Eccomi qui, con il portatile sulle ginocchia e il gate che lampeggia tra le ultime chiamate. Sì, sto scrivendo questo post in aeroporto, proprio come l’anno scorso: sembra che i momenti migliori per mettere ordine tra pensieri ed emozioni arrivino sempre mentre aspetto un volo. Di ritorno da quella che è stata una delle esperienze più dense (scientificamente e umanamente) di tutto il progetto MIMOSA. Bucarest ci ha accolti con un’energia contagiosa: un mix di architetture sopravvissute all’epoca “dorata” di Ceausescu (che di dorato, lasciatemelo dire, aveva giusto il nome) e sorrisi aperti che mi hanno ricordato quelli del Sud Italia natìo. Ci si sentiva a casa, anche se con un accento diverso. Vabbè, ma io in Europa mi sento a casa un po' ovunque...
Siamo ormai al quarto anno di progetto. Il che, in termini europei, significa che si comincia a parlare del "dopo", come nelle relazioni importanti. E questa edizione rumena dell’incontro annuale è servita proprio a questo: cominciare a capire come proseguire l’avventura oltre la naturale scadenza di agosto 2026. Continuare a lavorare insieme, magari cercando una nuova call, un’estensione, una collaborazione industriale… insomma: seminare per non far appassire tutto quello che è germogliato in questi anni.
Uno dei semi più promettenti? L’interazione. Non quella generica, da convegno motivazionale, ma quella reale tra fisici, chimici, biologi, esperti di superfici e tecniche spettroscopiche. Ciascuno con la sua lingua, i suoi strumenti, le sue idiosincrasie (eh sì, gli spettri di massa e i modelli teorici non sempre vanno d’amore e d’accordo…). Ma qualcosa è cambiato. Lavorando insieme abbiamo cominciato a tradurci a vicenda. E quando succede, anche le idee più ambiziose cominciano a sembrare meno lunari.
Per quanto mi riguarda, come fisico teorico e biofisico computazionale, continuo a vivere in quella zona di confine tra l’entusiasmo del predire e il senso di colpa del non-aver-previsto. A Bucarest ho avuto conferma che l’approccio computazionale è ancora uno strumento fondamentale per dare un senso ai dati sperimentali che spesso ci colpiscono con la forza di un "non so bene cosa ho visto, ma funziona". Eppure, ho dovuto anche fare i conti con il fatto che i nostri modelli teorici – belli, puliti, ordinati – devono sporcarsi le mani. Devono imparare a dialogare con la realtà degli esperimenti, fatta di rumore, imperfezioni, campioni fragili e laser capricciosi. A volte non serve il modello perfetto, serve il modello giusto: quello che ti fa intravedere la struttura dietro il caos, che ti suggerisce la domanda più che imporre la risposta.
Non è un mistero che uno dei veri motori di questo progetto siano i nostri incontri annuali. Certo, ci sono le sessioni scientifiche, i report, i grafici e le slide. Ma poi c’è il resto: le cene insieme, le risate, i brindisi, le discussioni infinite su quale vino ordinare o se quella strana pietanza tipica sia davvero commestibile (spoiler: spesso sì). È lì che succede la magia: nel costruire fiducia. E con la fiducia arrivano anche le idee migliori. A Bucarest abbiamo avuto momenti meravigliosi: la visita al delirante (ma affascinante) Palazzo del Parlamento, che sembrava una gigantesca analogia architettonica dei nostri modelli teorici: progettato con ambizioni smisurate, realizzato tra mille compromessi, ma riutilizzato con ingegno. Esattamente come un esperimento che non va come previsto, ma da cui si riesce a estrarre qualcosa di utile.
E poi il concerto all’Ateneo Rumeno. Un momento di grazia vera, in cui abbiamo messo in pausa le nostre equazioni e i nostri dati per lasciarci guidare dalla musica. A volte ci vuole. Ti riporta all’essenziale. Con un mix di nostalgia e speranza, abbiamo chiuso il meeting di Bucarest già con lo sguardo rivolto al futuro. Se tutto va come previsto, il prossimo incontro del consorzio Mimosa si terrà nella splendida Napoli. Un gran finale in una città che sa di bellezza, caos, genialità e contraddizioni. Come la scienza, del resto. Nel frattempo, torniamo tutti ai nostri laboratori, ai nostri codici, ai nostri strumenti. Ma con qualche idea in più, qualche legame più solido e – perché no – qualche ricordo che ci farà sorridere mentre aspettiamo il prossimo gate d’imbarco. Alla prossima, amici di MIMOSA (e di questo blog)!
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