lunedì 11 novembre 2019

Un caffè con... Raffaello Potestio!


L'occasione era la recentissima pubblicazione dell'articolo "Tackling the Limitations of Copolymeric Small Interfering RNA Delivery Agents by a Combined Experimental–Computational Approach" sulla rivista Biomacromolecules. Lavorando nello stesso dipartimento con uno degli autori e vivendo nella stessa città, mi sono detto che sarebbe stato meglio chiedere direttamente a lui come descriverebbe il suo lavoro e approfittarne anche per conoscere il suo punto di vista sulle ricerche in Biofisica Computazionale. Aggiungiamo anche un caffè (rigorosamente senza zucchero, come la vita) e un soleggiato sabato pomeriggio trentino ed ecco tutti gli ingredienti per questa intervista a Raffaello Potestio, nella foto qui a lato.
E' la prima volta che mi cimento in questo genere e mi rendo conto che nelle interviste di solito si dovrebbe dare del lei, ma conosco Raffaello da 10 anni e lavoriamo anche nello stesso gruppo, per cui non me ne vogliate se userò la seconda persona singolare: come prima intervista, ho preferito giocare in casa. Sua, per l'esattezza.

Il Max Planck Institut for Polymer Research di Mainz
Anzitutto, Raffaello Potestio, puoi dirci come è nata l'idea di questo lavoro?
Questo lavoro è nato dall'interazione tra me e la PI (principal investigator) del gruppo sperimentale con il quale abbiamo collaborato in un incontro organizzato nell'istituto nel quale lavoravo precedentemente, cioè il Max Planck Institute for Polymer Research di Mainz, in Germania. Mi ha parlato delle attività di ricerca che stavano portando avanti e mi ha chiesto se, secondo me, era possibile includere una componente numerica, di simulazione, per approfondire la comprensione del sistema che stavano studiando. Da lì, io e soprattutto il mio collaboratore, all'epoca dottorando, Maziar Heidari, abbiamo sviluppato un modello che permettesse di descrivere in maniera approssimata e qualitativa ma sufficientemente dettagliata, il sistema che hanno investigato sperimentalmente.

Una molecola di RNA intrappolata da polimeri
Puoi spiegarci in breve di cosa si tratta, cioè qual è il sistema biologico, qual è la sua importanza? Cosa vi hanno chiesto nel gruppo sperimentale?
Ciò su cui hanno lavorato sono delle piccole molecole di RNA, molecole chiamate SI-RNA, ossia pezzettini di RNA in forma di doppia elica, quindi sono due filamenti singoli di RNA accoppiati come nella tipica struttura di DNA, ma sono molto corti. Sono composte indicativamente da 20 coppie di basi e queste piccole molecole, con la sequenza opportuna, hanno una grande importanza dal punto di vista farmacologico e medico perché possono interferire (da qui l'aggettivo interfering) con il normale ciclo vitale di una cellula tumorale. Di conseguenza, sono allo studio dei farmaci basati su queste molecole. Uno dei problemi principali è quello di veicolare queste molecole all'interno della cellula: sia le cellule sane che quelle tumorali hanno sviluppato dei sistemi per eliminare tutto ciò che può essere riconosciuto come agente esterno o pericoloso. Queste molecole, in effetti, lo sono e quindi le cellule tendono a degradarle. Si desidera invece veicolare queste molecole attraverso la membrana cellulare o nucleare, proteggendole finché non possono essere rilasciate nel luogo opportuno dove possono agire interferendo con il metabolismo cellulare. Per fare questo, i ricercatori si sono proposti di sviluppare un tipo particolare di polimero, cioè una lunga molecola composta da piccole molecole attaccate come i vagoni di un treno una dopo l'altra, con due o tre tipi diversi di molecole o anelli di base. Questi polimeri sono disegnati in maniera tale da potersi attaccare ai pezzettini di RNA, coprendoli e proteggendoli dall'aggressione dei meccanismi cellulari di difesa e così attraversare in maniera efficace la membrana cellulare. Una volta all'interno della cellula, i polimeri si separano dall'RNA e gli consentono di agire. La difficoltà sta nel trovare la sequenza giusta di elementi fondamentali del polimero per garantire, da un lato, la protezione dell'RNA, dall'altro la possibilità di staccarsi, una volta all'interno dell'ambiente cellulare. Inoltre bisogna garantire che questi polimeri non siano tossici, perché percolano anche all'interno di cellule sane e non possono essere composte da sostanze nocive per l'organismo, in generale. Trovare questa giusta sequenza non è facile ed è su questo che si è concentrato il nostro lavoro.

I 12 diversi tipi di polimero studiati
Come si fa a capire se effettivamente questi RNA coperti da polimeri entrano più facilmente nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane?
La penetrazione può essere più o meno efficace a seconda della costituzione della membrana cellulare: in generale le cellule tumorali hanno membrane che sono leggermente diverse in composizione rispetto a quelle sane, però non è questo il punto: il lavoro si è concentrato sulla meccanica dell'interazione tra il polimero e l'RNA e sull'efficacia del trasporto all'interno delle cellule tumorali, nello specifico. Si presuppone poi di agire in maniera "topica", cioè andare a rilasciare questo farmaco in maniera locale. Sperimentalmente si è verificata l'efficacia di composti contenenti polimeri differenti: sono stati disegnati e messi alla prova 12 tipi diversi di polimero. Anche se sperimentalmente è stato possibile verificare quale di questi polimeri funziona meglio, non c'è una corrispondenza banale tra la sequenza impiegata per costruire il polimero e l'efficacia con cui si aggrega all'RNA ed è qui che siamo intervenuti costruendo una simulazione in cui abbiamo rappresentato l'RNA e i polimeri. Con il nostro "microscopio computazionale" abbiamo guardato in che modo i polimeri interagivano con l'RNA e come andavano a formare aggregati in cui i polimeri erano in grado anche di mettere insieme più molecole di RNA. Abbiamo potuto quindi comprendere un po' meglio, a livello molecolare, per quale ragione un certo tipo di polimero funziona bene o perché funziona male, come forma gli aggregati, come si lega all'RNA e, di conseguenza, su quali basi possiamo pensare al design di polimeri ancora più efficaci.
Quali sono le possibili ricadute pratiche di queste ricerche? Ci sono sviluppi in questa direzione?
Questa è una ricerca fondamentale, nel senso che non è immediatamente rivolta ad uno sviluppo applicativo ma è estremamente prossima alle applicazioni perché tende a sviluppare un farmaco o una strategia per lo sviluppo di un farmaco. Da questo livello di ricerca alla produzione di un farmaco ovviamente ci sono numerosi e lunghi passaggi intermedi: tuttavia in questo caso si è già molto avanti nello sguardo applicativo perché queste molecole di RNA sono già impiegate in approcci farmacologici. Con questo lavoro abbiamo cercato di proporre un approccio diverso da quello usato finora: uno dei metodi più diffusi è infatti lo sviluppo di virus modificati per contenere al proprio interno queste molecole di RNA. I virus consentono di veicolare queste molecole invece di quello che è normalmente il carico genetico del virus stesso: il virus diventa una specie di cavallo di Troia che porta l'RNA all'interno della cellula. Tuttavia questo approccio, pur essendo molto efficace, presenta alcuni svantaggi: un virus è un oggetto comunque estremamente complesso da maneggiare a livello molecolare, mentre i polimeri del nostro studio sono composti da poche centinaia di anelli ciascuno e possono permettere di ottenere lo stesso risultato con una minore difficoltà nel processo produttivo.

Quanto è stato complicato interagire con un gruppo sperimentale per te che sei un fisico teorico computazionale?
La difficoltà principale, come sempre accade in questi casi, è di linguaggio. Siamo in un'epoca in cui le scienze sono estremamente specializzate, ciascuna branca ha delle sottobranche con altre sottobranche ciascuna delle quali ha un linguaggio proprio, quindi è ancora più difficile trovare un terreno comune di comunicazione tra chi si occupa di simulazione numerica e chi lavora in laboratorio per realizzare sperimentalmente l'oggetto di studio. Non è stato facile, ma è stato estremamente gratificante: dal mio punto di vista ha dimostrato ulteriormente quanto sia importante questo dialogo che val la pena portare avanti, nonostante le difficoltà. Solo la comunicazione tra ambiti diversi di ricerca e, in particolare, tra ambiti più teorici e più sperimentali può spingere sempre più avanti il confine della conoscenza. Man mano che andiamo a fondo nella comprensione delle cose ci rendiamo conto di quanto complesse e diversificate esse siano. Tuttavia la suddivisione tra ambiti diversi di ricerca e, soprattutto, la suddivisione tra scienza teorica e scienza sperimentale non ha nulla a che fare con la natura, ma ha a che fare con noi e con il nostro modo di approcciare le cose. Noi abbiamo bisogno di istituire queste categorie per semplificarci la vita, ma non possiamo permetterci di trattarle come se fossero delle realtà ontologiche a sé stanti: la natura non è divisa in natura teorica e natura sperimentale, siamo noi a doverlo fare e, per quanto queste divisioni possano essere utili, non possono diventare gabbie. La fatica c'è stata, è stata ragionevole per il tipo di obiettivo che ci eravamo posti, ma è stata straordinariamente gratificante e, avendo portato a termine questo lavoro, direi anche di successo.
Pensi che ci sarà una prosecuzione di questo lavoro nell'immediato oppure per il momento aspettate ulteriori conferme?
Dipende moltissimo dalle intenzioni che hanno i colleghi sperimentali e dipende anche moltissimo, come sempre, dalla disponibilità di fondi e di personale in grado di portare avanti il lavoro. Sarebbe un peccato non proseguire, perché si tratta di un lavoro molto utile, pur essendo preliminare. Abbiamo, per così dire, rotto il ghiaccio ma si devono e, soprattutto, si possono fare milioni di cose in più: si può fare tutto a livello più preciso, più dettagliato, si può approfondire, si possono studiare sistemi nuovi, in modo diverso... tutto questo è soltanto uno sguardo attraverso il buco della serratura, ma ci piacerebbe molto aprire la porta ed entrare nella stanza.
Quanto c'è voluto per questo lavoro da quando sei stato contattato dal gruppo sperimentale fino alla pubblicazione?

Questa è una domanda difficile, nel senso che c'è voluto molto in termini temporali: dalla prima interazione al momento in cui è stato spedito l'articolo sono intercorsi quattro anni abbondanti. Tuttavia non è la durata effettiva del lavoro, perché in questi quattro anni sono successe molte cose, ci sono stati spostamenti: il gruppo di ricerca sperimentale si è spostato da Mainz a Jena, sempre in Germania, io mi sono spostato da Mainz a Trento, il mio dottorando ha completato il suo percorso di dottorato e si è spostato da Mainz a Parigi e in tutto questo bailamme ci sono stati anche molti tempi morti. C'era anche più di un gruppo sperimentale, con numerose persone coinvolte nel lavoro: anche solo la revisione dell'articolo è stata lunga per ragioni tecniche. Avremmo potuto portarlo a termine molto prima se avessimo lavorato solo su quello: purtroppo, o per fortuna, ciascuno di noi lavora su tante cose contemporaneamente ed è preso da mille impegni. Non è necessariamente un male: forse impiegare un po' di tempo in più può essere utile per riflettere meglio su ciò che si sta facendo, per vagliare i propri risultati ad un setaccio un po' più fine. Il momento storico è tale per cui si ha molta pressione a pubblicare tanto e velocemente. Da un lato questo è comprensibile, perché non sono più i tempi pionieristici di un Lavoisier o di un Enrico Fermi: lo sforzo scientifico è molto più intenso e collettivo, coinvolge un numero molto grande di persone. Tutto questo fa correre i processi molto più velocemente, ma ogni tanto è anche opportuno frenare. Frenare non significa solo rallentare per il gusto di farlo, ma cercare di impiegare il tempo che le cose richiedono, come per il caffè, insomma!

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