Il tema di questo mese è un recentissimo articolo di rassegna apparso sul Journal of Physical Chemistry B proprio negli stessi giorni in cui stavo spiegando questo argomento nel mio corso di Biofisica Computazionale all'Università di Trento. E quindi mi sono chiesto come spiegarlo qui sul blog. Non è impresa facile ma ci provo. Immaginate di entrare in un laboratorio molto speciale. Niente fiale fumanti, niente calderoni, niente maghi con cappelli a punta. Qui la magia la fanno i computer, e le formule non sono incantesimi medievali ma equazioni della fisica. Eppure la sensazione è quella di assistere a un trucco di prestigio: molecole che cambiano identità, atomi che appaiono e scompaiono, trasformazioni impossibili che però aiutano a progettare i farmaci del futuro. Tutto parte da una domanda semplicissima: quanto una molecola vuole abbracciare la proteina che vogliamo bloccare? È una domanda d’amore, in fondo: questo potenziale farmaco si attacca con entusiasmo, o scappa alla prima occasione? La risposta sta nell’energia libera di legame, una grandezza che misura quanto è favorevole quell’incontro. Se è molto negativa, è amore vero. Se è positiva… beh, è una di quelle relazioni che durano il tempo di un caffè o anche meno.
Gli scienziati cercano di calcolare questa energia da decenni, fin dai primi tentativi di simulazione molecolare negli anni ’50. Ma immaginate di voler leggere un libro mentre l’autore lo sta riscrivendo continuamente a caso: ecco, simulare direttamente il processo di legame è un po’ così. Praticamente impossibile. A questo punto, entra in scena l’alchimia. Non quella dei libri di magia medievali (i grimori), ma una forma molto più elegante e moderna: le trasformazioni alchemiche al computer. Invece di inseguire la vera, complicatissima dinamica della molecola che si lega, si fa qualcosa di molto più furbo: si prende una molecola A e, con un gesto degno del miglior Houdini o del mago Silvan tanto caro alla mia generazione, la si trasforma gradualmente in una molecola B. Non nel mondo reale (dove chimicamente sarebbe spesso impossibile), ma dentro la simulazione. Alchimia computazionale, appunto.
Questa idea, nata negli anni ’30 grazie al fisico John Kirkwood, usa un parametro chiamato lambda, che potreste immaginare come la manopola del volume: da 0 a 1, e la molecola cambia forma con sorprendente grazia. Non trasformiamo il piombo in oro, purtroppo, ma un gruppo metilico in un ossidrile è già un discreto colpo di scena. Il vero momento Eureka arriva però negli anni ’80. J. Andrew McCammon (qui a lato) racconta di assistere a una conferenza su un tema non esattamente scoppiettante: calcolare l’energia necessaria per creare piccole cavità nell’acqua. Non proprio da lasciare il pubblico senza fiato. La sua mente vaga un po’, come spesso capita durante le conferenze tra una pausa caffè e la successiva. Poi, all’improvviso, un lampo: se posso calcolare l’energia per trasformare qualcosa nell’acqua… perché non potrei fare lo stesso per un farmaco legato a una proteina? Perché non usare l’alchimia computazionale per confrontare due molecole diverse e vedere quale si lega meglio? È come scoprire che, per sapere chi corre più veloce, non serve guardare la gara: basta confrontare quanto energia serve per cambiare una persona nell’altra, sia quando stanno sul divano sia quando stanno già correndo. Paradossale, ma se pensate a me e a Marcel Jacobs che ci alziamo dallo stesso divano, vi rendete subito conto che funziona!
Naturalmente, nessuna magia è davvero semplice. Per esempio, cosa succede se A e B hanno numeri diversi di atomi? Qui entrano in scena i famigerati “ghost atoms”, gli atomi fantasma. All’inizio non interagiscono con nulla e sembrano innocui, finché non si mettono a fluttuare liberi per tutto il sistema come palloncini sfuggiti di mano, seminando caos entropico e rovinando i calcoli. Bisognava inseguirli, contenerli, convincerli a comportarsi bene. Per anni gli scienziati hanno combattuto con questi spiriti dispettosi dentro software come AMBER e CHARMM, più simili a ferramenta scientifici che a eleganti laboratori teorici. E poi succede qualcosa che cambia tutto: arrivano le GPU, le schede grafiche dei videogiochi. All’improvviso le simulazioni diventano più rapide, più precise, più economiche, e quell’alchimia che sembrava un’idea brillante ma fragile conquista il suo posto nel mondo reale. Le aziende farmaceutiche iniziano a usarla per prendere decisioni vere: quali molecole testare, quali scartare, quali modificare. E quando il margine di errore scende vicino al magico 1 kcal/mol, la stregoneria diventa scienza affidabile.
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