Sarà che, grazie al gruppo di ascolto social di mio fratello Dario, ho seguito le cinque serate del Festival di Sanremo, sarà che comunque sono cresciuto in una famiglia in cui mio fratello Dario suonava, mia sorella Stefania cantava e mia sorella Sara ballava, mentre io studiavo... quando ho letto il titolo dell'articolo di cui vi racconterò in questo post, mi è subito partito in testa il famoso brano cantato dai Queen con David Bowie che ho quindi eletto a colonna sonora di questo mio post post-Sanremo.
Del resto, il motivo che mi ha colpito è anche che forse un po' tutti ci sentiamo sotto pressione e non vediamo l'ora di uscire da questa situazione sospesa ormai da un anno. Quindi, perché non provare a giocare un po' mettendo le proteine sotto pressione? E' proprio quello che hanno realizzato nel laboratorio di Kevin H. Gardner, a New York: i risultati sono stati pubblicati in un articolo dell'ultimissimo numero del Biophysical Journal e sembrano aprire nuovi scenari di esplorazione per la fisica delle proteine, inclusa la biofisica computazionale.
Normalmente si ritiene che ogni proteina abbia uno stato nativo ben definito: ne ho già parlato in questo blog a proposito del ripiegamento o folding. Nello stato nativo la proteina può svolgere la sua funzione, qualunque essa sia. Il mondo della biologia è però sempre sorprendentemente vario e (perché no?) anche bello. Anzi, è bello perché è vario, come si dice del mondo. Da tempo si è scoperto che le proteine hanno sviluppato il multitasking ben prima che noi cominciassimo a chiamarlo così, e che quindi sono in grado di svolgere più compiti con la stessa struttura. Non solo: anche lo stato nativo in realtà non è poi così statico come lo abbiamo sempre rappresentato. E il motivo per cui lo facciamo è che, parafrasando Einstein, usiamo la conoscenza anziché l'immaginazione.
Infatti, le prime strutture degli stati nativi delle proteine sono state ottenute dalla diffrazione dei raggi X da un cristallo: ora, anche senza interessarci troppo a cosa sia la diffrazione (non è il mio caso, ho sempre amato molto l'ottica) o anche ai raggi X (con cui siamo più familiari per via delle radiografie), la parola chiave qui è "cristallo". In un cristallo le molecole sono disposte in modo regolare, un po' come i soldati in un plotone ben ordinato: sono quindi ferme, se si escludono piccole oscillazioni degli atomi intorno alle loro posizioni di equilibrio. Questo è un bene, perché ci permette di ricavare le coordinate di quasi tutti gli atomi (tranne quelli di idrogeno, troppo leggeri per lasciare traccia). Tuttavia questo ci induce a pensare che lo stato nativo sia abbastanza fermo. Questo quadro è cambiato notevolmente grazie a nuove tecniche sperimentali: in particolare la spettroscopia mediante risonanza magnetica nucleare (NMR) e la microscopia elettronica criogenica (Cryo-EM) negli ultimi 20 anni hanno dimostrato che le biomolecole sono entità molto dinamiche e possono quindi popolare stati strutturali ben distinti. In molti casi lo stesso stato nativo presenta caratteristiche dinamiche: è il motivo per cui spesso nelle coordinate delle proteine ci sono pezzi mancanti perché non risolti. In moltissimi casi, però, questi stati alternativi si comportano come stati eccitati e sono importanti per la funzione delle proteine, perché consentono interazioni con altre proteine o molecole più piccole.
La probabilità di trovarsi in uno di questi stati dipende però dalla differenza di energia libera (ne avevo parlato proprio il mese scorso) tra lo stato iniziale e questi stati eccitati o alternativi. E quanto tempo bisogna aspettare per osservare una transizione da uno stato all'altro? Beh, questo dipende da un'altra differenza di energia libera, che è detta energia di attivazione. Tutto questo per le biomolecole può significare che un particolare complesso potrebbe essere presente solo in percentuali molto ridotte, con tempi di vita medi dell'ordine di un millesimo di secondo. In questi casi, osservare questi stati alternativi o eccitati diventa una vera sfida. Per poterlo fare, sono stati sviluppati diversi metodi negli anni più recenti: normalmente è necessario trovare la giusta ricetta come se fosse il più complicato dei dolci in una di quelle gare che imperversano su tutti i canali televisivi. Si sono quindi trovate diverse possibilità cambiando le condizioni sperimentali: ad esempio variare la concentrazione dei sali disciolti nella soluzione, oppure rendendo più acida o più basica la soluzione (cambiando quindi il pH) o aggiungendo del denaturante (per esempio l'urea). Ciascuno di questi metodi tende a favorire stati o conformazioni diverse: aumentare la concentrazione di sali rende le interazioni elettrostatiche fra diverse parti della proteina meno efficaci, perché gli ioni carichi vanno a neutralizzare le superfici cariche esposte. Il pH altera in modo drammatico il comportamento di alcuni residui, favorendo quindi la formazione o la perdita di importanti legami idrogeno.
La tecnica riportata in questo articolo impiega la variazione di pressione, una novità e una valida alternativa rispetto ai metodi precedenti. Come mai? Beh, perché anche questa tecnica è in grado di svelare alcuni comportamenti che le proteine potrebbero mettere in campo per svolgere la loro funzione. Pensiamoci un attimo: se una proteina presenta, nel suo stato nativo, delle cavità al suo interno, un'aumento di pressione tenderà a comprimerla. Viceversa, una diminuzione della pressione tenderà a favorire la formazione di queste cavità. Sono importanti le cavità nelle proteine? Certamente: sono proprio i siti in cui possono legare alcune molecole, farmaci o eventualmente anche altri pezzi di proteine diverse con le quali interagire. L'evoluzione potrebbe aver sfruttato anche queste possibilità, come sembrano dimostrare i risultati di questo studio almeno per quanto riguarda il secondo dominio PAS della proteina ARNT: l'acronimo sta per aryl hydrocarbon receptor nuclear translocon, un nome che incute un certo rispetto. La vera novità per questa proteina però sta nel fatto che la sua versione cosiddetta "wild type" ovvero allo stato originario, presenta una cavità che viene invece riempita in una proteina mutata (abbiamo ormai acquisito una certa familiarità con le mutazioni), ovvero la Y456T. Questa conformazione è chiamata SLIP, perché sembra ottenuta da quella di partenza dopo che tre residui sono scivolati (slip in inglese) all'interno della cavità. Lo so: a volte i biologi sembrano anche più disagiati dei fisici con la fantasia nei nomi...
A pressione normale, entrambe queste conformazioni sono popolate più o meno ugualmente, non c'è una netta preferenza per l'una o per l'altra. A pressioni elevate però, indovinate un po' quale prevale? Bravi, prevale la SLIP, perché la pressione tende a chiudere la cavità anche in assenza di mutazione. Fin qui sembrerebbe una semplice curiosità: non lo è per diversi motivi. Il primo è che lo studio ha dimostrato inequivocabilmente che la pressione può alterare gli equilibri di una proteina e far prevalere una struttura o un'altra. Il secondo è che la pressione permette di realizzare calcoli di termodinamica che risultano in misure quantitative molto precise delle differenze di energia libera: rispetto ad altre misurazioni, quindi, si ottengono dati sperimentali più puliti e utili anche per il confronto con i modelli, simulazioni incluse. Il terzo è che ora non vedo l'ora di trovare un protocollo computazionale per simulare questo processo e giocare a schiacciare proteine o gusci dei virus (capsidi virali).
Dopotutto, sarebbe un po' un modo per ricambiare il favore a tutta la pressione che questo maledetto virus ci ha messo: mi piace pensare che finalmente, grazie ai vaccini, saremo noi a metterlo sotto pressione.
And love dares you to care for / The people on the edge of the night / And love dares you to change our way of / Caring about ourselves / This is our last dance, this is our last dance / This is ourselves, under pressure, under pressure, pressure...
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