domenica 11 maggio 2025

Dai mondi antichi ai modelli al computer: come la biofisica computazionale indaga le origini della vita

Questo mese ci imbarchiamo in un viaggio nel tempo, molto più indietro dei dinosauri, fino agli albori della vita stessa. Una delle domande più affascinanti che la scienza si pone è: come è iniziato tutto? Recentemente, ho letto un articolo su Science Advances che offre una prospettiva intrigante e, a mio parere, decisamente entusiasmante per chi ama mettere le mani (e le CPU) nei meccanismi più misteriosi della natura. L'idea centrale è che l'origine della vita non sia stata una semplice sequenza di eventi casuali, ma piuttosto una naturale e robusta estensione delle condizioni geochimiche e ambientali disponibili su un pianeta. Insomma, non proprio un colpo di fortuna alla "una su un miliardo di miliardi", ma qualcosa di più... sistematico. Magari non inevitabile, ma nemmeno così improbabile come si pensa a volte nei momenti di sconforto (soprattutto dopo aver lanciato l'ennesima simulazione notturna scoprendo al mattino che il server è andato giù). Gli autori dell'articolo propongono un approccio integrato per comprendere l'origine della vita. Questo significa mettere insieme i pezzi di diversi puzzle scientifici: esperimenti di chimica prebiotica in laboratorio, osservazioni geologiche e geochimiche dei pianeti (in particolare Marte) e dati astrofisici sugli esopianeti. Sebbene l'articolo non menzioni esplicitamente la biofisica computazionale, i collegamenti con il nostro campo sono evidenti e potenti. È come leggere tra le righe: chiamano "integrazione interdisciplinare" quello che noi facciamo ogni giorno con codici, simulazioni, caffè, congetture, risate e umiliazioni (perché la biologia umilia!).
L'articolo parte dal presupposto che la vita sia emersa da processi chimici prebiotici che hanno portato alla sintesi di mattoni molecolari come nucleotidi, amminoacidi e lipidi. Questi mattoni si sarebbero poi autoassemblati in strutture cellulari. Ciò che colpisce è la proposta che, fino a un certo punto, questa chimica prebiotica e la biologia iniziale abbiano seguito una traiettoria deterministica. In altre parole, se condizioni simili si fossero presentate su altri pianeti, potremmo aspettarci che la stessa chimica (e la stessa biologia iniziale) si sia manifestata. Come dire: magari là fuori ci sono altri piccoli esseri (computazionalmente modellabili) che si sono formati seguendo lo stesso copione molecolare!
Uno scenario chiave discusso nell'articolo è quello della chimica cianosolfidica. Questo approccio propone una rete specifica di reazioni chimiche che partono da materie prime semplici disponibili su un pianeta. Una materia prima ideale è l'acido cianidrico (HCN), che fornisce sia carbonio che azoto in stati di ossidazione appropriati. Per ottenere le molecole biologiche, è necessaria una certa riduzione del carbonio, e la chimica cianosolfidica lo realizza utilizzando protoni ed elettroni generati fotochimicamente. Secondo gli esperimenti citati nell'articolo, questo tipo di chimica porta a rese elevate dei mattoni necessari per nucleotidi, amminoacidi e lipidi, e "non molto altro". Non molto altro? È già tanto! È come se la natura si fosse iscritta a un corso accelerato di sintesi molecolare con un ottimo rapporto qualità/prestazioni.
Ed è qui che entra in gioco la biofisica computazionale. Come possiamo, con i nostri strumenti computazionali, esplorare questa complessa rete di reazioni cianosolfidiche? Possiamo modellizzare le reti di reazioni per simulare la cinetica e la resa di questi processi chimici in diverse condizioni ambientali, tanto per cominciare. Inoltre, le simulazioni di dinamica molecolare "ab initio" (quindi con la meccanica quantistica) possono aiutarci a studiare come l'energia della luce UV viene assorbita e trasferita per generare gli elettroni idratati necessari per la riduzione. Le variazioni di temperatura, pH e concentrazioni di reagenti influenzano quanto possano essere deterministici questi percorsi chimici, e la biofisica computazionale può esplorare questo vasto spazio di parametri. Sì, anche quelle simulazioni che vanno avanti per giorni e che fanno salire la temperatura della CPU a livelli da pre-biogenesi...
La chimica cianosolfidica non avviene nel vuoto. L'articolo sottolinea che è strettamente legata a condizioni ambientali planetarie specifiche. Queste condizioni includono un'atmosfera ricca di N₂ e CO₂, la disponibilità di elementi chiave come C, H, N, O, P, S e Fe, eventi ad alta energia (impatti, fulmini, brillamenti solari) per creare materie prime iniziali come l'HCN, ambienti acquatici poco profondi (laghi, lagune) dove l'HCN può essere rilasciato e concentrato, la necessità di stoccare precursori come i sali di ferrocianuro nei sedimenti al riparo dalla forte luce UV, impulsi termici (incendi, impatti) per trasformare questi sali stoccati in specie reattive come CaCN₂, KCN, Mg₃N₂, NaCN, l'aggiunta di acqua a pH quasi neutro e la presenza di SO₂ (solfito in soluzione), e la luce UV a medio raggio (>200 nm), necessaria per generare elettroni idratati da anioni come ferrocianuro e solfito, guidando la chimica riduttiva richiesta. Il fosfato, essenziale per la formazione di nucleotidi e lipidi, potrebbe derivare da meteoriti o rocce vulcaniche. Come dire: serviva un pianeta un po' turbolento, ma ben fornito! Un po' come la mia cucina in cui, con un po' di caos e qualche ingrediente bizzarro, esce una cena che magari non sarà spettacolare, ma sicuramente può essere interessante...
Anche in questo contesto, la modellistica computazionale offre strumenti preziosi. Possiamo simulare i cicli idrogeologici su pianeti primordiali per capire come e dove l'acqua liquida poteva persistere e concentrare i reagenti. Inoltre, possiamo creare modelli per l'interazione tra l'atmosfera (con l'HCN e l'SO₂) e le superfici d'acqua e i sedimenti, utilizzando simulazioni di diffusione e reazione per determinare se le concentrazioni necessarie possono essere raggiunte e mantenute. Modelli termodinamici e cinetici possono esplorare l'efficacia degli impulsi termici generati da incendi o impatti di meteoriti per trasformare i sali. Infine, le simulazioni di trasferimento radiativo possono aiutarci a capire quanta luce UV a medio raggio raggiungeva la superficie dei laghi in presenza di diverse composizioni atmosferiche e profondità dell'acqua. Sì, è tutto molto tecnico, ma anche profondamente emozionante. Ogni nuova simulazione è come un piccolo esperimento mentale in cui puoi immaginare un mondo diverso che prende vita... letteralmente! Se avessi tempo, mi ci butterei a capofitto. Anzi no, mi sa che il tempo devo proprio trovarlo!
Un punto cruciale dell'articolo è l'importanza di Marte. Perché Marte? Perché il suo antico record geologico, risalente a più di 3.5-4 miliardi di anni fa, è molto meglio conservato di quello terrestre. Vi spiego: la tettonica a placche sulla Terra ha riciclato gran parte delle rocce più antiche, cancellando le prove dirette dell'epoca della chimica prebiotica. Marte invece offre prove dirette di condizioni geochimiche simili a quelle della Terra primordiale. Le missioni recenti su Marte, come Curiosity nel cratere Gale, hanno trovato prove di antichi laghi, depositi sedimentari spessi, depositi evaporitici e una vasta gamma di minerali contenenti gli elementi necessari per la vita (C, H, O, S, N, P, Fe, Mn, B). Sono state trovate anche prove di metamorfismo termico, cioè di rocce che subiscono una trasformazione per l'elevata temperatura, un processo necessario nello scenario cianosolfidico. Insomma, se c'era una "cucina planetaria" adatta per far partire la vita, Marte aveva tutti gli ingredienti. E noi siamo qui a cercare le briciole di quello che forse è stato uno spuntino veloce, ma quanto sarebbero importanti quelle briciole!
Marte rappresenta un laboratorio naturale a portata di rover e, speriamo, in futuro, di campioni di ritorno. Possiamo utilizzare i dati raccolti dai rover per costruire modelli computazionali in tre dimensioni dell'ambiente del cratere Gale o di altri siti marziani e simulare i processi di deposizione dei sedimenti e di formazione dei sali. Inoltre, possiamo confrontare i modelli di evoluzione geologica e atmosferica tra Terra e Marte per comprendere come l'assenza di tettonica a placche, o la diversa atmosfera possano aver influenzato la persistenza di condizioni favorevoli alla chimica prebiotica.
L'articolo sottolinea un aspetto fondamentale del processo scientifico: la natura iterativa con cui è stata sviluppata l'ipotesi cianosolfidica. Gli indizi dagli esperimenti chimici hanno aiutato a definire scenari geologici plausibili, e questi scenari geologici, a loro volta, hanno suggerito nuovi esperimenti chimici. Non è un percorso a senso unico, ma un ciclo continuo di feedback. Questo processo iterativo è la casa naturale della modellistica computazionale. I risultati sperimentali ci forniscono dati cinetici e di resa, mentre le osservazioni geologiche e astrofisiche ci danno i vincoli ambientali come temperatura, pressione, pH, disponibilità di elementi e flusso UV. I modelli computazionali possono integrare tutta questa enorme quantità di dati eterogenei per testare le ipotesi, esplorare lo spazio dei parametri, prevedere i risultati in condizioni non ancora testate in laboratorio e suggerire attivamente quali nuovi esperimenti o osservazioni sono più promettenti. La biofisica computazionale diventa uno strumento essenziale per guidare questo continuo zig-zag tra esperimento e osservazione.
Capire come è nata la vita è una sfida enorme che richiede davvero uno sforzo congiunto di diverse discipline. L'articolo mostra come l'approccio integrato, in particolare lo scenario cianosolfidico supportato dalle evidenze geologiche di Marte, stia facendo progressi significativi. Certo, rimangono molte sfide aperte, come il passaggio dai mattoni molecolari all'autoassemblaggio e alla replicazione non enzimatica, ma la comprensione della fase iniziale della sintesi dei mattoni sembra sempre più a portata di mano. E noi, come comunità della biofisica computazionale, siamo in una posizione unica per contribuire a questa grande impresa! Possiamo fornire gli strumenti per simulare la complessità delle reti di reazioni chimiche su scala molecolare, modellare l'evoluzione degli ambienti planetari e la disponibilità di risorse, e integrare dati da laboratori, telescopi e rover marziani per testare e perfezionare gli scenari. Il futuro della ricerca sull'origine della vita passa inevitabilmente anche attraverso l'analisi dei campioni marziani che torneranno sulla Terra e lo studio delle atmosfere degli esopianeti. E la biofisica computazionale sarà lì, pronta ad abusare dei numeri simulando scenari per aiutarci a decifrare uno dei misteri più affascinanti dell'universo: siamo soli, o la vita è davvero un fenomeno planetario naturale e diffuso?

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