Nella mia erratica carriera in biofisica computazionale, mi sono spesso lasciato trascinare dalla curiosità. Sì, negli articoli scrivevo che quel particolare studio avrebbe potuto offrire nuovi punti di vista per comprendere un meccanismo di funzionamento di una proteina, ma non ci credevo poi tanto. Con la maturità ho cominciato a chiedermi: ma poi, alla fine, di questi dettagli con l'amminoacido X che fa un ponte salino con l'amminoacido Y, a chi importerà? Quale sarà il valore aggiunto? E' una domanda che ho anche posto spesso ai miei colleghi con una preparazione più specifica nelle scienze della vita: la risposta era sempre che comprendere i meccanismi molecolari avrebbe potuto aiutare a trovare dei farmaci, o a capire perché certi farmaci funzionano e altri no. Per un ipocondriaco come me, questa risposta mi restituiva il sorriso e stuzzicava la mia curiosità, che in realtà non ha bisogno di essere stuzzicata perché ha sempre dominato la mia vita, le mie scelte e le mie sfide. E meno male: altrimenti con le paure che ho, sarei rimasto fermo. Ma sto divagando. Il punto è che nei giorni scorsi ho avuto modo di riflettere sulla medicina di precisione e voglio riportare qui alcune delle mie osservazioni, nella speranza di averci capito qualcosa, ma soprattutto con il desiderio di confrontarmi su queste tematiche con chi ne sa più di me.
Parto dall'anno 2000, il giorno del mio compleanno: in una conferenza stampa di portata storica, il presidente americano Bill Clinton e il primo ministro britannico Tony Blair annunciano che è pronta una prima "bozza" del genoma umano, ovvero del sequenziamento dell'intero codice genetico che ci compone. Ero un giovane dottorando, allora: non mi era ancora chiaro che la biofisica sarebbe poi stata il mio campo di interesse, anzi cercavo di resistere alla tentazione di trovare sempre l'applicazione biologica dei modelli di fisica teorica. Senza riuscirci. Ricordo quella conferenza, ricordo anche la mia festa di compleanno e i giornali il giorno dopo che, con toni trionfali, annunciavano che cominciava l'era della medicina personalizzata. Avremmo potuto sequenziare il nostro genoma, a un prezzo che allora era ancora alto ma presto sarebbe diventato ragionevole. Per inciso, al momento la cifra si aggira sui 1000 euro.
Con l'aiuto del genoma, avremmo poi ricavato dei farmaci personalizzati per curare ogni tipo di malattia: il sogno di ogni ipocondriaco. Ma come dico ai miei studenti, io amo la biologia perché ci umilia sempre: quando pensiamo di aver capito tutto, viene fuori qualcosa di nuovo che ci sorprende e ci affascina, offrendo nuove opportunità. Con gli anni si è capito che la medicina personalizzata era un po' troppo fantascientifica per essere vera, e non perché sia impossibile, ma solo perché è impraticabile. I motivi sono due: il primo, tutto sommato superabile, è che trovare farmaci che vadano a bloccare proprio quella data proteina o quel meccanismo molecolare che in me c'è e in un altro no è davvero troppo complicato. Quel farmaco poi deve arrivare al bersaglio, ma soprattutto potrebbe interagire con mille altre proteine e provocare chissà quali altri danni. Dovremmo conoscere ogni dettaglio di tutti i meccanismi molecolari e siamo ancora ben lontani da questo. Però chissà: un giorno magari...
Il secondo è invece critico: i farmaci su misura sono economicamente svantaggiosi. La medicina personalizzata semplicemente costerebbe troppo: e non agli utenti, bensì alle case farmaceutiche che non avrebbero convenienza in questi investimenti. Quando ci sono di mezzo i soldi, non c'è scienza che tenga. Oggi infatti di medicina personalizzata si parla un po' meno e comunque non nei termini semplicistici che erano spuntati nel 2000. Si parla invece di medicina di precisione.
E' esperienza comune che ci siano farmaci che vanno bene per alcuni ma non per altri: io ho un rapporto particolare con San Paracetamolo, per esempio, mentre non ho un gran beneficio dall'acido acetilsalicilico, ovvero l'aspirina. Ok, fermo la spirale ipocondriaca. Finché si tratta però di far scendere la febbre o far passare un mal di testa, poco male: proviamo però a immaginare gli stessi concetti sulla scala di malattie ben più serie con rischi mortali. La chemio funziona per alcuni individui, ma per altri no: si sa, si tenta lo stesso di salvare il salvabile con i protocolli disponibili, ma è tutto affidato alla statistica e in quel 10% di reazioni avverse ci sono lutti, affetti spezzati, traumi dolorosi. Perché accade?
Perché siamo complicati: ciascuno di noi è praticamente un unicum nello spazio delle possibili sequenze genomiche. Molti tratti sono comuni, ma c'è sempre quella variabilità che ci rende veramente noi. Tuttavia i meccanismi di funzionamento sono gli stessi, con piccole variazioni: studiando i genomi di una popolazione è possibile scoprire quali sono le mutazioni più frequenti, quali geni vengono trasmessi perché di fatto non modificano troppo il funzionamento della proteina o della cellula. Se lo modificassero troppo, probabilmente quell'individuo non arriverebbe alla maturità necessaria per potersi riprodurre e quindi quel gene scomparirebbe dall'evoluzione. Spesso accade che una proteina continui a funzionare perché ha diverse mutazioni che si compensano: però nell'interazione con altre proteine può accadere che proprio quelle mutazioni che sembravano innocue portino a reazioni strane. Oppure che il farmaco su quelle proteine non abbia effetto o abbia effetto negativo. La speranza però viene dalla statistica: è possibile raggruppare la popolazione in gruppi e per i gruppi lavorare sui farmaci. E' un lavoro di precisione, ma non è un lavoro individuale: costa, ma molto meno che farlo per il singolo individuo, anche perché i dati sono disponibili, si tratta solo di confrontare il genoma di un paziente con il database già presente (e che si arricchisce sempre di più). Con i metodi di apprendimento automatico (o machine learning) questo lavoro potrebbe diventare molto più veloce ed economico: si arriverebbe quindi a prescrizioni mediche che vanno bene per le tipologie di quel particolare individuo in quanto ha una proteina che si comporta come quelle del gruppo A, un'altra che si comporta come quelle del gruppo B, un'altra come quelle del gruppo C, e così via. Su questo la biofisica computazionale può fare molto: anzitutto i metodi di bioinformatica, potenziati dal machine learning, possono scandagliare i genomi sequenziati per scovare le mutazioni. A partire da quelle mutazioni, singole o multiple, è possibile poi ipotizzare le strutture delle proteine corrispondenti (qui sì, AlphaFold può aiutarci). Con le strutture possiamo studiare le dinamiche e capire perché quelle mutazioni riescono a tenere insieme la proteina e a farla funzionare, ma poi rendono il farmaco X inefficace. E il problema economico? Beh, le case farmaceutiche lavorerebbero su gruppi di persone per singole proteine e non più su singole persone per gruppi di proteine: la differenza è abissale e fa sì che la medicina di precisione abbia un futuro, quella personalizzata magari sì, ma è un po' troppo lontano. Per ora.
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