Sarà che questo è un po' un periodo di riflessione per tutti, sarà forse che nelle mie lunghe camminate rilassanti la testa va giustamente per conto suo, sarà anche che per ragioni professionali mi sono imbattuto in diverse discussioni su cosa sia davvero la vita, questo mese ho deciso di dedicarmi a questa domanda che sembra filosofica ma in realtà è più scientifica di quanto si possa immaginare. In questi ultimi mesi infatti ho letto e riletto il libro di Erwin Schrödinger, anche nella sua versione originale in inglese: "What is life?". Ne avevo sicuramente parlato in qualche puntata precedente del blog: è un libro per me fondamentale ma che ritengo utile per chiunque voglia approcciarsi non soltanto alla biofisica, ma anche alla fisica in generale. Scritto con una forma inglese superba, che Schrödinger descrisse come un vestito preparatogli su misura dai suoi colleghi irlandesi, questo libro del 1943 ha influenzato lo sviluppo della biofisica del secolo scorso e ancora oggi ha da dirci qualcosa, se non nelle sue conclusioni scientifiche superate dai tempi e dalle scoperte successive, sicuramente sul piano filosofico.
Per me è stato un libro fondamentale: quando l'ho scoperto, finalmente non mi sono sentito più tanto strano come fisico, con le mie continue domande sulla vita, sulla biologia, la mia curiosità per tutti i processi cellulari e biologici in genere. Più di una volta, in un passato neanche troppo lontano, mi sono imbattuto in colleghi che avevano bollato questo mio campo di ricerca con la frase "questa non è fisica". Ecco, trovare un libro così bello scritto da un fisico così illustre come Erwin Schrödinger mi ha permesso di capire che quei colleghi non erano altro che presuntuosi ignoranti e di andare avanti per la mia strada che alla fine mi ha portato qui, da dove scrivo ora in questo strano ritiro causato da una pandemia da virus zoonotico di cui tanto stiamo scoprendo.
In questo libro Schrödinger si avventura nella spiegazione di cosa sia la vita. Già, perché la domanda se la sono posta in tanti: filosofi, poeti... ma gli scienziati? Beh, sì anche gli scienziati e forse anche qualcuno prima di Schrödinger. Tra i biologi non c'è ancora un consenso su cosa sia davvero la vita: ad esempio non è ancora completamente chiaro a tutti se i virus siano da considerare organismi viventi o meno.
Per il fisico Schrödinger, un organismo vivente è tale perché riesce a ritagliarsi spazi in cui l'entropia, anziché aumentare, come normalmente e inesorabilmente fa, diminuisce. E' un organismo capace di cercare l'ordine, di nutrirsi di ordine, di conservare l'ordine per un certo tempo (sempre limitato) e di trasmettere l'ordine a individui che verranno dopo di lui. La definizione in realtà non c'è: c'è una serie di caratteristiche e dovremo stare ben attenti se mai scopriremo nei prossimi decenni complessi macromolecolari che in qualche modo possiamo paragonare alla vita su questo nostro pianeta. Con la serie di caratteristiche individuate da Schrödinger, un virus sarebbe da considerare, in effetti, una forma di vita. I biologi sono un po' più restii a dare questo appellativo perché si concentrano molto sul fatto che un virus non può replicarsi senza un ospite, cosa che abbiamo imparato bene a nostre spese.
Fin qui però sembrerebbe soltanto che la fisica possa descrivere la vita: è un po' il punto di vista di Schrödinger che nel suo libro cerca di usare il metodo scientifico per arrivare a qualche risposta alla domanda cruciale "cosa è la vita?". In realtà è quanto facciamo anche con la biofisica computazionale: usiamo la fisica per cercare di comprendere i meccanismi molecolari che sono all'origine del funzionamento (o di qualche malfunzionamento) di tutti quei complicati intrecci di reazioni chimiche che ci permettono di vivere, di ricavare ordine dal disordine, di sfuggire per un certo tempo al disordine che corrisponde, inevitabilmente, alla morte. E' la vita così come la fisica può descriverla in questa avventura affascinante che per noi come genere umano è soltanto agli inizi, e chissà cosa ci riserverà il futuro: a volte davvero ho l'impressione che se mai dovessi anche solo nominare una ragione per continuare a vivere, sarebbe proprio la mia estrema curiosità per cercare di comprendere i meccanismi che hanno portato alla vita così come la conosciamo su questo pianeta. Quando mi imbatto in articoli che trattano di questi argomenti, semplicemente non riesco a staccarmene.
E' stato così anche per gli articoli di Jeremy England, un fisico relativamente giovane che è balzato agli onori delle cronache qualche anno fa per una ipotesi molto interessante sull'origine della vita. E' la cosiddetta ipotesi della dissipation-driven adaptation, ovvero dell'adattamento indotto dalla dissipazione. I suoi lavori sono interessanti perché, da un punto di vista computazionale, sono estremamente più semplici di quelli a cui siamo abituati in biofisica computazionale: in pratica, cercano di simulare un sistema con un certo numero di reazioni chimiche che si comportano esattamente secondo le equazioni ben note della termodinamica. Non ci sono vere e proprie molecole: l'importante è che ci sia un certo numero di queste specie chimiche capaci di trasformarsi le une nelle altre con equazioni che sono governate dai principi della termodinamica. Nei suoi lavori, England dimostra che un sistema con questo tipo di dinamica è in grado di generare "sacche" o "tasche" (pockets è il termine inglese) in cui l'energia viene utilizzata per sostenere alcune strutture dotate di un certo ordine. Queste strutture sfruttano energia che viene immessa da una qualche sorgente in forma regolare, come potrebbe fare, ad esempio, una stella. Le stesse strutture sono in grado di mantenere questo grado di ordine e anche di propagare questo ordine, in un meccanismo molto simile alla replicazione. Un'ipotesi suggestiva, certo, ma che ha implicazioni comunque decisamente interessanti per la termodinamica di non equilibrio: un sistema soggetto a un flusso costante di energia, pur obbedendo alle leggi della termodinamica così come noi la conosciamo, con il suo inesorabile progredire verso l'equilibrio della morte, è praticamente costretto dalle dissipazioni interne ad adattarsi fino a formare queste sacche di ordine autoreplicante, cioè quella che potremmo chiamare vita, secondo le caratteristiche evidenziate da Schrödinger.
Se questa ipotesi venisse confermata, significherebbe che la vita non è quel miracolo rarissimo che possiamo ammirare solo sul nostro pianeta e che finalmente possiamo studiare con le leggi della fisica, ma che la fisica stessa pretende che ci sia la vita ogni qual volta se ne verificano le condizioni. E queste condizioni non sono poi così complicate da trovare in quello che conosciamo del nostro universo: basta avere una sorgente costante di energia e un dato numero di specie chimiche legate fra loro da reazioni governate dalla termodinamica che conosciamo. In altre parole, se illuminiamo un pianeta che abbia un numero abbastanza elevato di possibilità di reazioni chimiche interdipendenti con la luce costante di una stella, prima o poi vedremo spuntare delle foglie. Beh, quel prima o poi potrebbe essere miliardi di anni e io non sarei proprio sicuro che vedremmo una foglia così come noi siamo abituati a immaginarla. Tuttavia, sembrerebbe proprio che sia la fisica a pretendere che ci sia la vita, mentre noi spendiamo la nostra vita a studiarla: non so a voi, ma a me questa cosa piace davvero tanto.
Grazie, lettura interessante!
RispondiEliminaHai ragione i biologi ritengono i virus una non forma di vita.
Tuttavia da un punto di vista di ordine energetico potrebbe essere considerato una forma di vita che ha il fine di replicarsi a spese delle malcapitate cellule infettate che muoiono, quindi non spendono più energia per opporsi alla naturale entropia. Le cellule potrebbero essere considerate stelle per i virus in quanto gli forniscono energia e non solo per replicarsi
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Cercherò di trovare e leggere questo libro sulla vita!