Sì ma noi vogliamo prendere l'ascensore! Era questa la risposta che davamo ai tempi in cui io ero bambino, più o meno a cavallo tra le prime due guerre puniche (scherzo, eh?). In effetti, il mondo è fatto davvero a scale, proprio inteso come realtà fisica del mondo. La biologia, che di questo mondo (e, azzardo un sicuramente anche di altri) fa parte, non fa alcuna eccezione. Tutt'altro. Il punto è di quali scale stiamo parlando: sì, perché ci sono scale spaziali e scale temporali. Le scale spaziali non hanno nulla a che vedere con le alabarde spaziali (mi è partita la sigla finale di Goldrake: scusate, nel '78 ero un bambino di 5 anni), ma si riferiscono al nostro sguardo sui fenomeni biologici che va dal decimilionesimo del metro (il cosiddetto Ångstrom con quel suo nome da mobile componibile svedese) agli esseri viventi più grandi conosciuti sul nostro pianeta (al momento gli oltre 30 metri della balenottera azzurra). Un rapido calcolo ci dice che il fattore di scala (cioè il rapporto tra la lunghezza dell'animale più grande e la distanza tra due atomi in una molecola biologica) è 11, cioè 11 moltiplicazioni consecutive per 10. La situazione per le scale temporali è anche più impressionante: i fenomeni biologici più veloci avvengono su scale che sono dell'ordine del milionesimo di miliardesimo di secondo (il cosiddetto femtosecondo) per l'assorbimento della luce in un sistema fotosintetico (o anche nelle cellule della nostra retina), mentre l'animale più longevo (la spugna di mare, ma esiste un animale che è praticamente eterno) arriva ai 10mila anni. Il fattore di scala è pari a 26. Ora, con quale animo o con quale coraggio pretendiamo di poter studiare la vita con tutte le sue scale simulandola sui nostri calcolatori? Già, non è affatto una cosa facile e la situazione non cambia se riduciamo le nostre ambizioni alla sola cellula. Il fattore di scala spaziale è intorno a 5, ma quello temporale resta comunque almeno intorno a 21 (100mila secondi in fondo sono soltanto poco più di un giorno e la maggior parte delle nostre cellule vive per mesi).

Infatti non ci riusciamo. Però attenzione: non riusciamo a simulare la vita, ma possiamo studiare molti processi che avvengono nelle nostre cellule. Come sempre dobbiamo accontentarci, ma qui chi si accontenta non gode, perché dobbiamo mettere insieme i pezzi di un puzzle davvero complicato e questo comporta l'impiego di metodi diversi su scale diverse. Per un fisico, è un immenso luna park: a volte (anzi, il più delle volte) è davvero frustrante vedere che tutti i nostri calcoli alla fine si riducono a studiare una porzione della cellula che ha le dimensioni di circa 10 nanometri (10 milionesimi di metro) per tempi che non vanno oltre i pochi milionesimi di secondo (10 microsecondi). Eppure il problema è che stiamo pretendendo di studiare quei processi fino a osservare il dettaglio atomico: vorremmo cioè descrivere cosa sta accadendo ai singoli atomi presenti in quella particolare proteina o biomolecola, in generale. Se abbassiamo un po' le nostre pretese e cerchiamo invece di studiare cosa fanno le proteine che interagiscono tra loro senza descriverle con tutta la gloria dei loro dettagli a livello atomico, riusciamo a studiare anche un'intera cellula senza difficoltà e su scale di tempo che sono confrontabili con quelle della vita. Il punto è che però "studiare" non è abbastanza: in realtà quello che riusciamo a fare è descrivere quello che sta accadendo, ma non sempre riusciamo a comprenderlo. Per poterlo comprendere, dobbiamo comunque scendere a quel livello di dettaglio che solo le simulazioni atomistiche riescono a fornire. E attenzione: non ho ancora menzionato i fenomeni più rapidi, come l'assorbimento della luce, che richiedono metodi ancora più sofisticati perché in quei casi non possiamo usare la meccanica classica e siamo costretti a impiegare la meccanica quantistica. In quei casi le dimensioni dei sistemi che possiamo studiare sono intorno al milionesimo di metro e i tempi si aggirano intorno ai miliardesimi di secondo, praticamente il nulla rispetto alla complessità della biologia.
Infatti l'idea dei cosiddetti metodi multiscala risale già alla metà degli anni '70 con i primi tentativi di utilizzare la meccanica quantistica per descrivere la rottura di un legame chimico in una biomolecola e la meccanica classica per la descrizione di quello che avviene agli atomi vicini. A rigore di logica, in questi modelli (QM/MM in gergo, che sta per Quantum Mechanics/Molecular Mechanics) la risoluzione è la stessa, cioè guardiamo a cosa succede ai singoli atomi: tuttavia nella parte che coinvolge la meccanica quantistica la descrizione è più complicata e può, almeno in linea di principio, prendere in considerazione anche eventuali transizioni da uno stato all'altro dovute all'assorbimento di un fotone. Si tratta di giocare praticamente su due tavoli, uno quantistico e quindi molto complicato e l'altro classico e un po' meno complicato (in termini di equazioni, perché in termini biologici tutto è complicato). Tuttavia, e questa è una caratteristica di tutti i metodi multiscala, il vero dramma è gestire la zona intermedia: quella (sottile?) zona d'ombra tra la parte classica e la parte quantistica, che in gergo chiamiamo "interfaccia". Negli ultimi quaranta anni questi modelli multiscala hanno conosciuto un successo davvero impensabile, dovuto soprattutto alla potenza di calcolo, risultato sia del progresso tecnologico sul fronte informatico, sia dei metodi computazionali sempre più efficienti. E' un campo in cui il progresso metodologico permette di affrontare sfide sempre più complesse e stimolanti, con un limite però sulla scala dei tempi e dello spazio. Difficilmente si potrà andare infatti oltre i cento milionesimi di metro e qualche milionesimo di secondo, a meno che non diventino immediatamente disponibili i computer quantistici. Resta però l'idea di base dei modelli QM/MM, ovvero quella di trattare le diverse regioni di una simulazione in modo diverso, inserendo più scale nella stessa simulazione con la stessa risoluzione.
In effetti, il dettaglio atomico non ci interessa sempre: ci sono zone della proteina che si muovono collettivamente e quindi possono essere trattate quasi come parti rigide e altre in cui invece quello che accade ai singoli amminoacidi è molto importante. Per le zone quasi rigide è possibile utilizzare i modelli a grana grossa (o coarse grained, CG), mentre le parti in cui ci interessa cosa avviene a livello dei singoli atomi possono essere descritte con la meccanica molecolare. In linea di principio si potrebbe addirittura avere una zona QM, una MM e una CG. In questo caso, più che di metodi multiscala si parla di metodi a risoluzione multipla (multiresolution), perché si tratta di guardare con una lente di ingrandimento quello che accade nella zona di interesse e lasciare che tutto il resto faccia da supporto meccanico. Per fare l'esempio di un metodo a risoluzione multipla, è come provare a interfacciare i mattoncini @Lego @Duplo con i normali mattoncini @Lego e qualche bel mattoncino di @Lego @Technic, qualcosa che non sempre riesce facilmente. Il guadagno in termini di calcolo c'è, ma ci sono diversi problemi da risolvere: il primo è, anche qui, la zona intermedia, l'interfaccia, la compatibilità tra i Duplo e i Lego normali. Il secondo è trovare modelli per la parte CG che siano validi, anche perché la parte CG dovrà necessariamente condensare in pochi parametri una situazione interna che può essere molto complicata. Talmente complicata che i parametri della parte CG potrebbero variare da caso a caso anche trattando la stessa componente meccanica: un po' come se i mattoncini Lego cambiassero il loro incastro perché ci sono mattoncini lego di colore diverso nei dintorni. E non voglio neanche accennare ai problemi legati alla validità dei modelli CG al variare della temperatura, perché la dipendenza da quest'ultima sarebbe molto più selvaggia rispetto ai modelli atomistici. Insomma, i problemi sono tanti, ma sono anche tante le promesse: è solo con i modelli a risoluzione multipla che si potrà simulare il comportamento di un'intera cellula includendo alcuni processi che devono avvenire a livello dei singoli atomi.
Per il momento però siamo ancora lontani e, a parte la metodologia, uno dei problemi più pressanti è proprio mettere d'accordo i tantissimi gruppi di ricerca che lavorano su queste tematiche. Qui a Trento, ci stiamo provando con il progetto europeo Variamols (di cui ho già parlato nell'intervista al mio collega Raffaello Potestio in un post precedente). Se ne è però parlato anche ad una conferenza recente (giugno 2019): i risultati del dibattito sono stati condensati in un articolo che ha il merito di essere molto discorsivo e di contenere una buona parte di riferimenti (non tutti) per approfondire queste tematiche. Si capisce però chiaramente che sarà davvero una sfida trovare un terreno comune anche soltanto per fare in modo che i diversi modelli riescano a parlare tra loro e con i modelli atomistici, un passaggio necessario per affrontare la complessità delle biologia: sicuramente nel procedere attraverso queste scale, ci perderemo nella bellezza di quanto milioni di anni di evoluzione sono riusciti a determinare, ma dovremo fare la fatica di salire le stesse bellissime scale un gradino alla volta, perché di ascensori purtroppo non ce ne sono...
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