No, nessun timore: non c’è stato un attacco hacker da parte degli attivisti di QAnon. Il pentagono a cui mi riferisco non è quello con sede nei dintorni di Washington, DC, ma la proteina
α7 della famiglia nAChR rappresentato in questa immagine e che ha sede nei nostri neuroni e nelle giunzioni neuromuscolari. Il nome completo della famiglia nAChR sarebbe recettore nicotinico per l’acetilcolina, ma non ha a che fare soltanto con la nicotina. Del resto, la nicotina non crea dipendenza a caso, ma proprio perché interagisce con alcuni dei nostri meccanismi neuronali. In particolare, la proteina
α7, il nostro pentagono, è implicata nella regolazione della capacità dei neuroni di far crescere le loro sinapsi (i collegamenti fra i neuroni), una funzione che va sotto il nome di plasticità neurale e che ci consente di sviluppare sempre nuove connessioni aumentando la nostra profondità e capacità di pensiero. E’ importante ricordare che se l’età comunque uccide i neuroni e quindi perdiamo un po’ dell’hard disk di quando eravamo giovani, la plasticità neurale non sembra subire troppo il peso degli anni e, inoltre, sembra anche progredire se opportunamente stimolata: del resto, a parte le malattie neurodegenerative, è abbastanza diffusa l’osservazione che studiare, imparare, trovare nuovi stimoli permette di invecchiare decisamente meglio! Ma non finisce qui: il pentagono è coinvolto anche in alcune forme di schizofrenia, nella malattia di Alzheimer e anche nello sviluppo di alcune forme tumorali. Per giunta, molto recentemente, è stato inserito tra i possibili contatti della famiglia nAChR con il famigerato virus Sars-Cov2… come se ci fosse bisogno di altro per convincerci che valesse la pena studiarlo. E un
ulteriore studio tutto italiano sul pentagono è stato recentemente pubblicato sul Journal of Chemical Information and Modeling.

Lo studio fa seguito a diversi altri lavori degli stessi autori (che ho il piacere di conoscere personalmente!), in cui questa proteina era stata prima di tutto ricostruita grazie a modelli per omologia molto accurati: successivamente, erano stati caratterizzati diversi stati del pentagono, perché la famiglia nAChR fa comunque parte di un clan ancora più ampio che è quello dei canali ionici sensibili ai ligandi (LGIC: ligand gated ion channels). Dunque è necessaria la presenza di una molecola legata alla proteina canale, per poterlo aprire e lasciare passare gli ioni. Quest’ultimo studio è appunto dedicato al passaggio degli ioni attraverso il canale, con il metodo del milestoning di cui ho parlato proprio nell’ultima puntata di questo blog. Nella figura qui sopra sono rappresentate soltanto due delle cinque subunità del pentagono e quei puntini blu rappresentano proprio i traguardi, le milestones, che sono stati scelti per studiare il passaggio degli ioni. In particolare, gli autori si sono concentrati sulla ricostruzione del profilo di energia libera per il passaggio dello ione cloro e dello ione sodio, esattamente i due ioni presenti nel comune sale da cucina.

I profili di energia libera sono rappresentati nella figura qui a lato: per leggerla, bisogna partire da sinistra, che è lo zero in energia libera e corrisponde anche alla posizione -20 Å, ovvero l’ingresso nella regione transmembrana della proteina (o regione TMD) dal lato interno della cellula. La curva rossa rappresenta l’energia libera per il passaggio del cloro, mentre quella nera indica il sodio: una salita di quella curva corrisponde ad un’energia da pagare, mentre una discesa significa che quel passaggio è favorito. Appare dunque evidente dai calcoli realizzati con il metodo del milestoning che per il cloro bisogna pagare un bel po’ prima di riuscire a raggiungere il centro del diagramma: per il sodio invece, inizialmente sembra che addirittura si guadagni energia, poi c’è una salita ma è decisamente più piccola rispetto a quella del cloro. Almeno fino a questo punto (ovvero la posizione corrispondente a +40 Å) non c’è partita e sicuramente l'α7 si comporta come un canale cationico, ovvero che lascia passare i cationi, ma non gli anioni per i quali crea una barriera.

Come fa a creare una barriera? Come al solito con le proteine: all’imbocco della zona transmembrana c’è un anello formato da amminoacidi carichi negativamente. Per una carica negativa (come appunto è lo ione cloro) ci sarà un bel prezzo da pagare per superare questa zona, mentre il contrario avviene per lo ione sodio che viene accolto con gli sbandieramenti di cui l’elettrostatica è capace! La zona successiva (regione LBD) è invece meno ostica: è vero che sembra che sia questa volta lo ione sodio a dover pagare un prezzo, ma il biglietto è ridotto e costa circa la metà di quello che deve pagare il cloro per passare dalla regione TMD. In effetti, la regione LBD contiene dei residui carichi positivamente che quindi accolgono un po’ meglio gli ioni cloro dopo che sono stati letteralmente spennati nella zona TMD: l’accoglienza è un po’ tiepida invece per gli ioni sodio, ma soprattutto in confronto agli sbandieramenti della zona TMD. Il bilancio tra ioni cloro e ioni sodio si traduce però in tempi di passaggio, che possono sempre essere calcolati con il metodo del milestoning. Il risultato è che per lo ione cloro l’alto pedaggio della zona TMD comporta un tempo di passaggio più lungo, come se dovesse risparmiare un po’ prima di potersi permettere il transito. Il calcolo dimostra però in modo molto netto il carattere cationico dell’α7.A questo punto gli autori si chiedono se sia possibile trasformare il canale cationico in qualcosa di diverso. Come? Beh, cosa ha fatto la proteina spike per rendere il virus Sars-Cov2 più infettivo? Esatto, le mutazioni. In biofisica computazionale con le mutazioni funziona un po’ come per Walt Disney: se puoi sognarlo, puoi farlo! Et voilà: i miei amici hanno sostituito l’anello negativo che bloccava lo ione cloro mutando i cinque residui carichi negativi in cinque alanine, residui neutri e con la tendenza anche a stare un po’ lontani dall’acqua, figuriamoci dalle cariche… un po’ come accade quando dobbiamo prendere l’autostrada e c’è sciopero ai caselli: si passa senza pagare pedaggio. Hanno quindi ripetuto il calcolo per questa
α7 mutata e con il casello negativo TMD in sciopero. Il risultato è riportato qui sopra: la figura non è chiarissima perché c’è un confronto anche con il calcolo precedente, ma le curve per il mutante sono quella nera superiore per lo ione sodio e quella rossa inferiore per lo ione cloro. Ora è lo ione cloro che sembra avere un bel biglietto scontato, mentre lo ione sodio paga un po’ di più. Naturalmente questi diversi pedaggi si riflettono nei tempi di passaggio che sono un po’ più lunghi questa volta per lo ione sodio rispetto allo ione cloro. La mutazione ha trasformato dunque un canale selettivo cationico in un canale selettivo anionico, anche se forse un po’ meno deciso rispetto all’
α7 originale.
Ma è davvero così? Qui gli autori si lanciano nella parte più pericolosa del loro lavoro, che però lo rende decisamente molto più interessante e, oserei dire, onesto. Cercano il confronto con i dati sperimentali e, come spesso accade in biologia, qui i dati sperimentali non sembrano confermare il calcolo: l’α7 mutato in realtà mantiene un carattere cationico, anche se meno evidente rispetto all’α7 originale. Niente paura, però: il metodo scientifico, in fondo, va avanti per tentativi, dubbi, errori e, soprattutto, ipotesi. In effetti gli autori riescono a formulare ipotesi su cosa potrebbe permettere di ristabilire il carattere cationico del canale, ma si tratta di ipotesi che richiedono ulteriori studi. E sì, la scienza va avanti per dubbi, ma io non ho dubbi che i miei amici continueranno ad approfondire questi studi per valutare la loro ipotesi e comprendere meglio il comportamento di questa importante proteina.

Il motivo per cui ho voluto parlare però di questo lavoro non è soltanto l’importanza dei risultati ottenuti, ma proprio per lo spirito con cui è stato condotto, che è indicativo di come dovrebbe essere condotta la ricerca in questo settore che io continuo ad amare moltissimo, anche se richiede davvero una grande pazienza. Infatti, non è un settore in cui si facciano scoperte strabilianti, né si mettono a punto tecniche innovative che porteranno al nobel, no: si fa un onesto lavoro su alcuni sistemi biologici, ognuno con le sue specificità. I lavori sono necessariamente incrementali: quando si comincia a lavorare su un sistema, si fa un lavoro preliminare per cercare di capire come si comporta quella struttura, poi si studiano i possibili cambiamenti di quella struttura, le interazioni con altre molecole (ligandi, membrane, altre proteine), e si prosegue così, senza mai perdere di vista il confronto con i dati sperimentali. E’ un lavoro lungo, faticoso e, a volte, frustrante perché gli esperimenti spesso contraddicono le previsioni: a volte magari c’è qualcosa di sbagliato nel calcolo, a volte nell’esperimento ci sono fattori che non sono stati tenuti in conto ed è quindi il calcolo a scovare l’errore negli esperimenti. Tuttavia, è proprio nel confronto con i dati sperimentali, un confronto aperto e sincero, che si riescono a compiere passi in avanti nella ricerca in biofisica computazionale. E, volendo togliermi un bel sassolino dalla scarpa, diciamolo pure: quando leggo di un confronto con i dati sperimentali che non è particolarmente riuscito, beh, magari quel lavoro non finisce su uno dei giornali top di gamma, ma mi conferma il rigore metodologico degli autori. E, di questi tempi, scusatemi se vi sembra poco: per me non lo è.
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