Scrivo questo post mentre all'aeroporto di Bergamo aspetto il bus che mi riporterà a Trento, dopo tre tappe di un tour estivo che mi è praticamente piombato addosso senza quasi che io me ne accorgessi. Viaggiare mi è sempre piaciuto, grazie alla spinta di una curiosità talmente forte da riuscire a vincere qualunque tipo di ansia, anche se poi l'ansia mi accompagna sempre e comunque. Viaggiare per lavoro è diventato poi una specie di sport che mi appassiona, mi motiva e mi stanca, ma a cui non riesco a dire di no. Questa volta però ho viaggiato non tanto per presentare progetti di ricerca, quanto per costruire ponti: si tratta di viaggi che non hanno nulla a che fare con il nuovo incarico da direttore di dipartimento, li avrei fatti a prescindere, ma hanno assunto una connotazione particolare proprio perché l'incarico è talmente totalizzante che il dipartimento me lo sono portato dietro. Ho quindi viaggiato su tre livelli: uno personale, con la sensazione di scoperta che accompagna ogni viaggio, uno con l'attività di ricerca del mio gruppo in biofisica computazionale e uno caratterizzato dallo sguardo ampio delle possibilità per il dipartimento che rappresento.
La tappa più personale, intima ed emotiva è stata sicuramente Trieste, per tutto quello che questa città rappresenta per me, ma soprattutto perché ho partecipato al Festival "Scienza e Virgola" che mi ha permesso di incontrare persone interessanti e di portare la rappresentazione della lezione aumentata "Cos'è la vita?" dentro le mura di un carcere. Non era la prima volta per me in carcere: avevo partecipato ad un progetto per insegnanti volontari nel carcere circondariale di Trento nell'estate 2019 ed era stata per me un'esperienza davvero formativa sul piano umano, ma anche sul piano professionale. Quella esperienza mi ha insegnato che lo studio e la curiosità permettono davvero di vedere oltre la triste realtà confinata delle sbarre. Trovarsi di fronte persone che nella vita hanno commesso errori e tendere una mano attraverso la cultura mi ha reso ancora più consapevole del mio lavoro e del mio posto nel mondo. E' stata quindi una grande emozione poter rappresentare questo spettacolo, che poi dice tanto delle mie scelte, davanti ai detenuti del carcere di Trieste. La maggiore soddisfazione però è stata alla fine dello spettacolo, quando ci siamo fermati a rispondere alle domande dei detenuti su argomenti vari: la biologia, la meccanica quantistica, il libero arbitrio...
Non ho avuto molto tempo per riprendermi da questa emozionante avventura, perché mi sono imbarcato su un volo per Toronto: destinazione Peterborough dove si trova l'Università di Trent. La storia del collegamento con Trent in realtà è nata in modo casuale, con alcuni miei colleghi della Facoltà di Giurisprudenza che avevano delle collaborazioni in atto. Grazie all'esperienza teatrale comune con i colleghi, l'idea del gemellaggio con l'Università di Trent (dal nome così vicino al nostro) è stata estesa anche ad altri dipartimenti. A novembre la delegazione canadese era stata in visita a Trento, per cui avevo dato la disponibilità a presentare le attività del dipartimento di fisica. A quel punto, sono stato coinvolto nell'organizzazione di questo "Learning to Learn Summit" a Trent.

L'idea del gemellaggio Trent-Trento non sarà certo originale e ha anche qualche connotazione che i miei studenti definirebbero "cringe", eppure si è trattato davvero di una bella occasione. Abbiamo infatti potuto confrontare diverse pratiche delle due università: è dal confronto che nascono le idee, perché è pur vero che il Canada e l'Italia sono due mondi diversi, ma spesso i problemi sono simili e le soluzioni dell'uno possono aiutare anche l'altro. E' stata anche un'occasione per constatare quanto i canadesi siano riusciti anche ad armonizzare le culture chiaramente europee dei coloni con alcune suggestioni (le chiamerei così) della cultura nativa americana. Non ho mai visto una tale sensibilità in altre parti del Nord America e, devo ammettere, mi è piaciuto molto potermi confrontare anche con una cultura così diversa, addirittura attorno ad un falò in una tipica tenda. E visitare il museo delle canoe, passeggiare nello splendido verde canadese, assaggiare le specialità locali e sentire quell'aria così sottile...
Infine, sono appena rientrato dal forum ECIU che si è tenuto all'Università Tecnologica di Kaunas, in Lituania. Anche qui, mi ci sono ritrovato quasi catapultato da una mail ricevuta dai nostri uffici internazionali di Ateneo. La sigla sta per European Consortium of Innovative Universities e comprende 14 università di 14 paesi diversi, 13 europei + il Messico. Per l'Italia c'è appunto l'Università di Trento e infatti ne avevo sentito parlare, ma finora non avevo mai capito fino in fondo le potenzialità di questo progetto. Si tratta infatti di creare una vera e propria rete di università, un po' come quello che stiamo cercando di fare con l'Università di Trent, ma questa volta molto più estesa e, soprattutto, con il supporto dei finanziamenti europei. Cercando di riassumere in poco spazio quello che ho potuto scoprire in questo Forum che riuniva delegazioni provenienti dai 14 paesi + una delegazione ucraina, ho potuto confrontare pratiche, metodiche e soprattutto ambizioni di tante università diverse, tutte accomunate dal desiderio di costruire una didattica più coinvolgente, più inclusiva, e più al passo con i tempi. E' qualcosa di cui avverto l'urgente necessità: la didattica frontale, che pure aveva i suoi bei vantaggi, sta ormai cedendo il passo a nuove forme.
Il motivo? Non è strettamente necessario essere in aula quando la lezione procede con le slide: un conto è usare la lavagna e svolgere dei calcoli, un altro è portare materiale che si può tranquillamente condividere con gli studenti prima della lezione. Le slide provocano sonnolenza e la tentazione di guardare il proprio smartphone è sempre irresistibile. E' necessario dare un senso alla presenza in aula degli studenti, che sia l'interazione con i docenti o l'interazione tra gli studenti stessi. O magari entrambe le cose, come succede nelle metodologie innovative di didattica. Sono tornato davvero carico di idee e suggestioni per quello che può essere il futuro della didattica nel mio dipartimento, ma anche il futuro della didattica e della ricerca nell'ambito della biofisica computazionale. In effetti, si tratta di una materia così transdisciplinare che risulta difficile inquadrarla in un corso tradizionale con un esame tradizionale. Ora spero di potere (con relativa calma) tradurre in pratica alcune di queste idee, ma intanto sono stato davvero contento di aver partecipato e di aver colto forse un barlume di quella che sarà l'università del futuro. Un suggerimento? Ascoltiamo i ragazzi e le ragazze, perché loro hanno un'idea di futuro che forse noi adulti non possiamo più avere. Mettiamoci l'esperienza, quindi, ma lasciamo che siano loro a guidarci. Con i sogni, incluso quello di una rete di università tra 13 paesi europei e il Messico.
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