martedì 11 aprile 2017

Pizza, birra e protein folding

L'idea del post di questo mese mi è venuta davanti a una pizza con il mio Sprachpartner del corso di tedesco, Gerald (sarebbe il tizio che ascolta i miei errori e tenta anche di rispondere facendo finta che io ponga domande sensate in tedesco). Gerald studia ingegneria ambientale, ma è molto affascinato dalle scienze in generale, e dalla fisica in particolare. Incuriosito dalle mie ricerche, ha cominciato a pormi una serie di domande sui polimeri e sulle proteine. Nel descrivergli alcuni dei concetti base, mi sono reso conto che stavo comunicando tutto con una passione che ha finito per travolgere anche il mio malcapitato interlocutore, che tuttavia continuava a pormi domande, meravigliato anche del fatto che questo campo di ricerca fosse così vivace. Il problema è il ripiegamento delle proteine, noto anche come "protein folding", ed è proprio uno dei campi di ricerca in cui la biofisica computazionale ha giocato (e gioca tuttora) un ruolo da protagonista.
Per poterlo comprendere, dobbiamo però prima spiegare in termini molto semplici cosa sia una proteina. Una proteina è sostanzialmente una catena, un po' come quelle con cui abbiamo giocato da bambini, costruita infilando, una dopo l'altra, tante perline colorate, come nella figura qui a sinistra. In gergo le singole perline colorate sono chiamate monomeri, una catena piccola di perline è detta oligomero (dal greco ολιγοι che vuol dire "poco"), una catena lunga è detta polimero. Esattamente come con le catenine, è possibile creare polimeri con forme diverse: ad esempio potremmo unire le due estremità di un polimero per formare una catena chiusa, come una classica collana di perle (polimero ad anello), oppure far partire diversi fili da un unico centro (polimeri a stella), o far partire tante catene parallele da un'unica zona (polimeri a spazzola). Nel caso delle proteine, abbiamo 20 tipi diversi di perline, che sono chiamati amminoacidi. Ora, gli amminoacidi hanno proprietà che possono essere diverse, un po' come i caratteri delle persone: alcuni di questi sono carichi (cioè hanno una carica elettrica) e naturalmente con carica positiva o negativa, altri sono elettricamente neutri, alcuni amano stare a contatto con l'acqua (idrofili), altri non amano stare a contatto con l'acqua (idrofobi). Per cercare di capire meglio, possiamo pensare ad esempio alle proprietà elettriche come alla presenza di piccole calamite all'interno delle perline, che quindi ne faranno avvicinare alcune (ad esempio le verdi con le gialle) e allontanare altre. Oppure cercheranno di far avvicinare tra loro tutte le perline idrofobe, verso l'interno, in modo che sia ridotto al minimo indispensabile il contatto con l'acqua. 
Queste, in termini fisici, sono forze che tendono a conferire alle catene, e quindi alle proteine, una loro forma particolare, detta "struttura nativa". In altre parole, le proteine sono capaci di ripiegarsi su se stesse, a partire dalla catena degli amminoacidi, senza che vi sia l'intervento di nessuno. Immaginate di avere tanti gomitoli di lana che potete srotolare tutte le volte che volete e si riavvolgeranno sempre nello stesso identico modo. Da soli, senza alcun aiuto. O meglio, a causa delle sole leggi della fisica. Ecco, le proteine sono capaci di fare tutto questo. E non solo: perché è proprio la struttura nativa che permette alle proteine di svolgere i loro compiti all'interno delle nostre cellule, in modo che il nostro organismo funzioni. E naturalmente, quando non raggiungono la loro forma, facendo fallire il processo di ripiegamento o folding (si parla appunto di misfolding che in italiano suonerebbe come malripiegamento), non funzionano più e quindi possono far insorgere malattie terribili: Alzheimer, Parkinson, anemia falciforme, morbo di Creutzfeld-Jacob o "mucca pazza", tumori... e mi fermo qui, prima che l'ipocondria prenda il sopravvento. 
La prima domanda che quindi può venire in mente è: come fanno? O meglio, quanto tempo ci metterebbero se facessero tutto in modo casuale, assumendo tutte le forme possibili fino a trovare quella giusta? Un po' come chiedere ad un giocatore di golf bendato di tirare la palla in buca in un campo enorme: un calcolo molto semplice venne fatto da Cyrus Levinthal (1922-1990), guarda caso anche lui un fisico convertito sulla "via di Damasco" della biologia molecolare. Nel 1969, Levinthal stimò che il campo da golf dovesse essere davvero enorme: ci volevano circa mille miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di tiri. Ora, anche assumendo di fare un miliardo di tiri al secondo (con i miei più sinceri complimenti al giocatore di golf), l'età dell'universo non sarebbe sufficiente. Eppure le proteine si ripiegano nel giro di minuti, quando sono molto grosse (Levinthal fece questa stima per proteine piuttosto piccole). Questo è noto come "paradosso di Levinthal" e viene di solito posto come punto di partenza del protein folding e anche della biofisica computazionale, visto che il conto di Levinthal è proprio basato su una stima delle possibili conformazioni di tutti i gradi di libertà di una proteina.
Tuttavia lo stesso Levinthal nel suo articolo (peraltro scritto in un inglese pulitissimo e lucidissimo), dopo aver impressionato il lettore con questa stima, trovò una possibile soluzione: non è mica detto che la proteina esplori tutte le possibili conformazioni, perché magari non tutte sono ugualmente importanti. O meglio, usando questa nostra analogia: non è detto che il campo da golf sia totalmente pianeggiante. Magari la buca si trova all'interno di una buca un po' più larga all'interno di una buca un po' più larga: una specie di imbuto. Bene: questa è la cosiddetta "Funnel theory", ovvero la teoria dell'imbuto, per la quale ho scelto una testimonial d'eccezione qui a fianco.
Dall'articolo di Levinthal sono passati ormai quasi 50 anni: i modelli della biofisica computazionale (dei quali avrò modo di parlare) hanno permesso di studiare la forma di questi imbuti, mettendo in luce che di sicuro avremmo i nostri bei problemi a cercare di lavarli con spugna e detersivo. Infatti, al loro interno sono presenti solchi, buche, trappole, che corrispondono ad altrettanti stati possibili per la proteina corrispondente. Non solo: ogni proteina ha un suo particolare profilo a imbuto, che può essere alterato dalle condizioni circostanti: presenza di sali disciolti in acqua, di campi elettrici, condizioni di acidità della soluzione, presenza di altre proteine nelle vicinanze, interazioni con molecole e/o farmaci e tutte le possibilità che la biologia può e sa offrire.
La "teoria ad imbuto", oggi
Tuttavia è proprio compito della biofisica computazionale ricostruire la forma e le caratteristiche peculiari di questi imbuti, naturalmente in stretta collaborazione con i gruppi che si occupano di gestire e analizzare i difficili esperimenti che sono necessari per validare o confutare le ipotesi di lavoro. E l'interesse per la ricostruzione di questi imbuti è tutt'altro che accademico: ricostruire questi imbuti permette infatti di comprendere quali sono le possibili trappole in cui si annidano le cause delle malattie dovute al misfolding. E, come sempre, comprendere significa anche cercare di intervenire: in questo caso, cercare di creare farmaci per prevenire l'insorgenza di quelle terribili malattie che ho elencato un po' più in alto in questo post e che la mia ipocondria mi impedisce di ripetere.
Lo so che vi è rimasta ancora almeno una domanda: mi è sembrato giusto offrire pizza e birra al malcapitato Gerald. Mi pareva il minimo.

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