Parafrasando il film cult degli anni '90, le proteine di membrana non smettono mai di stupire per i loro bizzarri comportamenti, che includono soprattutto le interazioni con la membrana, oggi non più vista come un contenitore passivo della proteina. Come spesso ho ripetuto, il campo delle proteine di membrana è forse quello in cui la biofisica computazionale ha dato davvero un contributo significativo e spesso dirimente in primo luogo perché è abbastanza semplice capire quali sono le parti di una proteina che finiscono in membrana, basandosi sulle caratteristiche degli amminoacidi. In altre parole, si tratta di proteine per le quali possiamo ragionevolmente affermare "ok, questo pezzo è in membrana" o "questa regione è fuori dalla membrana". In & Out, appunto. In più nelle proteine di membrana sono presenti alcuni amminoacidi (le tirosine) che hanno la capacità di interagire sia con la parte idrofobica che con la parte idrofilica e che quindi sono i maggiori indiziati per segnalare la zona in cui la membrana si attacca alla proteina.
Non è tutto: le strutture delle proteine di membrana sono ricavate quasi sempre da cristalli che sono molto lontani dalle condizioni fisiologiche: simulare la presenza della membrana fosfolipidica rappresenta dunque l'unico modo per vederle all'opera in una situazione più realistica e rispondente alla realtà biologica.
Mi sono avvicinato a questo campo nel 2006: il motivo era appunto che mi sembrava più opportuno simulare proteine "in" membrana che proteine "out", e non soltanto perché essere "in" è sempre meglio che essere "out", ma proprio perché la presenza della membrana giustificava il ricorso ai calcolatori. Chi scrive è infatti un brufoloso ragazzino degli anni '80 cresciuto con i videogiochi del Sinclair ZX Spectrum che si caricavano dalle audiocassette: ad essere sinceri, lo stesso ragazzino aveva un amico con il Commodore 64, per cui manifestava già una certa propensione al cambio dei sistemi operativi. A dirla tutta, le proteine "in" che ho cominciato a simulare erano proteine "trans", ovvero transmembrana: si tratta di proteine che attraversano la membrana da una parte all'altra e rappresentano (spesso, ma non sempre) pori che lasciano passare determinate molecole. Uno splendido esempio sono i canali ionici, di cui ho parlato in qualche post precedente, ma anche le acquaporine. Bisogna dire che all'inizio non era così facile simulare le proteine di membrana: i force field per i lipidi non erano disponibili e si utilizzavano molecole idrofobiche (tipicamente ottano o decano) al posto dello strato di membrana, ovvero benzina, certamente un ambiente in cui non è che stiamo proprio benissimo... Quando finalmente sono stati diffusi i primi force field per i fosfolipidi, i tentativi di simulare proteine di membrana sono stati parecchio disastrosi: ricordo uno dei miei primi protocolli di simulazione che era terminato con un buco nella membrana e i due fogli che si separavano in un'esplosione di lipidi, molecole di acqua, ioni e fragorose risate dell'intero laboratorio (ero giovane). Per fortuna, i software si sono evoluti nel frattempo insieme alla mia capacità di comprendere i parametri di simulazione, senza utilizzarli più come se fossero numeri magici. Qualche anno dopo, il protocollo di simulazione era talmente stabile che ho cominciato a spingermi un po' oltre, non soltanto con gli studi sulle acquaporine (ancora nel campo delle proteine transmembrana), ma anche nei casi in cui non ero proprio sicuro che la proteina rimanesse in membrana.
E' stato il caso della cosiddetta proteina hMAO, ovvero la monoammino ossidasi umana (qui a lato), una proteina responsabile di diversi processi tutti molto interessanti. Riporto quanto è facilmente reperibile su Wikipedia: valori anomali delle monoammino ossidasi sono associati a vari disturbi psichiatrici tra i quali spicca, in primo luogo la depressione. Gli inibitori delle MAO sono una categoria di farmaci utilizzati come antidepressivi, ma anche per i disturbi da abusi di sostanze, i disturbi antisociali, i disturbi da deficit di attenzione e le fobie sociali. Insomma, dove eravate voi inibitori delle MAO durante le mie feste appena trascorse?
Come si può notare in figura, la hMAO non è propriamente una proteina transmembrana: ci sta dentro con due eliche (qui rappresentate in verde) che fanno un po' da spinotti. Quando in effetti ci proposero di studiarla, non ero affatto sicuro che quegli spinotti "tenessero". Temevo una riedizione della famosa esplosione del 2006 con la proteina che chissà dove sarebbe finita. Poiché però le sfide mi sono sempre piaciute (e i videogiochi ancora di più), decisi che valeva la pena tentare. Non soltanto il protocollo di simulazione resse il confronto con questo caso, ma riuscimmo anche a studiare la proteina nelle sue due forme MAO-A e MAO-B e a pubblicare un ottimo lavoro.
Dopo il successo della MAO, mi è capitato di discutere con il mio collega Daniele Dell'Orco dell'Università di Verona, il quale stava studiando la Recoverina, una proteina che si trova nella retina. Il nome deriva dal fatto che la recoverina permette alla retina di recuperare (to recover, in inglese) la sua funzione fisiologica dopo aver ricevuto la luce. In realtà è importante anche per adattare la nostra vista alla visione notturna. Ad ogni modo, funziona come sensore di ioni calcio: infatti, ad una sua estremità è presente un gruppo miristoile, una specie di coda idrofobica. In assenza di ioni calcio, questa coda è ripiegata all'interno della proteina e la recoverina resta fuori dalla membrana, in soluzione (lato destro della figura). In presenza di ioni calcio, invece, la coda viene estrusa: il miristoile, essendo idrofobico, non ama il contatto con l'acqua e cerca la membrana. La recoverina a questo punto si ancora in membrana con il gruppo miristoile ed è pronta per svolgere la sua funzione. Simulare questo processo non è per niente facile: in letteratura era presente già uno studio in cui c'erano voluti una ventina di tentativi per osservare finalmente il fenomeno in maniera riproducibile. Il mio collega veronese (che poi veronese non è, ma neanche io sono trentino) è un fisico con una grande attenzione per la biochimica: la precedente simulazione infatti non teneva conto di alcune proprietà peculiari della membrana presente nella retina, che è composta da diversi lipidi, alcuni dei quali sono carichi.
Abbiamo quindi unito le forze dei due gruppi di ricerca e provato a simulare la recoverina con gli ioni calcio legati e il gruppo miristoile lasciato libero. La recoverina si trovava ad una certa distanza da una membrana con una composizione molto simile a quella presente nelle cellule della retina. Dopo un tempo non troppo lungo (intorno ai 150 nanosecondi di simulazione), la recoverina è entrata in membrana e abbiamo potuto studiare anche quale fosse il meccanismo che trasformava questa proteina da "out" a "in". Il miristoile (qui in figura rappresentato in viola) da solo non è sufficiente: sono necessarie interazioni specifiche di alcuni amminoacidi carichi presenti nella recoverina con lipidi carichi che si trovano nella membrana e che non erano stati inclusi nella precedente simulazione. In effetti, la proteina fa diversi tentativi di approcciare la membrana, ma non sempre il miristoile riesce ad ancorarsi in membrana: l'attracco ha successo solo quando ci sono queste interazioni elettrostatiche che predispongono la recoverina nella giusta posizione. E' un po' come quando una nave attracca in porto: l'ancora viene gettata solo dopo che la nave è stata fissata con le corde alle bitte. Qui le bitte sono i lipidi carichi e le corde sono gli amminoacidi carichi presenti sulla superficie esterna della recoverina.
Ancora una volta è l'elettrostatica il linguaggio che le biomolecole usano per comunicare: in effetti tra le interazioni presenti nelle biomolecole (idrofobica, legami idrogeno ed elettrostatica) resta sempre la più specifica, la più forte e la più selettiva. Non sorprende dunque che giochi un ruolo così importante anche in questo caso, ruolo che però era passato inosservato fino alle nostre simulazioni. Ci fermiamo qui? Manco per sogno: con Daniele abbiamo già lanciato un nuovo progetto sulla recoverina, questa volta coinvolgendo tutti gli studenti del mio corso di Biofisica Computazionale all'Università di Trento. Di questo però parlerò in una prossima puntata, anche perché si tratta davvero di un Collettivo che (come direbbero i miei studenti) Wu Ming scansati...
Abbiamo quindi unito le forze dei due gruppi di ricerca e provato a simulare la recoverina con gli ioni calcio legati e il gruppo miristoile lasciato libero. La recoverina si trovava ad una certa distanza da una membrana con una composizione molto simile a quella presente nelle cellule della retina. Dopo un tempo non troppo lungo (intorno ai 150 nanosecondi di simulazione), la recoverina è entrata in membrana e abbiamo potuto studiare anche quale fosse il meccanismo che trasformava questa proteina da "out" a "in". Il miristoile (qui in figura rappresentato in viola) da solo non è sufficiente: sono necessarie interazioni specifiche di alcuni amminoacidi carichi presenti nella recoverina con lipidi carichi che si trovano nella membrana e che non erano stati inclusi nella precedente simulazione. In effetti, la proteina fa diversi tentativi di approcciare la membrana, ma non sempre il miristoile riesce ad ancorarsi in membrana: l'attracco ha successo solo quando ci sono queste interazioni elettrostatiche che predispongono la recoverina nella giusta posizione. E' un po' come quando una nave attracca in porto: l'ancora viene gettata solo dopo che la nave è stata fissata con le corde alle bitte. Qui le bitte sono i lipidi carichi e le corde sono gli amminoacidi carichi presenti sulla superficie esterna della recoverina.
Ancora una volta è l'elettrostatica il linguaggio che le biomolecole usano per comunicare: in effetti tra le interazioni presenti nelle biomolecole (idrofobica, legami idrogeno ed elettrostatica) resta sempre la più specifica, la più forte e la più selettiva. Non sorprende dunque che giochi un ruolo così importante anche in questo caso, ruolo che però era passato inosservato fino alle nostre simulazioni. Ci fermiamo qui? Manco per sogno: con Daniele abbiamo già lanciato un nuovo progetto sulla recoverina, questa volta coinvolgendo tutti gli studenti del mio corso di Biofisica Computazionale all'Università di Trento. Di questo però parlerò in una prossima puntata, anche perché si tratta davvero di un Collettivo che (come direbbero i miei studenti) Wu Ming scansati...





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