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| Il fascino discreto della borghesia, L. Buñuel, 1972 |
“Il fascino discreto della borghesia” è un film del 1972 del regista spagnolo Luis Buñuel.
Si tratta di una pellicola del tutto surreale, e forse è questo il motivo per
cui ne resto sempre affascinato, a tal punto che non riesco a smettere di
guardare il film quando mi imbatto per puro caso in un suo passaggio
televisivo. Lo prendo a pretesto per il post di questo mese perché uno dei suoi
aspetti più interessanti è proprio il linguaggio usato da questa classe borghese,
fatta di uomini e donne in apparenza molto distinti, eleganti e molto legati a
un insieme di regole e convenzioni che li definiscono come tali. Tuttavia quasi
tutti i personaggi nascondono segreti inenarrabili, sono in realtà maschere
ipocrite di una realtà ben più complicata, continuano a recitare questo ruolo
anche piuttosto affascinante nelle situazioni più surreali: emblematica, a tal
proposito, la scena che scaturisce da un apparente malinteso per un invito a
cena e si conclude in un ristorante in cui si sta vegliando il proprietario
morto. Nessuno di loro mostra il benché minimo dispiacere per il proprietario,
se non il disappunto perché non potranno essere serviti come il loro rango
richiederebbe.
E le proteine? Per
svolgere la loro funzione, le proteine devono riconoscere le molecole alle
quali legarsi: alcune volte si tratta di molecole piccole, altre volte possono
essere anche molecole molto grandi o altre proteine, un po’ come i personaggi
del film di Buñuel.
Si tratta però di realizzare questo obiettivo in un
ambiente molto ma molto affollato: è come trovarsi all’interno di una folla
immensa, sapendo di dover cercare una persona con la maglietta blu, le scarpe
rosse, i pantaloni bianchi, un cappello arancione e la cintura verde. Per
quanto appariscente sia l’abbinamento, in una folla di migliaia di persone
risulta un compito davvero complicato. E siamo agevolati dal fatto che possiamo
sempre cominciare a guardarci in giro, selezionare tutte le persone con il
cappello arancione e metterle insieme in un angolo, poi trovare tra queste
quelle con la maglietta blu e così via. Il lavoro sarebbe comunque lunghissimo
e richiederebbe sicuramente l’uso del linguaggio, oltre che della vista. Le proteine
non hanno a disposizione molto tempo per svolgere il loro compito, né hanno a
disposizione i nostri sensi. Tuttavia anche loro hanno un linguaggio, fatto di
regole e convenzioni che le rendono non tanto distinte ed eleganti, quanto
funzionali! A tal punto che l’evoluzione ha deciso di preservarle così come
sono o di apportare un po’ per volta leggere migliorie che le hanno rese così
come sono. Naturalmente senza mai fermarsi. Questo linguaggio potentissimo, che
conferisce loro tanto fascino, è l’elettrostatica. Sì, proprio l’elettrostatica, quella delle cariche positive e negative, delle cariche di segno opposto che si attraggono e di quelle dello stesso segno che si respingono. In molti abbiamo avuto la fortuna di studiarla a scuola senza accorgerci che stavamo in realtà studiando la lingua delle proteine!
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| Cariche opposte si attraggono, cariche uguali si respingono |
Magari non è neanche piaciuta granché, allora: io stesso sono tra quelli che non l'hanno proprio adorata al primo impatto, anche perché non è affatto facile insegnarla. E temo che il problema sia proprio quello del film di Buñuel: ci sono regole molto precise, che però portano a una serie di conseguenze che, a volte, possono sembrare addirittura surreali. Ad esempio, cariche positive che messe in una determinata posizione, fanno passare solo ioni grandi e non ioni piccoli. Oppure la presenza isolante di una membrana che permette di amplificare gli effetti di un campo elettrico. Tutto questo, anzi chissà quanto altro, è stato sfruttato dall'evoluzione che nei suoi miliardi di anni (a quanto ne sappiamo) ha esplorato ogni possibile nicchia concessa dalle leggi della fisica.
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| Il campo elettrico della proteina TRAP (una proteina implicata nelle interazioni con l'RNA) |
In apparenza, le regole dell'elettrostatica sono semplici: non solo sappiamo che le cariche elettriche di segno opposto si attraggono e quelle dello stesso segno si respingono, ma sappiamo anche calcolare queste forze di attrazione con grandissima precisione. La presenza di queste cariche sulle superfici delle proteine genera dei campi elettrici, che sono confrontabili con i vestiti di cui parlavamo prima, con una differenza sostanziale: le cariche elettriche presenti in una soluzione (sulla superficie di altre molecole) sentono questi campi elettrici anche a grandi distanze. Infatti una caratteristica dei campi elettrici è quella di essere a lungo raggio, il che li rende davvero dei sistemi di comunicazione ideali per fare in modo che le proteine possano interagire con le molecole giuste. In altre parole, è l'elettrostatica a dire alle proteine con chi devono interagire e anche a fare in modo che questi incontri non siano effimeri "colpi di fulmine" (i giochi di parole dei fisici...) ma restino operativi finché la proteina non avrà svolto il suo ruolo. E' chiaro quindi che qui la fisica DEVE intervenire. Numerosi sono infatti i metodi che cercano di ricostruire il comportamento delle proteine a partire dai campi elettrici determinati dalle cariche positive e negative presenti sulle loro superfici. Tuttavia questo quadro, per quanto accurato e anche relativamente economico, se confrontato con calcoli più complessi, è molto superficiale. Perché l'elettrostatica ha il suo fascino discreto, ma non bisogna dimenticare che tutto questo, in soluzione, si muove. E quindi più che di fascino discreto dell'elettrostatica dovremmo parlare di fascino discreto dell'elettrodinamica. Gli effetti che derivano dai movimenti di carica sono ancora più interessanti e sono sicuramente stati sfruttati dall'evoluzione per fare in modo che le proteine funzionassero in modo efficiente.
Sfortunatamente tutto questo comporta anche un'elevatissima complicazione dei calcoli che devono tenere conto delle interazioni fra le cariche, dei movimenti delle cariche e di come il tutto si ripercuota su quello che accade nelle vicinanze. E quali vicinanze dobbiamo considerare nei calcoli? Come già detto, i campi elettrici agiscono a lungo raggio. Quindi anche quando le cariche sono lontane, non sono mai troppo lontane... un po' come in un altro film, a me molto caro: "Così lontano, così vicino", del regista tedesco Wim Wenders.Il fascino discreto dell'elettrostatica si traduce, alla fine, in costi elevatissimi per i calcoli, un arsenale di metodi computazionali che coinvolgono ogni possibile "perversione" (perdonatemi il termine) della matematica costretta a scendere da quelle eleganti costruzioni formali per sporcarsi all'interno dei nostri supercalcolatori, ma soprattutto in un elenco infinito di effetti che permettono alle proteine di funzionare e a noi di essere qui, a scrivere, a leggere e magari anche a riflettere sulla frase pronunciata dall'angelo nel film di Wim Wenders: "Voi che noi amiamo, voi non ci sentite, ci credete così lontani eppure siamo così vicini. Noi siamo i messaggeri, non il messaggio. Il messaggio è l'amore."




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