sabato 11 aprile 2020

Cosa fare durante una pandemia: riscoprire la debolezza!


E' il primo post che scrivo con gli occhiali da presbite (il tempo passa per tutti) e il primo che scrivo interamente in quarantena. E no, non vi parlerò di questo virus perché ne parlano già tutti abbondantemente e molti anche a sproposito. Soprattutto vorrei tranquillizzare tutti e tutte dicendovi subito che non mostrerò nessun grafico e nessuna previsione sulla fine del "lockdown" (almeno abbiamo imparato una nuova parola inglese): ho già detto come la penso nel post del mese scorso. E sapete che la penso molto male.
Vi parlerò invece di cosa fare durante una pandemia e quindi di quello che sto facendo io: del resto questo mio blog è nato per raccontare la biofisica computazionale vista da me, quindi posso dare libero sfogo alla mia autoreferenzialità senza dover necessariamente passare per i selfie su Facebook. Facebook, appunto: tra le tante immagini più o meno divertenti, una mi ha fatto riflettere molto ed è la copertina del post di questo mese. Ci sono alcuni errori: in effetti la quarantena di Newton cominciò nel settembre 1665, quando fu chiusa l'Università di Cambridge. Però è vero che in poco più di un anno e mezzo (rientrò all'università nell'aprile del 1667) il giovane Isaac aveva studiato e, in gran parte inventato, il calcolo e con il calcolo aveva posto le basi per le sue fondamentali scoperte sull'ottica e le leggi della dinamica. Ecco, io certamente non vedo neanche da lontano il grande Isaac e soprattutto voglio sperare per me e per tutti noi che questa brutta pandemia non sia come la peste del 1666. Tuttavia un punto mi è chiaro: non è affatto male sfruttare questo tempo per studiare, anzi, è proprio la cosa migliore da fare e vi spiego perché.
Io sono tra i fortunati che possono continuare a lavorare da casa anche con una situazione di questo tipo. Tuttavia ci sono momenti in cui davvero è difficile concentrarsi ed essere creativi al tempo stesso, le qualità che servono per condurre le proprie ricerche: aggiungo anche che un conto è poter discutere con i colleghi e il gruppo di ricerca, un altro è farlo via skype, zoom, meet e tutte le altre piattaforme che stiamo sperimentando. Tutto questo risulta davvero complicato, ma lo studio no: la guida di un buon libro permette di delegare la scelta della sequenza degli argomenti a qualcuno che è un esperto in quella materia. Inoltre avere davanti l'obiettivo di completare un capitolo è certamente uno stimolo a mantenere viva la concentrazione. Ne ho dunque approfittato per prendermi finalmente un buon libro di Biochimica e Biologia Molecolare e cominciare a studiarlo in modo sistematico. Lavorando in questo ambito di ricerca, non ero proprio a digiuno di questa materia: tutte le volte che incontravo un sistema biologico di interesse, mi studiavo i capitoli che lo riguardavano. Negli anni avevo quindi costruito una specie di patchwork di conoscenze di biologia molecolare, ma mi mancava la visione di insieme. Come ho già avuto modo di affermare nel post del mese scorso, la biologia è una materia che insegna l'umiltà: non oso quindi affermare di avere la visione di insieme ora, perché mi manca e temo che mi mancherà sempre e comunque. Tra l'altro non abbiamo una chiara visione d'insieme della biologia come razza umana, e questi tempi ne sono una drammatica testimonianza.
Ho cominciato però a individuare alcuni tratti distintivi nella biochimica: sarà che, come formazione, resto sempre un fisico e tendo a operare secondo generalizzazioni e, soprattutto, schemi. E qui ho cominciato a individuare un aspetto che forse è il motivo intrinseco per cui la biologia mi piace così tanto: l'assoluto valore della debolezza. Nella chimica che ci insegnano a scuola, molto tempo viene speso per spiegare i famosi legami covalenti: sono legami forti, in cui gli atomi mettono in comune gli elettroni e restano quindi legati. E' così che si formano le molecole: l'acqua, tra tutte, ma anche le molecole di ossigeno o di azoto, le proteine, i grassi (i lipidi), gli acidi nucleici e tutto ciò che si trova nelle nostre cellule. Questi legami sono talmente forti che, alle temperature caratteristiche del nostro funzionamento, da soli non si romperebbero mai. Infatti siamo in grado di romperli solo attraverso specifiche proteine, gli enzimi: senza gli enzimi, tutte le reazioni chimiche che avvengono nel nostro corpo, semplicemente non avverrebbero. 
I meccanismi enzimatici sono davvero affascinanti, ma si basano su un principio: per rompere un legame chimico così forte ci vuole molta energia per superare una barriera che si chiama energia di attivazione. A volte infatti i prodotti della reazione hanno un'energia minore dei reagenti e quindi ci sarebbe tutta la convenienza a formarli, ma bisogna passare per questa energia di attivazione. Un po' succede anche nella vita: tante volte dobbiamo superare un ostacolo davvero grande per poter raggiungere finalmente una situazione più tranquilla e, forse, anche più adatta a noi. E quanto sarebbe bello avere un enzima che fosse in grado di abbassare questo ostacolo e farci già intravedere la nuova situazione? Ecco, questo fa un enzima.
Il punto però è: come si formano gli enzimi? Come riescono ad attirare le giuste molecole sulle quali possono operare? Come riescono poi a eliminare i prodotti della reazione per riprendere a funzionare come enzimi su nuove molecole? Ecco, potremmo pensare che questi compiti siano svolti da forze molto intense, che coinvolgano i legami covalenti. 
Invece no: la gran parte dei processi che avvengono nel nostro corpo sono il risultato di interazioni deboli: in ordine di forza abbiamo le interazioni elettrostatiche (di cui ho già parlato), i legami idrogeno e le interazioni idrofobiche. Questi legami hanno qualcosa in comune: sono molto più deboli (ma molto) dei legami covalenti: all'apparenza questa loro debolezza sembrerebbe uno svantaggio. Invece no: è proprio sulla debolezza di questi legami che si è potuta sviluppare la vita! Infatti la debolezza di questi legami fa sì che sia più facile formarli e distruggerli: sono dinamici, sono sempre in movimento, in altre parole sono ciò che ci permette di identificare questi processi come vita. La biochimica non è altro che lo studio di come l'evoluzione ha sfruttato l'unione di tutte queste debolezze per costruire dei meccanismi robusti di controllo della produzione di molecole utili al sostentamento e alla duplicazione delle nostre cellule. I meccanismi sono talmente robusti che non cambiano neanche troppo da specie a specie, addirittura tra il più piccolo batterio e un elefante. E si tratta anche di meccanismi che prevedono enzimi che portano la reazione in una direzione e altri che la portano nella direzione inversa: perché a volte abbiamo bisogno di produrre quelli che noi chiamiamo prodotti di una reazione, altre volte abbiamo bisogno di andare nella direzione opposta.
Tutto questo, tra l'altro, ha delle conseguenze importanti anche sulla biofisica computazionale: in effetti è molto complicato studiare la formazione (o la distruzione) di un legame covalente, un calcolo che richiede l'applicazione delle equazioni piuttosto complicate della meccanica quantistica. Diverso è il caso delle interazioni più deboli su cui si basa la biologia molecolare: sono tutte interazioni che, con buona approssimazione, possono essere descritte dalla meccanica classica e studiate mediante le equazioni che proprio Isaac Newton aveva codificato. Oggi, con l'impiego dei calcolatori, siamo in grado di studiare proprio come si formano e si perdono i legami dovuti a queste forze deboli, con l'obiettivo di comprendere i meccanismi di funzionamento non solo degli enzimi, ma di tutte le biomolecole che compongono le nostre cellule e anche gli agenti patogeni con cui purtroppo abbiamo a che fare, virus inclusi. 
La pandemia non è ancora finita, purtroppo. Proprio non me la sento di trovare dei lati positivi e sono sicuro che anche lo stesso Newton avrebbe fatto volentieri a meno della pandemia. Tuttavia non siamo noi a scegliere le condizioni storiche in cui viviamo e lavoriamo: siamo noi invece a scegliere come impiegare il tempo che gli accidenti della storia ci concedono. In questa pandemia, lo studio della biochimica mi ha fatto riscoprire l'importanza della debolezza. Del resto, ho sempre avuto simpatia per i deboli: quando da bambino adoravo il calcio e lo seguivo (ora francamente non mi piace più), tifavo sempre per le squadre minori. E, ora che mi torna in mente, anche politicamente ho sempre avuto una particolare simpatia per le belle battaglie, anche (o soprattutto) quando sembravano perse in partenza. Forse perché poi è più bello vincere, quando non sei oggettivamente il più forte: perché vinci con altre qualità, magari con l'intelligenza, o l'evoluzione di cui l'intelligenza è il risultato più impressionante.

1 commento:

  1. Bellissimo post, grazie Gianluca: anche io tifo per i più deboli...
    Forse per questo non ho simpatia per Newton, ma preferisco Robert Hooke
    https://it.m.wikipedia.org/wiki/Robert_Hooke

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