L'enorme campagna vaccinale, ormai mondiale, ci sta facendo pian piano tornare verso una nuova forma di normalità, che somiglia molto alla vita come la ricordavamo prima di questa terribile pandemia. Siamo però tutti molto preoccupati per le varianti di questo virus e, in effetti, al momento stiamo combattendo contro la cosiddetta variante delta, anche se sono già state scomodate altre lettere dell'alfabeto greco. Esiste un metodo per stabilire quali potrebbero essere le prossime varianti e non trovarsi impreparati di fronte ad esse? E' la domanda a cui hanno cercato di rispondere Savvas Polydorides e Georgios Archontis dell'Università di Nicosia, nella bellissima isola di Cipro. Il loro articolo è stato pubblicato su un numero speciale del Biophysical Journal, dedicato a come la comunità dei biofisici ha accolto la sfida del Covid-19. E' il secondo della serie, perché un primo numero era già stato pubblicato circa un anno fa. E' un numero in cui si parla praticamente di quasi ogni aspetto legato al Covid-19, con tutti i possibili metodi sperimentali e computazionali, inclusi alcuni contributi sulla decontaminazione delle ormai familiari mascherine.
Torniamo però allo studio dei due colleghi ciprioti, che è uno di quelli in cui la biofisica computazionale gioca un ruolo davvero importante, senza impiegare neanche troppe risorse computazionali. Nell'articolo gli autori descrivono un intelligente protocollo di simulazione che combina la dinamica molecolare (e quindi i movimenti delle proteine) con il metodo Monte Carlo per tracciare un profilo di probabilità per le possibili varianti del Covid-19. Il punto di partenza, come sempre, è costituito dalla struttura cristallografica del complesso formato dalla famigerata Proteina Spike del Sars-Cov-2 (per intenderci, proprio quella contro la quale i nostri vaccini dovrebbero aver prodotto anticorpi) e un recettore, ovvero la proteina ACE2 presente sulle nostre membrane cellulari. Questa proteina è un enzima (ACE sta per Enzima Convertitore dell'Angiotensina): è presente nei nostri polmoni, nelle arterie, nei reni e nell'intestino, tutti organi che in effetti possono essere, con vari livelli di gravità, colpiti dal virus Covid-19. Questa proteina di per sé avrebbe altre funzioni, tra cui quella di far abbassare la nostra pressione sanguigna e infatti è un bersaglio per il trattamento di malattie cardiovascolari. Tuttavia è proprio il portone di ingresso per i coronavirus in genere e per il Covid-19 nelle nostre cellule. Infatti i coronavirus sono decorati con le proteine spike che formano la famosa corona da cui il nome. Le proteine spike formano un complesso con l'ACE2 che contribuisce a fondere la membrana del virus con la nostra membrana cellulare: a quel punto il materiale genetico presente all'interno del virus entra nelle nostre cellule, prende in ostaggio tutti i nostri meccanismi cellulari per produrre le proteine e li dirotta in modo che producano altri virus, propagando l'infezione. Il passaggio cruciale quindi è proprio l'ancoraggio tra la proteina spike e il recettore ACE2: non è un caso che moltissimi sforzi per la ricerca di possibili farmaci contro il Covid-19 si siano concentrati proprio su molecole in grado di interferire con questo processo.
I due autori ciprioti però si spingono più in là di questo: partendo dal complesso Spike-ACE2 sia nel Sars-Cov-2 che nel coronavirus responsabile dell'epidemia di Sars del 2003 (il Sars-Cov), esaminano proprio la zona di interfaccia tra le due proteine alla ricerca di possibili mutazioni. Per farlo, procedono con una dinamica molecolare, ovvero una simulazione classica in cui, partendo dalle coordinate risolte nel cristallo, costruiscono un modello della parte della proteina Spike che interagisce con ACE2, inclusi alcuni zuccheri che giocano un ruolo fondamentale nell'impedire o agevolare l'interazione tra le due proteine. Basandosi su questi risultati, identificano alcuni residui (amminoacidi) che giocano un ruolo chiave nell'interazione con la ACE2. Il ragionamento è che una variante del virus è tanto più potente (infettiva), quanto meglio riesce a interagire con ACE2, legandosi in maniera stabile e favorendo la fusione della membrana del virus con quella delle nostre cellule. Individuati i residui più determinanti in queste interazioni (quattro secondo i calcoli degli autori), il gioco è quello di mutarli, ovvero di sostituirli con altri amminoacidi, per capire se l'interazione tra Spike e ACE2 risulta migliore o peggiore. Proviamo a fare un rapido calcolo di quante possibili mutazioni possono esserci, anche per capire a quale lettera dell'alfabeto greco dovremo arrivare con le varianti: se per ognuno dei residui consideriamo i 20 amminoacidi presenti in natura ed eliminiamo quello già presente nella variante alfa del Sars-Cov-2, il risultato è 19x19x19x19, ovvero la bellezza di 130321 possibili varianti (ciao, alfabeto greco, eh?). Una selezione un po' meno cieca porta gli autori a supporre 18 possibili mutazioni per 3 amminoacidi e 14 per il quarto, escludendo quelle che plausibilmente sono davvero poco probabili a causa di ingombri nelle catene laterali degli amminoacidi con il materiale già presente. Il totale diminuisce a "sole" 81648 possibili varianti. Non è possibile esplorare tutte queste possibili varianti con la dinamica molecolare: bisognerebbe infatti lanciare 81648 simulazioni e farle girare per un tempo sufficientemente lungo per garantire che sia raggiunto l'equilibrio. In teoria, sarebbe anche possibile, avendo risorse computazionali a disposizione, ma non è una strategia molto intelligente.
E' qui che subentra una procedura di ottimizzazione basata su un altro metodo di simulazione, ovvero il metodo Monte Carlo. Il Monte Carlo è un tipico metodo in cui si procede a caso (il nome deriva proprio dall'allusione ai famosi casinò di Monte Carlo), anche se le probabilità con cui si esplorano tutte le possibilità di un fenomeno sono poi calcolate con formule molto rigorose e proprie della Meccanica Statistica. In questo senso, si tratta di una procedura di ottimizzazione, proprio perché il Monte Carlo riesce a selezionare le possibilità che hanno una maggiore probabilità di successo. Successo, nel caso delle varianti del virus, significa una migliore interazione (detta anche affinità) tra la spike e la ACE2. Il metodo proposto da Polydorides e Archontis consiste proprio nel far girare il Monte Carlo in modo che selezioni le mutazioni che aumentano l'affinità tra Spike e ACE2. Il risultato è una classifica delle mutazioni più vantaggiose: per ognuna di queste si potrebbe, in linea di principio, far girare ancora una simulazione in dinamica molecolare e confrontare l'affinità prevista con il Monte Carlo con quella che deriva da un calcolo più accurato. Tuttavia questa procedura più costosa può essere limitata a quelle che davvero si trovano nelle prime posizioni della classifica, magari le prime 10 o le prime 20, in modo da poterle identificare con le lettere dell'alfabeto greco.
Sicuramente ci sarà una domanda: bello, bellissimo, ma se questo metodo è corretto, le varianti attualmente in circolazione sono ai primi posti della classifica? La risposta è sì, sono nelle prime posizioni, anche se non sono proprio le prime quattro quelle corrispondenti ad alfa, beta, gamma e delta. Il motivo: non è detto che la Natura (nel senso dell'evoluzione) sia così precisa nel fare i calcoli Monte Carlo, ma non è neanche detto che i modelli che ci permettono di fare questi calcoli siano abbastanza accurati per poter descrivere ciò che realmente accade in natura. Alcune di queste mutazioni sono peraltro già presenti in altri coronavirus attualmente in circolazione per altri animali (pipistrelli e pangolini, per esempio). Gli autori, molto intelligentemente, dicono che usare questo metodo per predire nuove mutazioni potrebbe essere interessante ma non è la prima applicazione pratica che riescono a intuire: forse una strategia migliore potrebbe essere quella di concentrarsi sulle sequenze che mostrano una maggiore affinità per creare dei composti cosiddetti peptido-mimetici, ovvero dei pezzi di proteina che possano mimetizzarsi con la spike e legarsi fortemente ai recettori di ACE2, impedendo che questi si leghino con le spike vere. Insomma, il virus potrebbe mettere in campo varie strategie per continuare a confondere le nostre difese immunitarie con più varianti o sintomi strani, ma l'inventiva della comunità dei biofisici (computazionali e non) rappresenta una rassicurante certezza in questa lotta.
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