domenica 11 giugno 2017

Che la Forza sia con te! Sì, ma quale?

Per questo mese, prendo in prestito il mitico Maestro Yoda di Guerre Stellari: Lucas non me ne vorrà (spero). L'idea è cercare di spiegare i "Force Fields" che in italiano tradurrei con campi di forza. E per farlo devo partire da molto lontano, spiegando cosa intendiamo per forze quando parliamo di biofisica computazionale.
Il rapporto di ognuno di noi con la fisica non è mai banale: ad esempio il mio, contrariamente a quanto si possa immaginare, non è stato certamente un amore a prima vista. Certo, le statistiche sugli amori a prima vista sono talmente impietose che forse è stato un bene che mi sia appassionato realmente alla fisica solo dopo essermi iscritto all'università, visto che ormai stiamo per tagliare il traguardo delle nozze d'argento. Indipendentemente dal rapporto che con la fisica abbiamo avuto, il concetto di forza è piuttosto intuitivo.
Meno intuitivi sono i principi della dinamica, tanto che non portano un nome greco o latino, bensì quello di Sir Isaac Newton. Il primo è detto principio di inerzia e dice che un corpo non soggetto a forze è in quiete o si muove con velocità costante lungo una retta. Non è per niente banale, tanto che l'ha scoperto Galileo Galilei: fino a lui in effetti si pensava che il moto rettilineo richiedesse una forza. Del resto, per far andare un carro su un campo (esperienza comune allo stesso Aristotele), è necessario che ci siano i buoi a tirare. E, tolti i buoi, il carro non prosegue certo da solo.
Sir Isaac però (e questo è il principale motivo per cui anche la prima legge gli viene generalmente attribuita) andò decisamente oltre, fornendo una "ricetta" pratica per determinare il moto di un corpo, quando si conoscono le forze agenti su di esso. La ricetta di Newton richiede che si conosca la massa del corpo, cosa leggermente diversa dal suo peso (il peso infatti è una forza), ma che è facilmente determinabile, eventualmente anche confrontando forze peso (è quello che facciamo con le bilance). A questo punto, se conosciamo la massa di un corpo e le forze che agiscono su di esso, possiamo determinare la sua accelerazione così: sommiamo tutte le forze tenendo conto anche delle loro direzioni e versi (sono vettori, quindi hanno regole di somma diverse dai numeri); stabiliamo in che direzione punta la somma delle forze e quanto vale; ora dividiamo la forza ottenuta per la massa del corpo: questa è l'accelerazione del corpo e punterà nella stessa direzione della somma delle forze. E' semplice capire che dobbiamo dividere per la massa: con la stessa forza, un corpo molto massiccio (e quindi pesante) si muoverà molto poco, mentre uno molto leggero si muoverà molto. Sorvolo sulla terza legge, perché volevo parlare dei force field e, se continuo, finisco per scrivere un trattato sulla dinamica. 
Sono passati più di tre secoli dalle leggi di Newton e oggi sappiamo che non sono valide sempre e comunque, ma soltanto quando le velocità in gioco non sono confrontabili con quelle della luce e le dimensioni non sono troppo piccole.
Gli ex-fisici delle particelle sono i peggiori biologi.
Se le velocità sono molto alte, dobbiamo scomodare la relatività ristretta di Einstein (limite relativistico); se le dimensioni sono piccole, è necessaria la meccanica quantistica (limite quantistico). Per gli oggetti di cui si occupa la biofisica computazionale, ovvero le molecole biologiche, possiamo stare certamente molto tranquilli sul limite relativistico, a meno di non utilizzare l'approccio della biologia delle alte energie nella vignetta qui a lato che, per fortuna, rimarrà tale sperando di non appassionare alla biologia troppi fisici delle alte energie. Possiamo stare molto meno tranquilli invece sul fronte quantistico. Le molecole biologiche sono grandi e possono essere trattate con le regole della meccanica del nostro amico Isaac: tuttavia gli atomi che le compongono sono oggetti piccoli. In più, hanno un'abitudine piuttosto sgradevole ai fini della biofisica computazionale, ma indispensabile per garantirci la possibilità di essere vivi: si combinano e si separano con i legami chimici. I legami chimici sono così quantistici ma così quantistici che più quantistici di così proprio non si potrebbe, tanto che l'intera chimica può essere vista come un insieme di regole pratiche il cui fondamento è nella meccanica quantistica.
Sarebbe molto bello poter spiegare tutto ciò che accade in una molecola biologica partendo dalle leggi della meccanica quantistica: questo è quello che tentano di fare i cosiddetti metodi "ab initio" che tutti pronunciamo "abinisciow" con orrore e raccapriccio di qualunque latinista in ascolto. Se però partiamo dai principi primi dei metodi "ab initio", siamo molto limitati sulla grandezza dei sistemi che possiamo studiare. E non solo: anche le scale temporali sono molto brevi, di certo non confrontabili con quelle biologiche.
Studio di un farmaco inibitore dell'HIV-proteasi, una
proteina coinvolta nell'insorgenza dell'AIDS.
Esiste però una soluzione pratica: supponiamo di occuparci soltanto di molecole biologiche senza descrivere i legami che si formano e si rompono. In questo caso, possiamo descriverne i movimenti con le leggi della meccanica classica, naturalmente utilizzando delle opportune definizioni per le forze con cui gli atomi interagiscono. Il limite intrinseco a questo approccio risiede nel fatto che, come già detto, gli atomi hanno il vizio di formare e rompere legami chimici. Tuttavia possiamo studiare diverse proprietà interessanti delle biomolecole, come il modo in cui un farmaco si lega prevalentemente a una proteina piuttosto che a un'altra (specificità), o come sia più efficace un farmaco che si lega meglio di un altro. Parliamo di legami che però non devono essere di natura chimica, ma solo di natura elettrostatica: per le interazioni elettrostatiche, infatti, possiamo ancora usare la meccanica di Newton.
Resta però ancora un punto da chiarire: queste forze non sono misurabili, ma sono tutte approssimate.
E sulle approssimazioni ci si è messi d'accordo un po' come nelle nostre riunioni di condominio: cioè manco per sogno. Diciamo che più o meno siamo d'accordo sul fatto che ci siano delle interazioni che permettono di mantenere le distanze tra gli atomi, gli angoli tra i legami, i piani in cui si trovano gli atomi, le forze di natura elettrostatica, i termini che vedete illustrati nel riquadro qui a destra. A ciascun termine corrisponde però un'equazione e quell'equazione contiene dei valori che si riferiscono alle varie possibilità: carbonio-azoto, carbonio-ossigeno e così via. Queste costanti sono i cosiddetti parametri. Ci sono interazioni a tre o quattro atomi che quindi coinvolgono un numero di parametri molto alto. L'insieme di tutti questi parametri e delle equazioni che li contengono costituisce un campo di forza, o meglio un force field. Il termine peraltro è improprio, dato che i miei studenti mi farebbero notare che la funzione presente in figura in realtà è un potenziale: da un potenziale però è facile ricavare una forza, per derivazione. Mi chiederete? Bene, ma questi parametri? Siamo al problema della parametrizzazione! Nella migliore delle ipotesi, i parametri potrebbero essere ricavati da un calcolo "ab initio". Peccato che con i parametri ricavati "ab initio" riusciamo letteralmente a perderci in un bicchier d'acqua, dato che è molto difficile riprodurre anche solo le proprietà dell'acqua, il solvente di tutto il mondo biologico. In effetti, l'approccio migliore sembra quello di determinare i parametri confrontando i risultati delle simulazioni con dati sperimentali, soprattutto misure di natura termodinamica. Questi sono i cosiddetti campi di forza semi-empirici e ne esistono diversi, ma proprio tanti, eh?
Torniamo dunque alla domanda di partenza. Che la forza sia con te: sì, ma quale forza?
Naturalmente, si possono immaginare vere e proprie guerre di religione alle conferenze scientifiche su quale force field sia il migliore. Ogni force field ha scelto il suo percorso di parametrizzazione e l'unica regola sulla quale siamo tutti d'accordo è quella di non mescolare parametri di un force field con parametri di un altro: sarebbe come prendere pagine a caso dai libri sacri a diverse religioni e metterli in musica usando gli spartiti dell'ultimo festival di Sanremo, vestiti però come all'Eurofestival.
In realtà, il metodo scientifico dà un'ottima soluzione, come sempre: il confronto con gli esperimenti. Se un force field porta a risultati smentiti dagli esperimenti, molto probabilmente andrà rivisto (guai a dire che è sbagliato, eh?). Se invece porta a previsioni che vengono confermate dagli esperimenti, bene: forse quel force field è affidabile, almeno fino al prossimo esperimento (con quel sano scetticismo che dovrebbe caratterizzare chiunque si approcci alla scienza). E' proprio per questo che è così importante scegliere di studiare un sistema per il quale sono presenti dati sperimentali. In fondo, tirar fuori numeri da un mega-calcolatore è abbastanza facile: è lì per quello. Molto meno facile è invece confrontare quei numeri con i risultati di un esperimento. E in biologia gli esperimenti sono davvero molto difficili da realizzare.
A questo punto, non mi resta che chiarire un ultimo dubbio, ovvero quale sia il miglior force field in circolazione. Dovrebbe però essere abbastanza chiaro che naturalmente la mia risposta sarà la stessa che chiunque lavori in questo campo vi darà e non è un caso che io abbia usato il termine "guerre di religione" per riferirmi agli scontri tra le diverse comunità dei force field: il miglior force field è quello che uso io!

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