Facebook e i social in genere sono un buon mezzo per restare in contatto con persone che hai conosciuto e delle quali ti fa piacere seguire il percorso, anche se magari le vite hanno preso direzioni molto diverse e non le vedi da diversi anni. A maggior ragione questo è valido nel mondo della ricerca, anche se i miei colleghi più giovani sostengono che Twitter sia più utilizzato (mi ci devo ancora abituare). E' stato appunto un post su facebook di una giovane ricercatrice (Valeria) a incuriosirmi e quindi a farmi conoscere l'articolo e il problema di cui parlerò in questo post. Il punto di partenza è sempre la guerra contro i batteri: certo, sappiamo che c'erano prima di noi e ci saranno anche dopo che noi saremo estinti. Sappiamo anche che sono utili perché, senza, il nostro organismo non potrebbe funzionare; tuttavia sappiamo anche che possono creare diversi danni, procurare malattie molto pericolose e, soprattutto, hanno una notevole abilità a escogitare nuove tecniche per sconfiggere i nostri farmaci. Noi continuiamo a investire soldi e tempo nella ricerca per produrre nuove medicine, loro si riproducono e lasciano che l'evoluzione selezioni le mutazioni che permettono di resistere ai nostri farmaci.
Tra le varie strategie, ad esempio, c'è quella sviluppata contro gli antibiotici beta-lattamici, tra i quali la famosa penicillina: in questa classe di antibiotici è presente un anello quadrato, il beta-lattame appunto. Queste molecole sono in grado di fare molti danni ad alcuni batteri. O meglio, erano in grado di fare molti danni. Infatti, nel corso dei decenni in cui abbiamo usato antibiotici beta-lattamici, alcuni batteri sono stati in grado (evolvendo) di sviluppare una proteina, la beta-lattamasi. Indovinate un po' cosa fa la beta-lattamasi? Rompe proprio l'anello di beta-lattame e distrugge il farmaco, salvando il batterio, permettendogli di aumentare le proprie possibilità di riprodursi e trasmettere il gene della beta-lattamasi. La situazione è talmente grave che in medicina si è dovuto cercare un'alternativa costruendo dei farmaci inibitori della beta-lattamasi. In questo modo, somministrando insieme beta-lattamici e inibitori della beta-lattamasi, si riesce ancora ad avere qualche arma in più contro i batteri.

E' proprio qui che si colloca il lavoro appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Physical Review Letters dal gruppo di ricerca inglese di cui fa parte la mia amica Valeria, che lavora in Inghilterra. Il tentativo è quello di capire come funzionano alcuni peptidi (ovvero piccole sequenze di amminoacidi) antimicrobici (AMP è l'acronimo delle corrispettive parole inglesi antimicrobial peptides) che sono in grado di indurre il passaggio di ioni e prodotti del metabolismo, e scombinare gli equilibri elettrici e fisici fino a produrre la rottura della membrana stessa. Il gruppo di ricerca inglese ha studiato il meccanismo costruendo diversi modelli di membrana, tutti molto rappresentativi delle membrane batteriche (nel tentativo quindi di restare più vicini possibile alle condizioni degli esperimenti). Sulle membrane hanno distribuito dei peptidi AMP appartenenti alla classe delle cecropine, tra le più efficaci nel provocare rotture di membrane. La situazione è quella che si può notare qui a lato: i pallini rossi sono molecole di acqua, mentre le eliche gialle sono le cecropine. La parte in opaco è la membrana: un buco nella membrana sarebbe immediatamente visibile perché l'acqua passerebbe indisturbata da una parte all'altra. Quello che si può notare confrontando la figura di sopra con quella di sotto è che le cecropine fanno un po' quel che vogliono in membrana, ma non riescono a formare un vero e proprio poro attraverso il quale l'acqua possa passare con facilità. Qui e là sembra che la membrana sia effettivamente indebolita, ma nella sostanza, la situazione non è molto diversa da quella della membrana senza cecropine (figura in alto). Tuttavia le membrane non sono soltanto delle mura difensive della cellula, statiche e rigide, tutt'altro: sono entità molto mobili, perché le cellule sono elastiche e devono anche muoversi, aderiscono alle superfici, ad altre cellule, sono costantemente tirate da una parte o dall'altra. I ricercatori inglesi si sono dunque chiesti: cosa succede ad una membrana sottoposta a tutte queste forze che la tirano da una parte e dall'altra? In una simulazione, è possibile rispondere a questa domanda inserendo nei codici delle forze che tirino la membrana lungo la sua superficie.
Il risultato è nella figura qui a sinistra: una membrana soggetta a una certa forza in generale non si rompe (figura superiore). Se però sono presenti le cecropine, anche forze relativamente piccole provocano la catastrofe qui a lato (figura inferiore): la membrana si squarcia e si formano buchi molto grandi attraverso i quali sicuramente passano acqua e ioni, ma potrebbero passare anche molecole più grandi. In pratica i malcapitati batteri che incontrano le cecropine a prima vista sembrerebbero come tutti gli altri, ma nella realtà sono molto più deboli: basta fare un piccolo movimento (neanche troppo falso) e si formano pori difficilmente riparabili. Naturalmente i ricercatori hanno poi verificato le loro ipotesi cambiando composizione della membrana e cercando anche di comprendere che tipo di poro viene formato: si tratta di pori relativamente stabili in cui le cecropine sembrerebbero proprio contribuire a tenere insieme i lipidi della membrana in modo che possano rivolgersi all'interno del poro e non più verso la parte extra- o intra-cellulare. Si tratta di una nuova arma? Beh, in parte sì: come già detto, cambiare le proprietà della membrana è più difficile rispetto a cambiare le proprietà delle proteine. Del resto, il meccanismo sembra essere abbastanza indipendente dal tipo di membrana, anche se ne restano tanti ancora da esplorare. Di sicuro, anche se l'arma dovesse funzionare come promette, i batteri continueranno comunque a evolvere: se esiste un meccanismo per resistere e una molecola di grassi che permetta loro di evitare la morte per un semplice movimento, siamo sicuri che lo troveranno. Nel frattempo però avremo comunque un'arma in più e in guerra come in amore vale tutto. Il problema qui è che c'è la guerra, ma non l'amore: è solo grande capacità di riproduzione. Che poi, in effetti, l'amore viene da lì... o no?
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