Ogni tanto mi piace dedicare una puntata del blog agli eventi già svolti o in programma in generale a Trento e, più in particolare, nel mio calendario sempre affollato. Nello specifico, questo mese vorrei parlare della Biophysics Week, la cui quarta edizione si è appena conclusa e, come potete vedere dalla figura celebrativa qui a lato, ha contato 68 eventi distribuiti nei 6 continenti in 26 Paesi e più di 100mila contatti raggiunti sui social media. Di cosa si tratta? E' un evento organizzato dalla Biophysical Society americana, la cui prima edizione è del 2016: lo scopo è quello di (traduzione letterale) "celebrare e aumentare la consapevolezza del campo". Si tratta infatti di un campo che comporta scelte consapevoli: cercare di affrontare lo studio della biologia con tecniche fisiche è, infatti, un'impresa che richiede una notevole capacità di adattamento e che può essere, a volte, frustrante. Come mai?
In primo luogo, la fisica è una scienza sperimentale: come amo ripetere ai miei studenti, chi sostiene il contrario dovrebbe studiare matematica. A loro non sempre piace questa mia risposta, ma per me resta il miglior consiglio che si possa dare a chi ritiene che la fisica debba essere vista solo con un approccio teorico-formale. Il metodo scientifico richiede quindi un costante confronto con i dati sperimentali: lo aveva capito Galileo, il quale cercava, nei suoi esperimenti, di semplificare i sistemi studiati rimuovendone o riducendo sensibilmente i cosiddetti "accidenti", ovvero i dettagli che potevano inficiarne i risultati, come l'attrito, ad esempio.
Nel caso di esperimenti sulla materia vivente (perché la biologia di questo tratta), rimuovere gli accidenti spesso significa rimuovere la vita stessa. Il che potrebbe non essere un grande problema, perché potremmo limitarci a studiarne le parti, i processi fondamentali, quegli ingranaggi che permettono a un organismo vivente di funzionare, un po' come faceva Galvani con i suoi pezzi di rana. Anche volendo estrapolare questi ingranaggi e lavorando con un sistema che non è vivo (i cosiddetti esperimenti "in vitro"), tuttavia i dettagli sono importanti. Si può dire che la biologia è proprio la scienza in cui i dettagli contano tanto quanto il fenomeno stesso. Il risultato di tutto questo è che davvero è quasi impossibile che sia un fisico a condurre, da solo, un esperimento in biologia. Ci vorranno, come minimo, un biologo e, forse, anche un chimico (naturalmente sto usando il genere maschile come se fosse il neutro in latino: gli asterischi proprio non riesco a mandarli giù). Tutto questo comporta una buona dose di pazienza e soprattutto tanta capacità di adattamento.
A volte, può risultare anche un lavoro frustrante: gli esperimenti sono così difficili da realizzare che basta davvero pochissimo per distruggere il lavoro di settimane. Tuttavia, si tratta di un campo molto affascinante e infatti la Biophysics Week riesce a ricordarcelo. Quest'anno, qui a Trento, abbiamo organizzato, insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche e alla Fondazione Bruno Kessler il Trento Biophysics Day, un'intera giornata dedicata alla biofisica. Il nostro programma prevedeva un seminario più tecnico, a cura di Luca Maragliano dell'IIT di Genova, un seminario divulgativo da parte del Presidente della Società Italiana di Biofisica Pura e Applicata (SIBPA) Cristiano Viappiani dell'Università di Parma (foto qui sopra) e, infine, uno Students Corner che ha consentito agli studenti di porre domande ai ricercatori impegnati sul fronte della biofisica nelle varie istituzioni scientifiche, trentine e non. Come spesso mi accade, mi lancio in queste imprese senza paracadute, con la paura fino al giorno prima che non si presenti nessuno. E invece la partecipazione degli studenti e anche di ricercatori e ricercatrici ha superato ogni nostra aspettativa.
Da questo punto di vista, ancora più emblematico è stato il progetto per l'Euregio: ne avevo parlato in una puntata precedente, nella quale non nascondevo alcuni timori sulla partecipazione degli studenti nell'università partner, ovvero quella di Innsbruck. Ebbene, il progetto è stato rifinanziato per il 2019 in una formula ampliata: da quest'anno è infatti attivo a Innsbruck un corso di fisica computazionale nel campo della materia soffice, gemellato con un corso tenuto all'Università di Trento. Alle due unità si è aggiunta anche l'università di Bolzano, con le applicazioni ai fluidi complessi. Abbiamo organizzato per il 5 aprile un incontro a Bolzano, con i tre gruppi. Nella foto qui sopra è presente il gruppo partito da Trento (studenti inclusi). Anche in questo caso avevo qualche timore sulla partecipazione, in particolare da Innsbruck e Bolzano. Il totale è stato di 50 partecipanti: decisamente un gran risultato per un progetto che è nato davvero da un tentativo, più che da una certezza. Prossimi passi: stiamo organizzando un evento estivo in Alto Adige, in cui i migliori progetti degli studenti saranno selezionati e presentati all'interno di un workshop con un paio di ospiti stranieri.
Non finisce qui: nei giorni scorsi sono stato anche coinvolto in un evento organizzato dai nostri studenti, il festival Co.Scienza: si tratta di un festival dedicato alla divulgazione della scienza, in cui gli studenti sono i protagonisti. Sono loro infatti a decidere chi invitare, su quali tematiche chiedere un intervento e ad occuparsi anche dell'organizzazione. Per me è stato un onore aprire il festival moderando un dibattito sul tema "Trento e la ricerca scientifica". Alcuni eventi, poi, hanno coinvolto direttamente la biofisica: da questo punto di vista, è stato per me davvero interessante seguire il dialogo tra un fisico, un neuroscienziato e una filosofa sul tema della coscienza, una frontiera della ricerca che coinvolge effettivamente non solo la biologia e la fisica, ma anche temi etici e la nostra stessa capacità di ragionare.
Infine, nel momento in cui questo post apparirà sul blog, sarò in viaggio verso Vieste, nella mia Puglia natia. Il motivo è il TalentCampus2019, un corso di alta formazione organizzato dall'Università di Foggia, il primo ateneo che ha avuto il coraggio di mettermi in cattedra e che, evidentemente, ama lanciarmi sempre nuove sfide. Mi hanno invitato infatti per coordinare un'attività sui danni prodotti da una cattiva comunicazione delle innovazioni e della ricerca scientifica. Devo ammettere che, all'inizio, avevo molte perplessità e sono stato tentato dal rifiutare un incarico del genere: in fondo, non sono un comunicatore professionista. Tuttavia l'argomento è per me troppo importante: mi sono detto che in fondo uno dei motivi per cui ho cominciato a scrivere su questo blog era proprio l'idea di mettermi alla prova con la comunicazione di un campo così difficile come è quello della biofisica computazionale. In più l'idea di tornare a fare qualcosa per la mia Puglia e per l'ateneo di Foggia, in una cornice così incantevole (che peraltro non ho ancora mai visitato), era quasi irresistibile. Mi sono lanciato quindi anche questa volta: non so quale risultato otterrò, ma mi sono davvero divertito a preparare il mio intervento, con una ricerca attenta e appassionata sulle bufale scientifiche, le loro strutture comunicative e i motivi per cui tendiamo a crederle. E devo ammettere che molte delle convinzioni che avevo sono state messe in discussione. Perché la scienza fa questo: mette tutto in discussione proponendo un metodo (quello scientifico, appunto) per cercare di comprendere la realtà delle cose e non farci trarre in inganno dalle nostre costruzioni mentali. A chi fa scienza il compito importantissimo di comunicare la propria passione per accendere negli altri la scintilla che li trasformerà in scienziati. Biofisici e non.
Infine, nel momento in cui questo post apparirà sul blog, sarò in viaggio verso Vieste, nella mia Puglia natia. Il motivo è il TalentCampus2019, un corso di alta formazione organizzato dall'Università di Foggia, il primo ateneo che ha avuto il coraggio di mettermi in cattedra e che, evidentemente, ama lanciarmi sempre nuove sfide. Mi hanno invitato infatti per coordinare un'attività sui danni prodotti da una cattiva comunicazione delle innovazioni e della ricerca scientifica. Devo ammettere che, all'inizio, avevo molte perplessità e sono stato tentato dal rifiutare un incarico del genere: in fondo, non sono un comunicatore professionista. Tuttavia l'argomento è per me troppo importante: mi sono detto che in fondo uno dei motivi per cui ho cominciato a scrivere su questo blog era proprio l'idea di mettermi alla prova con la comunicazione di un campo così difficile come è quello della biofisica computazionale. In più l'idea di tornare a fare qualcosa per la mia Puglia e per l'ateneo di Foggia, in una cornice così incantevole (che peraltro non ho ancora mai visitato), era quasi irresistibile. Mi sono lanciato quindi anche questa volta: non so quale risultato otterrò, ma mi sono davvero divertito a preparare il mio intervento, con una ricerca attenta e appassionata sulle bufale scientifiche, le loro strutture comunicative e i motivi per cui tendiamo a crederle. E devo ammettere che molte delle convinzioni che avevo sono state messe in discussione. Perché la scienza fa questo: mette tutto in discussione proponendo un metodo (quello scientifico, appunto) per cercare di comprendere la realtà delle cose e non farci trarre in inganno dalle nostre costruzioni mentali. A chi fa scienza il compito importantissimo di comunicare la propria passione per accendere negli altri la scintilla che li trasformerà in scienziati. Biofisici e non.
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