mercoledì 11 settembre 2024

Trento 26-29 agosto 2024: Simulazioni biomolecolari alla mesoscala

Scrivo questo post dopo 4 giorni particolarmente impegnativi e ricchi di spunti di discussione: si è appena concluso un congresso organizzato a Trento da me e da alcuni miei colleghi: Sarah Harris dell'università di Sheffield, Angelo Rosa della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, Ralf Everaers della Scuola Normale Superiore di Lione, Rommie Amaro dell'Università della California a San Diego e Garegin Papoian, dell'Università del Maryland. I partecipanti sono stati poco più di 50, provenienti un po' da tutta Europa, dagli Stati Uniti e dal Canada. La foto ritrae quasi tutti i partecipanti sul lago di Caldonazzo, dove si è tenuta la cosiddetta "cena sociale", per festeggiare la fine del congresso in un'atmosfera informale. L'aspetto sociale dei congressi scientifici è quasi sempre tenuto in poco conto, ma è fondamentale: molti film descrivono chi fa ricerca come una persona isolata che spesso lotta contro il mondo. Non è mai così, ma proprio mai: la ricerca nasce dal confronto, ma soprattutto nasce dalla capacità di gestire le avventure della conoscenza in gruppo. E' quindi fondamentale anche l'aspetto umano: chi lavora insieme deve anche piacersi, perché altrimenti è davvero difficile lavorare gomito a gomito e affrontare le difficoltà che la ricerca scientifica comporta. Sono però sicuro che molti di voi si staranno chiedendo: "Sì ma cosa diavolo è la mesoscala?"
Ecco, vi farà piacere constatare che in effetti questa è stata proprio la domanda più difficile alla quale il congresso di Trento ha cercato di rispondere. Per spiegarlo però, preferisco partire con la genesi del congresso. Gennaio 2023: io, Angelo, Sarah e Ralf siamo in un ristorante di Trento alla conclusione della seconda edizione della scuola invernale sulla Fisica della Cellula. Sarà stata l'allegria del tavolo, sarà stata forse la birra, ad un certo punto si è parlato di organizzare una conferenza, magari nel Sud Italia. La scelta iniziale era caduta su Bari, la mia città di nascita. Ero però un po' scettico, perché so bene che l'organizzazione di una conferenza richiede sempre di poter intervenire stando sul posto non solo durante la conferenza, ma anche prima, per gestire qualunque problematica. Trento avrebbe rappresentato per me una soluzione più comoda, anche per i numerosi impegni che ho con l'Università. A parte però la sede, il punto era cercare di capire come funzionano le cellule. 
A cena stavamo parlando del fatto che molti modelli (ad esempio proprio quelli che studio e che insegno in biofisica computazionale) si concentrano sulla microscala: singole proteine o complessi molecolari che vengono studiati includendo anche i dettagli degli atomi che le compongono. Certo, ci sono anche modelli che consentono di studiare complessi un po' più grandi (i modelli a grana grossa o "coarse grained"), ma tutto questo ancora non ci consente di capire cosa succede, ad esempio, in un organello presente all'interno di una cellula, per non parlare della cellula stessa. Ci sono anche modelli che descrivono le proprietà elastiche dei tessuti, ma questi corrispondono alla macroscala: certo alla macroscala un bravo medico saprebbe dire se il tessuto è sano o malato, ma quando l'effetto della malattia è arrivato alla macroscala, molto spesso non c'è più nulla da fare. 
Ecco, tutti i sistemi che non sono né alla microscala, né alla macroscala, sono appunto alla mesoscala. A questo livello i modelli scarseggiano. Perché? Due motivi: è estremamente difficile capire quali modelli usare su queste scale; inoltre, i modelli presenti sono straordinariamente complicati e non sempre si riesce a passare facilmente dalla causa all'effetto nel caso di una malattia. L'idea era quindi di organizzare una conferenza invitando davvero un gruppo di persone di buona volontà che avessero come obiettivo costruire una rete di laboratori in collaborazione. Per poterlo fare abbiamo coinvolto la rete del CECAM (il Centro Europeo per il Calcolo Atomistico e Molecolare) e il consorzio inglese CCPBioSim. Abbiamo quindi mandato la nostra proposta nell'estate del 2023 ed è stata accettata a settembre: da quel punto siamo partiti con gli inviti e l'organizzazione. E' stato però un congresso speciale, perché abbiamo deciso dall'inizio che avrebbe avuto una formula speciale. 
Sì, perché è inutile girarci intorno: la pandemia ha un po' cambiato tutto, anche il modo in cui partecipiamo alle conferenze. Che senso ha prendere un aereo, andare dall'altra parte di un continente o addirittura cambiare continente se poi ognuno fa il suo seminario mentre tutti (o quasi) sono lì con il loro computer portatile che lavorano come se fossero in ufficio o forse anche meglio senza distrazioni? Era proprio quello che volevamo evitare, anche soltanto per dare un senso a quell'impronta di carbonio (la carbon footprint) che inevitabilmente lasciamo ad ogni viaggio, specialmente aereo. Ci siamo detti: diamo un senso a questi viaggi! E quindi via i seminari per tutti, abbiamo deciso di aprire ogni giornata con un seminario di carattere sperimentale che potesse illustrare le problematiche di quel particolare ambito di ricerca. Questo seminario era sufficientemente lungo (con le domande si arrivava a 45 minuti), ma aveva l'obiettivo di definire un problema a cui dovevamo poi trovare soluzioni, o strade per una soluzione. 
A questo primo seminario, seguivano i cosiddetti "lightning talks", seminari illuminanti o anche fulminanti, più spesso fulminati: pochissimo tempo a testa, 15 minuti, per descrivere quell'argomento, quel problema che ci assilla e ci tiene svegli durante la notte, che vorremmo tanto risolvere e non sappiamo come. Successivamente si passava alla discussione: i partecipanti sono stati divisi in gruppi che dovevano discutere di un particolare argomento, stabilito dagli organizzatori. I gruppi cambiavano di volta in volta e dovevano poi riportare le loro discussioni in una sessione che di nuovo si svolgeva in assemblea plenaria. E' stata una formula particolare che all'inizio ha forse spiazzato alcuni dei partecipanti ma che in realtà si è rivelata vincente per tre ragioni. 
La prima: sono rientrato in ufficio con poster pieni di post-it che riportavano domande, idee, spunti di discussione su cui davvero possiamo costruire diversi piani di ricerca per il futuro. La seconda: alla fine, il materiale è stato talmente tanto che abbiamo deciso di scrivere un articolo per una rivista scientifica, in cui descriviamo proprio una road map, un percorso per le simulazioni biomolecolari alla mesoscala. La terza e per me la più significativa: il primo giorno era molto difficile fare in modo che i più giovani (spesso dottorandi o addirittura laureandi) si mettessero in gioco davanti ai cosiddetti "mostri sacri", ovvero i nomi più importanti del settore. La paura di dire qualcosa di sbagliato o di banale è sempre in agguato: quando si è giovani, si tende a pensare di essere i soli a sbagliare o a dire qualcosa di banale. Con l'esperienza, si capisce che in realtà sbagliamo tutti, così come tutti possiamo dire qualcosa di banale, ma è importante confrontarsi, perché spesso osservazioni semplici possono portare a un nuovo punto di vista su un problema sul quale magari stiamo sbattendo la testa da mesi o da anni. La ricerca scientifica funziona così, perché è un processo creativo e, come tale, è imprevedibile. Il modo migliore per stimolarla è proprio fare in modo che ci siano occasioni di incontro e di confronto.
Ecco: già dal terzo giorno, a riferire dei lavori dei vari gruppi sono arrivati i dottorandi. Spigliati, pronti a raccontare quello che avevano discusso anche con i mostri sacri del loro gruppo. Orgogliosi, oserei dire. E' stata davvero una bellissima esperienza che a me ha riempito il cuore. Sarà che tutte le volte che vedo i giovani prendere coraggio e lanciarsi nell'avventura della conoscenza mi viene in mente la mia mamma e la sua incredibile pazienza quando apriva casa a tutti quelli che avevano bisogno di aiuto a scuola, senza farsi pagare, perché le piaceva, perché ci credeva, perché mi diceva che studiare e insegnare a studiare le dava un senso di libertà. 
Ecco, io in questo lavoro ci sono finito per caso, ma soprattutto per passione. E la mia passione deriva proprio dal fatto che io ci credo che lo studio dia la libertà: non c'è gesto più nobile che si possa offrire ad un essere umano di insegnargli ad imparare per proprio conto, perché in quel momento è libero. E sì, io non le somiglio più così tanto come da bambino, ma lo sguardo che ho quando vedo i ragazzi e le ragazze prendere coraggio e parlare contando sulle proprie forze, su quello che hanno studiato, su quello che hanno discusso, beh il mio sguardo ricorda tanto il suo. Ma torno alla conferenza: e ora? Che sarà di questa mesoscala? Beh, abbiamo grandi progetti che penso mi terranno impegnato anche oltre il solito nei prossimi mesi. L'idea è trasformare questa rete in qualcosa di più solido, allargandola e ottenendo finanziamenti per organizzare prossime conferenze, ma soprattuto scambi di studenti, ricercatori, docenti, collaborazioni e progetti comuni. Insomma, siamo appena partiti: destinazione mesoscala!

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