Non sono un biologo, e nemmeno un astrobiologo. Sono un fisico, quindi uno di quelli che di solito si occupano di cose come elettroni, atomi, modelli matematici e altre entità che riusciamo a vedere con strumenti decisamente sofisticati. Eppure, da sempre, la possibilità che esista qualcosa, o qualcuno, là fuori, in un altro angolo della galassia, mi affascina. Forse perché, se la vita esiste davvero altrove, e io sono proprio certo che esista, la fisica e la biologia dovranno andare a braccetto per spiegare non solo come funziona l’universo, ma anche come l’universo vive. È per questo che ho letto con grande curiosità il libro di Giuseppe Galletta, "Astrobiologia: Alla ricerca di vita nello spazio" (Padova University Press, 2021). Non è un saggio di fantascienza, ma un’opera rigorosa e affascinante che racconta come la ricerca di vita extraterrestre sia passata dal "magari c’è" al "vediamo come cercarla". Galletta ci accompagna in un viaggio che parte dalle profondità della Via Lattea (più di 200 miliardi di stelle, e chissà quante possibilità) e arriva fino alle molecole fondamentali della vita come la conosciamo: fosforo (P), ossigeno (O), azoto (N), carbonio (C), idrogeno (H) e zolfo (S), il famoso sestetto “PONCHS”.
A questo punto il fisico che è in me si ferma un attimo. Perché il carbonio? Perché tutti gli organismi viventi, su questo pianeta almeno, sono costruiti intorno a quell’atomo dal bel carattere socievole, capace di fare legami in tutte le direzioni? Forse semplicemente perché era lì, in abbondanza, e si prestava bene. Ma la domanda più intrigante è un’altra: deve essere così ovunque?
E qui la biofisica (computazionale, nel mio caso) diventa filosofia. La vita terrestre si basa su amminoacidi “mancini”, zuccheri a cinque atomi di carbonio e solo cinque basi azotate nel DNA. Perché proprio questi? Nessuno lo sa. Non c’è una legge fisica che impedisca di usare la mano destra invece della sinistra, o di costruire l’acido nucleico con un altro zucchero. È solo una scelta casuale, un lancio di moneta avvenuto miliardi di anni fa. Il nostro “ultimo precursore universale comune” (LUCA, per gli amici, da "Last Universal Common Ancestor") ha deciso così, e da allora nessuno ha più osato cambiare. Tra l'altro anche io per gli amici di vecchia data sono sempre stato Luca, anche se la data non è così vecchia da gustarsi l'evoluzione di organismi complessi come il nostro. Per quanto invece i batteri in 50 anni di evoluzione ne hanno fatta, eccome... gli antibiotici dei tempi in cui sono nato io ormai non funzionano più, giusto per dirne una.
Quindi Luca così ha deciso: la vita è sinistrorsa, almeno sul nostro pianeta. Ma altrove? Se la vita su un altro pianeta si fosse sviluppata con amminoacidi destrorsi, zuccheri a sei atomi o molecole completamente diverse, riusciremmo persino a riconoscerla come “vita”? Ecco uno dei punti più stimolanti del libro di Galletta: l’astrobiologia, se vuole davvero scoprire qualcosa di nuovo, non può cercare semplicemente noi stessi con un’altra pelle, come i miei amati Visitors degli anni '80 (adoravo le loro divise arancioni e gli occhiali da sole). Deve imparare a riconoscere il “vivente” anche quando non somiglia per nulla al nostro concetto di organismo.
Questo porta a esplorare luoghi che sembrano fatti apposta per gli scenari di fantascienza: i fumatori neri o black smokers, che non sono un particolare gruppo rock dedito al fumo, bensì le sorgenti idrotermali sottomarine dove i batteri prosperano tra zampilli di zolfo bollente; oppure il lago Vostok, sepolto sotto quattro chilometri di ghiaccio antartico da centinaia di migliaia di anni. Vai a capire cosa potrebbe succedere se dovesse sciogliersi la calotta antartica e liberare batteri intrappolati lì da allora. Sono ambienti talmente estremi da sembrare alieni già qui, sulla Terra. Se la vita è riuscita a cavarsela in questi posti, forse non dobbiamo stupirci se la troveremo anche nelle profondità ghiacciate di Europa o Encelado, le lune di Giove e Saturno.
Poi c’è il Paradosso di Fermi, che ogni tanto ritorna a tormentare chi guarda il cielo di notte: se l’universo pullula di stelle e pianeti, e se la vita è relativamente comune, allora… dove sono tutti? Forse le distanze sono troppo grandi, forse la velocità della luce è davvero, come sembra, un limite invalicabile per chiunque, oppure (ipotesi più inquietante) forse la vita intelligente tende all’autodistruzione prima di poter fare il grande salto. In altre parole, una civiltà tecnicamente avanzata non è sostenibile da un pianeta: il nostro in effetti mostra già segnali di insofferenza e, almeno a giudicare dalle litigate sui social, viene voglia di dargli pienamente ragione...
O, come suggerisce Galletta, forse gli alieni ci sono, ma non vogliono avere a che fare con noi dopo aver visto anche una sola puntata di "Uomini e Donne" o "Ballando con le stelle". Del resto, la storia terrestre ci insegna che gli “incontri tra civiltà” raramente finiscono bene. Chi lo sa, magari in qualche angolo remoto della galassia c’è una specie che ha deciso di non farsi trovare proprio per evitare un sequel interstellare della conquista delle Americhe.Insomma, l’Astrobiologia è una disciplina che mescola scienza dura e immaginazione, equazioni e poesia cosmica. Ed è anche per questo che mi affascina: perché, pur essendo fisico, non posso evitare di chiedermi se da qualche parte, in questo universo, ci sia un’altra forma di vita che si pone le stesse domande. Ma lo faccio non so neanche io da quanto... il primo momento in cui ho messo il naso all'insù risale alla prevista caduta dello Skylab nel 1979: mia mamma mi raccontava sempre che continuavo a guardare verso il cielo, in attesa di veder cadere questo oggetto che avrebbe potuto distruggere tutto, secondo quanto dicevano le televisioni di allora o almeno così arrivava alle orecchie di un bambino di 6 anni.Bene, quel bambino che nel 1979 scrutava il cielo aspettando di vedere cadere lo Skylab oggi guarda ancora verso l’alto, con la vista un po' più sfocata e sicuramente con meno capelli. E proprio quel bambino, giovedì 11 dicembre, sarà al Teatro della Meraviglia per una serata che unisce scienza, musica e un pizzico di fantascienza. Prima dello spettacolo serale Carbonio, una lettura scenica pluripremiata e tradotta in varie lingue, che racconta un incontro ravvicinato con una forma di vita completamente aliena (e per una volta non fatta di carbonio!), ci sarà un antipasto spettacolare intitolato "Mi sento un alieno".
Sarà un’occasione per riflettere di astrobiologia e fisica in modo leggero e curioso: parleremo di vita oltre la Terra, della possibilità che si sviluppi in condizioni diversissime dalle nostre, e soprattutto di come potrebbe apparire una forma di vita non basata sul carbonio, l’elemento che qui da noi tiene insieme tutto, dalla parmigiana di melanzane al DNA.
Ad accompagnare queste riflessioni ci saranno i narratori scienziati di UniTrento Open Mike, con brevi storie ispirate al tema “quella volta che mi sono sentito un alieno”, e non solo in senso cosmico. E poi ci sarà la Musica della Meraviglia: i Radiocosmici, Lorenzo Sighel (sax) e Michele Kettmaier (keys), che esploreranno paesaggi sonori interstellari, tra vibrazioni aliene e improvvisazioni cosmiche capaci di trasformare il palco in un piccolo universo in espansione. Insomma, una serata per chi ama le stelle, la curiosità e l’idea che, in fondo, sentirsi un po’ alieni ogni tanto è il modo migliore per restare umani.
Vi aspetto quindi giovedì 11 dicembre al Teatro della Meraviglia. Portatevi la curiosità… e magari un po’ di carbonio di scorta, sotto forma di carboidrati: non si sa mai, dovesse servire.
Poi c’è il Paradosso di Fermi, che ogni tanto ritorna a tormentare chi guarda il cielo di notte: se l’universo pullula di stelle e pianeti, e se la vita è relativamente comune, allora… dove sono tutti? Forse le distanze sono troppo grandi, forse la velocità della luce è davvero, come sembra, un limite invalicabile per chiunque, oppure (ipotesi più inquietante) forse la vita intelligente tende all’autodistruzione prima di poter fare il grande salto. In altre parole, una civiltà tecnicamente avanzata non è sostenibile da un pianeta: il nostro in effetti mostra già segnali di insofferenza e, almeno a giudicare dalle litigate sui social, viene voglia di dargli pienamente ragione...
O, come suggerisce Galletta, forse gli alieni ci sono, ma non vogliono avere a che fare con noi dopo aver visto anche una sola puntata di "Uomini e Donne" o "Ballando con le stelle". Del resto, la storia terrestre ci insegna che gli “incontri tra civiltà” raramente finiscono bene. Chi lo sa, magari in qualche angolo remoto della galassia c’è una specie che ha deciso di non farsi trovare proprio per evitare un sequel interstellare della conquista delle Americhe.Insomma, l’Astrobiologia è una disciplina che mescola scienza dura e immaginazione, equazioni e poesia cosmica. Ed è anche per questo che mi affascina: perché, pur essendo fisico, non posso evitare di chiedermi se da qualche parte, in questo universo, ci sia un’altra forma di vita che si pone le stesse domande. Ma lo faccio non so neanche io da quanto... il primo momento in cui ho messo il naso all'insù risale alla prevista caduta dello Skylab nel 1979: mia mamma mi raccontava sempre che continuavo a guardare verso il cielo, in attesa di veder cadere questo oggetto che avrebbe potuto distruggere tutto, secondo quanto dicevano le televisioni di allora o almeno così arrivava alle orecchie di un bambino di 6 anni.Bene, quel bambino che nel 1979 scrutava il cielo aspettando di vedere cadere lo Skylab oggi guarda ancora verso l’alto, con la vista un po' più sfocata e sicuramente con meno capelli. E proprio quel bambino, giovedì 11 dicembre, sarà al Teatro della Meraviglia per una serata che unisce scienza, musica e un pizzico di fantascienza. Prima dello spettacolo serale Carbonio, una lettura scenica pluripremiata e tradotta in varie lingue, che racconta un incontro ravvicinato con una forma di vita completamente aliena (e per una volta non fatta di carbonio!), ci sarà un antipasto spettacolare intitolato "Mi sento un alieno".
Sarà un’occasione per riflettere di astrobiologia e fisica in modo leggero e curioso: parleremo di vita oltre la Terra, della possibilità che si sviluppi in condizioni diversissime dalle nostre, e soprattutto di come potrebbe apparire una forma di vita non basata sul carbonio, l’elemento che qui da noi tiene insieme tutto, dalla parmigiana di melanzane al DNA.
Ad accompagnare queste riflessioni ci saranno i narratori scienziati di UniTrento Open Mike, con brevi storie ispirate al tema “quella volta che mi sono sentito un alieno”, e non solo in senso cosmico. E poi ci sarà la Musica della Meraviglia: i Radiocosmici, Lorenzo Sighel (sax) e Michele Kettmaier (keys), che esploreranno paesaggi sonori interstellari, tra vibrazioni aliene e improvvisazioni cosmiche capaci di trasformare il palco in un piccolo universo in espansione. Insomma, una serata per chi ama le stelle, la curiosità e l’idea che, in fondo, sentirsi un po’ alieni ogni tanto è il modo migliore per restare umani.
Vi aspetto quindi giovedì 11 dicembre al Teatro della Meraviglia. Portatevi la curiosità… e magari un po’ di carbonio di scorta, sotto forma di carboidrati: non si sa mai, dovesse servire.
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