lunedì 11 luglio 2022

Il concerto dei Nuclear Pore Complexes

Con l’estate è un po’ esplosa la voglia di concerti all’aperto, comprensibilmente dati i due anni di pandemia. Mi è sembrato quindi opportuno prendere spunto dai concerti per descrivere un articolo che è recentemente apparso sulla prestigiosa rivista Science. Il concerto in questione è quello dei Nuclear Pore Complexes, ma non si tratta di un nuovo gruppo musicale a cavallo tra il rock e il progressive funk: si tratta invece di un complesso formato da circa 1000 proteine e con un peso molecolare di 120 milioni di Dalton (il Dalton corrisponde a un dodicesimo dell’atomo di Carbonio, quindi stiamo parlando dell'equivalente di 10 milioni di atomi di carbonio). Dal punto di vista della biofisica computazionale è quindi un oggetto mostruoso. Dal punto di vista biologico si tratta di una struttura molto importante: il complesso di queste proteine costituisce un foro sulla membrana che avvolge il nucleo della cellula e permette quindi il trasporto di materiale tra il nucleo e il citoplasma delle cellule eucariotiche (le nostre, per intenderci). 

Si tratta di una funzione importantissima perché è alla base di processi cruciali per il buon funzionamento delle nostre cellule. Si capisce però che non è facile studiare i Nuclear Pore Complexes (o NPC per gli amici e per i biologi sempre affamati di acronimi), un po’ perché è già complicato mettere insieme cinque componenti di un complesso rock, figuriamoci 1000 proteine: neanche il coro degli alpini ha così tanti elementi! Il problema principale però è che è davvero impossibile ottenere una struttura dettagliata che sistemi ciascuna proteina al suo posto nel complesso: gli elementi di questa orchestra sono infatti alcune proteine (le nucleoporine o NUP), ma alcune di queste NUP hanno una struttura ben definita, altre sono intrinsecamente disordinate e quindi non si capisce che forma possano avere quando si legano alle altre. 

Tutto questo però è stato superato dal recente studio di cui parlo in questo post, di cui mi piace analizzare il titolo perché è davvero evocativo di quanto è stato realizzato: “AI-based structure prediction empowers integrative structural analysis of human nuclear pores”, ovvero “la predizione di strutture basata sull’intelligenza artificiale rafforza l’analisi strutturale integrata dei pori nucleari umani”. In effetti, lo studio mette insieme, in un approccio integrato, diverse aree di ricerca in cui ci sono stati notevoli progressi negli ultimi anni. Partirei dall’intelligenza artificiale qui utilizzata per predire la struttura delle proteine: ne avevo già parlato in un post precedente, si tratta dell’ormai famoso strumento Alpha-Fold, in grado di fornire una predizione basata sull’intelligenza artificiale, della struttura di qualunque proteina umana, basandosi unicamente sulla sequenza. E’ il sogno di quanti hanno lavorato in questi ultimi cinquant’anni sul protein folding: come scrivevo nel post di qualche mese fa, non significa che il protein folding sia stato risolto, ma per qualunque sequenza di amminoacidi abbiamo ora la possibilità di costruire una struttura con un certo grado di affidabilità. Nel caso degli NPC, Alpha-Fold ha permesso di ipotizzare le strutture delle NUP con una struttura ben definita e anche di quelle intrinsecamente disordinate. 

Queste strutture sono dei dati di partenza, un po’ come avere i pezzi di un puzzle da ricostruire. Se siete appassionati/e di puzzle, sapete che la strategia migliore per realizzarli è prima determinarne i bordi e poi cominciare a raggruppare i pezzi che appartengono alla stessa zona, possibilmente avendo a disposizione l’immagine completa raffigurata sulla scatola. Ecco, l’immagine completa in questo caso è stata fornita da una tecnica sperimentale, la microscopia crioelettronica, che è valsa il premio nobel per la chimica nel 2017. Avvalendosi di risorse computazionale, la microscopia crioelettronica permette di ottenere una mappa tridimensionale della densità elettronica (e quindi della densità stessa) di un complesso macromolecolare. Avendo quindi a disposizione questa mappa di densità, si può cominciare a ricostruire il puzzle, attribuendo i singoli pezzi alle zone corrispondenti, tenendo anche presente che però i nostri pezzi non sono rigidi come quelli di un puzzle, ma potrebbero anche subire dei cambiamenti conformazionali e quindi cambiare un po’ le loro possibilità di incastro. 
Senza il computer, questo compito sarebbe praticamente impossibile: con il computer è difficile, ma non impossibile. Basta infatti lasciare che le leggi della fisica regolino il comportamento dei singoli pezzi e penalizzare tutte quelle strutture in cui la densità ottenuta con la microscopia crioelettronica non si sovrappone a quella ricavata dalla nostra ricostruzione. Anche così però un conto è lavorare con due o tre proteine, un altro è avere a che fare con 1000 proteine che potrebbero andare ognuna per la sua strada, cambiando conformazione. 
Gli autori dell’articolo hanno però usato una strategia anche per questo: hanno infatti integrato le informazioni ottenute da esperimenti di biochimica, in cui era dunque noto che la NUP93 interagisce con la NUP205, a titolo di esempio (le interazioni note sono molte di più). 
Con queste informazioni, è stato quindi possibile guidare il computer a ricostruire l’intera struttura, che riporto qui a lato in tutta la sua bellezza (per me è stupenda, anche nella scelta dei colori). E a questo punto? Cosa ne facciamo di questa struttura? Beh, avendo a disposizione supercomputer potentissimi, la prima cosa che farei è simulare l’intero poro con una membrana realistica intorno, per vedere cosa succede. E’ quello che hanno fatto gli autori, ma l’oggetto è talmente enorme che è stato impiegato un modello cosiddetto a grana grossa, in cui non sono rappresentati i singoli atomi, ma gruppi di atomi sono ridotti a una singola sferetta. 
Il modello in questione è il Martini, ma non è il famoso drink: meglio non indagare sulla scelta dei nomi per i modelli dei biofisici computazionali. Quello che hanno scoperto con le simulazioni (più di un microsecondo, decisamente notevole data la mole dell’oggetto simulato) è che questi pori hanno anche una funzione meccanica, nel senso che permettono alla membrana nucleare di rispondere in modo elastico alle forze che la mettono in tensione. Si tratta però solo di un primo passo, perché adesso sarà interessante vedere cosa succede alle singole componenti del NPC e a tutte le proteine che interagiscono con esso. A prescindere però dall’importanza biologica del risultato, quel che mi piace sottolineare di questo lavoro è proprio l’approccio integrato: intelligenza artificiale, simulazioni di dinamica molecolare, microscopia crioelettronica, dati biochimici concorrono a fornire un modello senza precedenti di un enorme complesso molecolare fin nei suoi dettagli atomici. Ritengo che questa sia davvero la strada che la biofisica computazionale debba percorrere anche nel futuro: non ha più molto senso studiare la dinamica di una singola proteina appena pubblicata, ma è necessario integrare le informazioni e, soprattutto, i dati sperimentali, per ottenere un quadro di insieme che non è soltanto un’immagine di un complesso macromolecolare, ma anche un’idea di come possa funzionare. Solo così sarà possibile  formulare alcune ipotesi sui meccanismi di funzionamento e quindi suggerire nuovi esperimenti. Cosa ci aspetta nel futuro? Saremo davvero in grado di descrivere a livello atomistico tutti i diversi componenti della cellula? Io credo di sì, anche se ci vorranno decenni o forse secoli. Arriveremo a capire le interazioni tra questi componenti? Beh, sempre di più se seguiremo questo approccio integrato. Arriveremo a simulare un intero comparto cellulare e magari anche un’intera cellula? Oh, rilassiamoci un attimo: in fondo è estate….

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