituiranno la base su cui partiremo nel 2023 per studiare proteine delle quali la struttura non è ancora nota. Tuttavia, restano gli interrogativi soliti riguardo al machine learning: gli algoritmi di apprendimento automatico si basano su ciò che si conosce, ma non permettono di esplorare l’ignoto. Per quello serve ancora il nostro cervello che, sì, ha diversi problemi quando esce dalla sua “comfort zone” (come si dice oggi), ma sembra fatto apposta: probabilmente proprio l’evoluzione ha selezionato la versatilità tra le caratteristiche di maggior successo per la nostra specie, nonostante l’immobilismo di alcuni baroni universitari (è passato Natale e quindi posso permettermi di non fingere di essere più buono, cosa che peraltro non faccio soprattutto a Natale). 

Come si fa a predire la struttura di proteine che appartengono a famiglie per le quali è difficile trovare un buon rappresentante? Ci sono proteine che non sono state ancora risolte, molte delle quali perché non hanno una struttura ben determinata e sono quindi intrinsecamente disordinate. Se proviamo a predire la struttura di una di queste proteine intrinsecamente disordinate (o IDP, che sta per “intrinsically disordered proteins”), AlphaFold2 ci fornisce una risposta: è però una risposta che lascia un po’ perplessi, perché non è detto che corrisponda ad una struttura stabile. Un semplice esercizio di dinamica molecolare mostrerà che quella struttura continua a cambiare e non raggiunge mai l’equilibrio, perché appunto l’equilibrio è costituito da un insieme di possibili strutture e dal costante mutare da una struttura all’altra. Tipo i mollicci mutaforma di Harry Potter, insomma. Peraltro, queste IDPs potrebbero acquisire delle forme particolari in prossimità di altre proteine e… insomma, vai a capire quanto c’è ancora da fare in questo campo. Di sicuro non basterà il 2023, ma forse neanche gli anni ’20 per intero, e i ’30 e i ’40…

C’è tanto da fare, dicevo: mai come quest’anno però ho avvertito la sensazione che molto di quel da fare avvenga fuori dalle università e dai centri di ricerca. E’ stato un anno in cui sono arrivate diverse notizie di colleghi e colleghe che hanno abbandonato o semi-abbandonato le carriere accademiche (a volte anche assai prestigiose) per il privato: non si tratta soltanto di una questione economica, sarebbe troppo facile bollare queste tendenze come dettate dal dio denaro. Credo invece che si tratti di una tendenza più psicologica: la carriera universitaria è diventata sempre più prodiga di incombenze urgenti e sempre più avara di soddisfazioni a livello personale e programmazione a lungo termine.

La competizione, infatti, è diventata serrata e spesso basata su sensazionalismo scientifico e non su chiare direttrici di ricerca: capisco la competizione per ottenere i fondi, ma come individuare direzioni e progetti a lungo termine, se siamo costantemente impegnati a districarci tra la burocrazia, gli impegni didattici e la scrittura delle proposte per ottenere gli stessi finanziamenti? E’ una tendenza abbastanza generale, ma ancora più marcata in Italia dove non abbiamo neanche un calendario di riferimento per le richieste di fondi: i bandi escono sostanzialmente a caso, fino all’assurdità dell’ultimo bando per i Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (o PRIN) a cui non potevano partecipare coloro che avevano partecipato al bando precedente come referente nazionale, pur non avendo ancora ricevuto comunicazione dell’effettivo finanziamento. Per intenderci: se hai partecipato l’anno scorso, non puoi partecipare quest’anno, anche se l’anno scorso non sei stato finanziato e non lo sai neanche perché i risultati non sono ancora disponibili. Io spero sempre che un qualche governo, di qualunque colore esso sia, riesca davvero a fissare una volta per tutte un calendario: i bandi per i finanziamenti escono, che so, ogni due anni, ogni tre anni, durante le Olimpiadi, in prossimità dei mondiali di calcio, insomma in una data certa e i risultati sono disponibili entro sei mesi dalla chiusura del bando. Sono 24 anni che partecipo alla scrittura dei progetti (ho cominciato con il PRIN ’99 dando una mano a tradurre i testi dall’inglese all’italiano) e non ho ancora visto una regolarità di qualche tipo. Per inciso, l’ultimo bando PRIN a cui ho partecipato si è chiuso il 31 marzo 2022: è passato quasi un anno e non abbiamo ancora nessun risultato.

E non finisce qui: l’Italia ha anche il triste primato dell’assurdità delle regole imposte per poter comprare uno strumento, oltre che un’età media del personale strutturato che va intorno ai 50 anni. E’ chiaro che in queste condizioni il richiamo delle start-up formate perlopiù da giovani motivati e pieni di idee diventa irresistibile. Non so se il 2023 ci porterà qualche novità in questo senso, ma io spero che qualcuno a Roma ci ascolti, qualunque sia il colore politico del Governo.
E infine il 2022 per me ha segnato una svolta decisamente inaspettata nel mio modo di costruire i corsi e fare didattica: ho seguito dei corsi di aggiornamento e ho deciso di intraprendere una sperimentazione nel corso di Fisica Medica, implementando l’apprendimento per squadre o Team Based Learning. In pratica, ho completamente ribaltato le mie lezioni: ho registrato e fornito in anticipo la lezione teorica con le slide. In aula, invece, ho proposto diverse attività in cui gli studenti e le studentesse hanno partecipato lavorando sia a livello individuale che in gruppo. Una specie di "Amici" ma senza i severi giudici e soprattutto senza Maria De Filippi. I risultati parziali che però ho raccolto proprio durante le vacanze di fine anno sono stati notevoli: due terzi degli iscritti hanno, di fatto, già superato l’esame. Soprattutto, pur dando loro la possibilità di restare a casa e firmare la presenza in remoto, erano praticamente tutti in aula, segno che evidentemente hanno tratto vantaggio dalla frequenza: probabilmente neanche tanto per la mia presenza, quanto per il fatto che in aula si sono confrontati sugli argomenti del corso. Di mio posso aggiungere che mi sono divertito molto, a tratti quasi commosso nel sentirli discutere fra loro di funzioni di stato, momenti delle forze, equilibri, correnti elettriche, fenomeni magnetici ed effetto Doppler.
Per la prima volta ho adoperato la valutazione tra pari che gli studenti hanno odiato: eppure hanno fatto un lavoro egregio, si sono valutati e descritti con una tale precisione che nessun mio esame, per quanto lungo, potrà mai eguagliare. E ancora: ho scoperto che si può innovare nella didattica anche in quest’anno che segna per me un traguardo numerico un po’ pesante. A quasi 50 anni, ho dato voce a ragazzi e ragazze che di anni ne hanno 19, ho cominciato a scoprire il loro modo di ragionare e il loro mondo: è molto diverso dal mio, da quello degli anni ’90 in cui ho studiato. Mi ha colpito la loro ingenuità su aspetti che per la mia generazione sono scontati, ma anche la lucidità dei loro ragionamenti e quel desiderio di potersi esprimere e di sentirsi ascoltati che, quello sì, mi ha riportato indietro a quando avevo la loro età. Il 2022 non mi ha fatto ringiovanire nell’aspetto fisico, su cui c’è ben poco da fare, ma nello spirito sì. E spero di proseguire sul ringiovanimento dello spirito anche nel 2023: in fondo l’età è un numero, ma sta a noi evitare che diventi un’etichetta.

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