Questo mese ci imbarchiamo in un viaggio nel tempo, molto più indietro dei dinosauri, fino agli albori della vita stessa. Una delle domande più affascinanti che la scienza si pone è: come è iniziato tutto? Recentemente, ho letto un articolo su Science Advances che offre una prospettiva intrigante e, a mio parere, decisamente entusiasmante per chi ama mettere le mani (e le CPU) nei meccanismi più misteriosi della natura. L'idea centrale è che l'origine della vita non sia stata una semplice sequenza di eventi casuali, ma piuttosto una naturale e robusta estensione delle condizioni geochimiche e ambientali disponibili su un pianeta. Insomma, non proprio un colpo di fortuna alla "una su un miliardo di miliardi", ma qualcosa di più... sistematico. Magari non inevitabile, ma nemmeno così improbabile come si pensa a volte nei momenti di sconforto (soprattutto dopo aver lanciato l'ennesima simulazione notturna scoprendo al mattino che il server è andato giù). Gli autori dell'articolo propongono un approccio integrato per comprendere l'origine della vita. Questo significa mettere insieme i pezzi di diversi puzzle scientifici: esperimenti di chimica prebiotica in laboratorio, osservazioni geologiche e geochimiche dei pianeti (in particolare Marte) e dati astrofisici sugli esopianeti. Sebbene l'articolo non menzioni esplicitamente la biofisica computazionale, i collegamenti con il nostro campo sono evidenti e potenti. È come leggere tra le righe: chiamano "integrazione interdisciplinare" quello che noi facciamo ogni giorno con codici, simulazioni, caffè, congetture, risate e umiliazioni (perché la biologia umilia!).