Mi perdoni il celebre bardo per aver preso in prestito la sua frase, rappresentazione emblematica del dubbio: quello amletico, appunto. L'occasione è un articolo apparso da poco sulla prestigiosa rivista Nature Communications, a firma di Juan R. Perilla e Klaus Schulten, quest'ultimo purtroppo scomparso alla fine del 2016. L'articolo riguarda l'oggetto qui a lato, che da lontano sembrerebbe un innocuo fagiolo e invece ha ancora una pericolosità mortale. Si tratta infatti del capside virale dell'HIV, ovvero del guscio che racchiude l'acido nucleico che permette al virus dell'HIV di "dirottare" (il termine inglese è proprio hijack) il complesso macchinario delle nostre cellule e di trasformarle in fabbriche di nuovi virus HIV, pronti a diffondersi nell'organismo o a contagiare altri organismi. Non sono un biologo e quindi non mi addentrerò nella spiegazione di come tutto questo sia possibile, ma la sigla HIV è un acronimo dei termini inglesi per "virus dell'immunodeficienza umana" ed è l'agente responsabile della condizione medica tristemente nota con la sigla AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita).
Si tratta dunque di un oggetto terribilmente importante e naturalmente complesso. Del resto una delle frasi che ripeto sempre (tra le altre) è proprio che la biologia è complessa qualunque sia la scala alla quale la guardiamo. E' proprio di scale che vorrei parlare questo mese: infatti la figura riporta anche le dimensioni dell'oggetto studiato nell'articolo: un prisma a base quasi quadrata dell'altezza di 121 nanometri (in pratica poco più di un decimillesimo di millimetro) e con le altre dimensioni anche più piccole. Se pensate che si tratti di un oggetto piccolissimo, vi sbagliate.
Infatti in fisica tutto dipende dalla scala alla quale guardiamo l'oggetto del nostro studio. Qui la scala è quella atomica, ovvero andiamo a rappresentare i singoli atomi che compongono il capside dell'HIV, includendo anche le molecole di acqua e i sali disciolti. Ebbene, è proprio il numero di atomi che rende questo studio così impressionante. Perilla e Schulten hanno infatti realizzato una simulazione atomistica che, per quanto ne sappia, rappresenta un vero e proprio record da Guinness dei primati, utilizzando ben 64 milioni 423mila e 983 atomi. Per avere un'idea del confronto, basti pensare che finora i sistemi che ho studiato non hanno mai superato i 200mila atomi. Per qualcuno appassionato di puzzle (e io ne sono stato quasi intossicato), è come passare dai miei adorati puzzle attaccati alle bottiglie della Fanta negli anni '70 con i quali è cominciato il mio cammino di perdizione all'attuale record per il puzzle con il più alto numero di pezzi (per inciso realizzato dall'Università di Ho Chi Min City in Vietnam), con 551232 pezzi (stando al Guinness dei primati, appunto).
Impressionante, certo, ma non è tutto. Infatti, non si tratta solo di un enorme numero di atomi, ma anche di un tempo lunghissimo di simulazione, corrispondente a 1.2 milionesimi di secondo. Un attimo: milionesimi di secondo? Ma questo tempo è ridicolmente piccolo! Anche qui facciamo attenzione alle scale: perché è un tempo ridicolo sulla scala temporale di una qualunque operazione umana, ma un tempo enorme per le nostre capacità di simulazione. Infatti la simulazione è basata sulla dinamica molecolare, di cui Klaus Schulten è stato un grandissimo sviluppatore (come ho avuto modo di descrivere in un post precedente). Il metodo consiste nel determinare la posizione di tutti gli atomi utilizzando le leggi della fisica classica e calcolandone la traiettoria nel tempo. Il problema è che la dinamica molecolare utilizzata da Perilla e Schulten (ma anche da me) è costretta a calcolare le posizioni degli atomi nel tempo con un passo di 2 femtosecondi, ovvero 2 milionesimi di miliardesimo di secondo. Questo significa che quegli 1.2 milionesimi di secondo corrispondono a più di mezzo miliardo di aggiornamenti. Per tornare alla similitudine con il nostro puzzle da 551232 pezzi, è come se di questi puzzle (nel nostro caso da 64 milioni e mezzo di pezzi) ne avessimo realizzati mezzo miliardo. Un lavoro mostruoso.
Questi calcoli hanno consentito di studiare alcune interessanti proprietà fisiche di questo oggetto, in particolare la sua capacità di scambiare acqua e sale (dissociati in ioni sodio e cloro) tra il suo interno e il suo esterno, come nella figura qui a lato. Sono state studiate anche le proprietà meccaniche del capside virale, i modi in cui vibra, le possibili oscillazioni della sua forma. Si spera che questo studio possa contribuire alla ricerca di nuove strade per attaccare il virus e la terribile malattia di cui è responsabile. Non meno importanti sono state le ripercussioni di questo studio dal punto di vista del calcolo scientifico. Sono stati impiegati un numero impressionante di processori, in particolare unità di processori grafici, ovvero gli stessi che sono stati sviluppati per i comuni videogiochi e che oggi rappresentano una frontiera molto avanzata del calcolo scientifico ad alte prestazioni. Ci sono anche altri fattori tecnici che rendono lo studio davvero innovativo e degno del risalto che la rivista gli ha voluto conferire.
Tuttavia il titolo del post è proprio un mio personale dubbio amletico che vorrei condividere. Il sistema studiato magistralmente da Perilla e Schulten non è in realtà abbastanza grande da permetterci di comprendere davvero a fondo il funzionamento del virus dell'HIV: si tratta infatti del solo guscio interno di un oggetto che è ben più complicato, come nella figura qui a fianco. E già così si tratta di un'impresa titanica. Sembrerebbe dunque che il dubbio amletico non ci sia e che semplicemente il sistema non sia abbastanza grande. Il problema però, a mio modestissimo parere (nei confronti di Schulten il timore reverenziale è sempre d'obbligo), è che il sistema invece sia troppo grande. Talmente grande che al momento viene meno uno dei fondamenti del metodo scientifico: la riproducibilità del risultato. Nel mondo, i gruppi che sono in grado di ripetere gli stessi calcoli e controllarne la validità si contano infatti sulle dita di una mano sola. Ammesso che vogliano imbarcarsi in un'impresa del genere, non avrebbe neanche senso investire tante risorse di calcolo (e quindi, in ultima analisi, anche economiche) per controllare i risultati di questa simulazione. Questa direzione di ricerca è certamente molto affascinante ed entusiasmante, ma allo stesso tempo nasconde un'insidia: che tra i gruppi che possono permettersi calcolatori potentissimi si scateni una gara a simulare sistemi sempre più grandi, nei quali però diventa sempre più difficile anche capire cosa sia necessario guardare. A fronte della complessità del calcolo, infatti, i risultati sono piuttosto modesti: in fondo, determinare quante molecole di acqua o ioni siano entrati e usciti dal guscio non è un'informazione così cruciale; per di più, i modi vibrazionali potevano essere calcolati anche con metodi molto più approssimati che avrebbero richiesto meno calcoli, portando a risultati confrontabili con costi irrisori.
Su scale di milioni di atomi, infatti, interviene quel ramo così saggio della matematica che è la teoria della probabilità, esattamente quella che ci fa capire che sarà molto improbabile che, lanciando i sei dadi nella figura qui accanto, si ottengano esattamente sei 6. Per la verità sarà poco probabile che si ottengano anche i risultati nella figura, ovvero 1-2-3-4-5-6, anche se questa eventualità resta comunque più probabile dei sei 6. Non siamo in grado di prevedere con certezza quello che accadrà nel lancio di dadi, ma sappiamo che se lanciamo i dadi tantissime volte, il risultato 1-2-3-4-5-6 sarà realizzato più spesso del risultato 6-6-6-6-6-6. Quanto ne siamo certi? Dipende da quanto è grande quel "tantissime volte". Più sarà grande il numero di volte in cui lanciamo i dadi, più quella probabilità diventerà una certezza. In altre parole, aumentando la statistica (ovvero il numero di tentativi), ogni comportamento probabilistico diventa quasi una certezza. Questo ha come conseguenza che, con 64 milioni di atomi, anche un eventuale errore di calcolo su un atomo sarebbe stato eventualmente corretto dalle interazioni con tutti gli altri atomi. In altre parole, il calcolatore potrebbe rivolgersi ai 64 milioni di atomi con un "Se sbaglio, mi corrigerete", come Papa Wojtyla al balcone di Piazza San Pietro.
Resta dunque il dubbio: il sistema del capside virale dell'HIV è troppo grande o non è abbastanza grande? Probabilmente entrambe le possibilità. In questo studio, per me ci sono comunque tre cose grandi. La prima è il risultato dal punto di vista tecnologico: un calcolo del genere 10 anni fa sarebbe stato considerato puro delirio fantascientifico. La seconda è il grande pericolo che la biofisica computazionale si riduca a una guerra tra gruppi per raggiungere il Guinness dei primati sulla grandezza dei sistemi: teniamolo presente. La terza però è quella che ritengo più interessante: questo sistema potrebbe essere usato come banco di prova di modelli meno dettagliati, ma più veloci ed efficienti, in grado di impiegare meno risorse computazionali. E per questi modelli qui a Trento vedo enormi potenzialità, delle quali spero proprio di potervi parlare. E parlare, e parlare, e parlare...
Infatti in fisica tutto dipende dalla scala alla quale guardiamo l'oggetto del nostro studio. Qui la scala è quella atomica, ovvero andiamo a rappresentare i singoli atomi che compongono il capside dell'HIV, includendo anche le molecole di acqua e i sali disciolti. Ebbene, è proprio il numero di atomi che rende questo studio così impressionante. Perilla e Schulten hanno infatti realizzato una simulazione atomistica che, per quanto ne sappia, rappresenta un vero e proprio record da Guinness dei primati, utilizzando ben 64 milioni 423mila e 983 atomi. Per avere un'idea del confronto, basti pensare che finora i sistemi che ho studiato non hanno mai superato i 200mila atomi. Per qualcuno appassionato di puzzle (e io ne sono stato quasi intossicato), è come passare dai miei adorati puzzle attaccati alle bottiglie della Fanta negli anni '70 con i quali è cominciato il mio cammino di perdizione all'attuale record per il puzzle con il più alto numero di pezzi (per inciso realizzato dall'Università di Ho Chi Min City in Vietnam), con 551232 pezzi (stando al Guinness dei primati, appunto).
Impressionante, certo, ma non è tutto. Infatti, non si tratta solo di un enorme numero di atomi, ma anche di un tempo lunghissimo di simulazione, corrispondente a 1.2 milionesimi di secondo. Un attimo: milionesimi di secondo? Ma questo tempo è ridicolmente piccolo! Anche qui facciamo attenzione alle scale: perché è un tempo ridicolo sulla scala temporale di una qualunque operazione umana, ma un tempo enorme per le nostre capacità di simulazione. Infatti la simulazione è basata sulla dinamica molecolare, di cui Klaus Schulten è stato un grandissimo sviluppatore (come ho avuto modo di descrivere in un post precedente). Il metodo consiste nel determinare la posizione di tutti gli atomi utilizzando le leggi della fisica classica e calcolandone la traiettoria nel tempo. Il problema è che la dinamica molecolare utilizzata da Perilla e Schulten (ma anche da me) è costretta a calcolare le posizioni degli atomi nel tempo con un passo di 2 femtosecondi, ovvero 2 milionesimi di miliardesimo di secondo. Questo significa che quegli 1.2 milionesimi di secondo corrispondono a più di mezzo miliardo di aggiornamenti. Per tornare alla similitudine con il nostro puzzle da 551232 pezzi, è come se di questi puzzle (nel nostro caso da 64 milioni e mezzo di pezzi) ne avessimo realizzati mezzo miliardo. Un lavoro mostruoso.


Su scale di milioni di atomi, infatti, interviene quel ramo così saggio della matematica che è la teoria della probabilità, esattamente quella che ci fa capire che sarà molto improbabile che, lanciando i sei dadi nella figura qui accanto, si ottengano esattamente sei 6. Per la verità sarà poco probabile che si ottengano anche i risultati nella figura, ovvero 1-2-3-4-5-6, anche se questa eventualità resta comunque più probabile dei sei 6. Non siamo in grado di prevedere con certezza quello che accadrà nel lancio di dadi, ma sappiamo che se lanciamo i dadi tantissime volte, il risultato 1-2-3-4-5-6 sarà realizzato più spesso del risultato 6-6-6-6-6-6. Quanto ne siamo certi? Dipende da quanto è grande quel "tantissime volte". Più sarà grande il numero di volte in cui lanciamo i dadi, più quella probabilità diventerà una certezza. In altre parole, aumentando la statistica (ovvero il numero di tentativi), ogni comportamento probabilistico diventa quasi una certezza. Questo ha come conseguenza che, con 64 milioni di atomi, anche un eventuale errore di calcolo su un atomo sarebbe stato eventualmente corretto dalle interazioni con tutti gli altri atomi. In altre parole, il calcolatore potrebbe rivolgersi ai 64 milioni di atomi con un "Se sbaglio, mi corrigerete", come Papa Wojtyla al balcone di Piazza San Pietro.
Resta dunque il dubbio: il sistema del capside virale dell'HIV è troppo grande o non è abbastanza grande? Probabilmente entrambe le possibilità. In questo studio, per me ci sono comunque tre cose grandi. La prima è il risultato dal punto di vista tecnologico: un calcolo del genere 10 anni fa sarebbe stato considerato puro delirio fantascientifico. La seconda è il grande pericolo che la biofisica computazionale si riduca a una guerra tra gruppi per raggiungere il Guinness dei primati sulla grandezza dei sistemi: teniamolo presente. La terza però è quella che ritengo più interessante: questo sistema potrebbe essere usato come banco di prova di modelli meno dettagliati, ma più veloci ed efficienti, in grado di impiegare meno risorse computazionali. E per questi modelli qui a Trento vedo enormi potenzialità, delle quali spero proprio di potervi parlare. E parlare, e parlare, e parlare...
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