Già. Come si fa presto a dire qualunque altra proteina: poi però, tra il dire e il fare, o meglio tra il dire e il simulare passa del tempo. E tra il dire e il pubblicare possono passare anche cinque anni. Infatti è proprio questo il tempo che ci abbiamo messo per costruire un lavoro sulla prestina e pubblicarlo sulla rivista International Journal of Molecular Sciences, qualche giorno fa. Questo post sarà quindi un po' una lettura da ombrellone, ma cercherò di spiegare il perché di questo lavoro, cosa abbiamo studiato e cosa abbiamo trovato. Andiamo con ordine, però: perché prestina? Si tratta di una proteina che si trova nelle ciglia presenti all'interno delle nostre orecchie. Attenzione, non sono gli orrendi antiestetici peli delle orecchie: queste ciglia si trovano nell'orecchio interno, in quella struttura che si chiama coclea, perché ricorda un po' il guscio di una chiocciola. Sono proprio queste ciglia che sono responsabili della nostra capacità di sentire le vibrazioni dell'aria che identifichiamo come suono.
Non solo: queste ciglia sono anche responsabili di una operazione matematica, ovvero l'analisi in componenti di Fourier del suono, che ci consente di distinguere, ad esempio, il suono del pianoforte da quello di un flauto o di un oboe. E anche di distinguere le voci umane e riconoscere quelle che amiamo da quelle che ci infastidiscono. Trovo che questa sia un'abilità straordinaria del nostro orecchio: pensate che è in grado di compiere questa operazione matematica anche se magari non la conoscete e la matematica è la materia che più odiate al mondo. Odiatela pure, ma le vostre orecchie se ne fregano e continueranno a svolgere operazioni matematiche, che vi piaccia o no. Una componente di tutto questo è proprio questa proteina, il cui nome (prestina) deriva dalla notazione musicale "presto", scritta così, in italiano, perché nella musica abbiamo forse più medaglie che nelle olimpiadi.
La prestina è stata scoperta nel 2000, ma io ne sono venuto a conoscenza ad uno dei famosi Workshop di Bressanone (di cui avevo parlato in un post precedente) e precisamente al workshop del 2016. Lì avevo ascoltato con attenzione la presentazione di Roberto Battistutta, biochimico dell'Università di Padova, che parlava di questa strana proteina, classificata come motore molecolare per la sua somiglianza con le proteine della famiglia dei trasportatori. Mi rendo conto che queste denominazioni della biologia possono risultare un po' complicate per i non-addetti ai lavori, quindi cercherò di dare una mia spiegazione in termini semplici, che ovviamente è ben lontana dal rigore che sarebbe richiesto in una lezione di biochimica. I trasportatori sono proteine in grado di trasportare molecole (piccole o anche di medie dimensioni) dall'interno all'esterno della cellula o viceversa. Possono essere passivi, nel senso che si lasciano attraversare, come ad esempio le acquaporine di cui ho già parlato, o attivi perché impiegano energia per tirare molecole all'interno delle cellule o sputarle fuori.
Ecco, la prestina somiglia moltissimo alle proteine presenti in una classe specifica di trasportatori, chiamata SLC26A, ma di solito questi trasportatori sono completi nel senso che prendono una molecola dall'esterno della cellula e la scambiano con una all'interno, con un meccanismo che permette loro di passare da uno stato aperto verso l'esterno (outward open) ad uno aperto verso l'interno (inward open). E infatti le prestine (o meglio le SLC26A5, cioè il membro 5 della famiglia) in molti animali sono dei trasportatori completi e passano dallo stato outward open a quello inward open e viceversa, contribuendo a questi scambi a livello molecolare. La situazione però cambia nei mammiferi: per noi la prestina ha soltanto uno stato, ovvero quello inward open, ma non ha uno stato outward open. Si tratta, in pratica di un trasportatore incompleto, che però fa qualcosa di davvero straordinario: è infatti in grado di far accomodare uno ione negativo (tipicamente il cloro) come le altre proteine della classe SLCA26, ma, così facendo, diventa una proteina piezoelettrica, ovvero risponde alle variazioni di campo elettrico con dei cambiamenti nelle proprietà elastiche sue e delle membrane che la contengono. Questa proprietà è ben evidente con delle misure di capacità elettrica: le prestine (e tutti i trasportatori incompleti) presentano la cosiddetta NLC, ovvero una capacità non lineare, in pratica la firma che stanno agendo da elementi piezoelettrici e non da trasportatori completi.
Ora, già questo per me è molto interessante: una proteina che è in grado di sentire i campi elettrici e di rispondere con dei segnali meccanici. C'erano però altri due elementi di carattere personale che mi incuriosivano a tal punto da decidere (nel 2016) di dedicare tempo, risorse di calcolo e anche un po' di rischio, a questo sistema. Il primo è che l'orecchio umano mi affascina non solo per la capacità matematica di cui ho parlato più su, ma anche perché è stato sempre un mio punto debole: da bambino (e due volte anche da adulto) ho spesso sofferto di otite e questo mi ha reso molto curioso nei confronti dell'anatomia dell'orecchio umano, sin da quando l'ho incontrata sul sussidiario. Con quella chiocciola all'interno, poi... Il secondo è che comunque si tratta di un motore molecolare, una classe di proteine a cui ho dedicato il mio dottorato di ricerca e che mi hanno sempre affascinato moltissimo.
Qui però c'erano diversi problemi, uno fra tutti: le strutture non erano completamente note, nel senso che il Protein Data Bank non conteneva cristalli di prestina, anche se sono presenti strutture della famiglia SLC26. Inoltre, il problema era anche studiare lo stato inward open e lo stato outward open: perché nei mammiferi la prestina non passa dallo stato inward open a quello outward open e negli altri animali sì? La biofisica computazionale offre però davvero strumenti importanti, anche se vanno usati con molta, moltissima, ma proprio moltissima (ho già detto moltissima?) cautela. In questo caso, abbiamo proceduto per omologia: abbiamo quindi creato dei modelli computazionali della prestina, basandoci su proteine analoghe di cui erano note le strutture. Si tratta di una procedura con molti rischi: tuttavia avevamo molti dati sperimentali che potevano darci conferma o meno della bontà di questi modelli. Inoltre erano già stati utilizzati per studi precedenti, in cui erano stati confrontati con dati sperimentali: senza questi, avrei lasciato perdere, nonostante l'interesse. Abbiamo quindi individuato le strutture della prestina in due specie rappresentative, una per i mammiferi e l'altra per i non-mammiferi.
Si tratta, ovviamente, di specie molto usate nei laboratori, per le quali quindi sono presenti molti dati sperimentali. A rappresentare i non-mammiferi abbiamo scelto il pesce zebra, che è uno dei cosiddetti "modelli animali" più impiegati in biologia e che io trovo anche molto carino. La prestina di pesce zebra è stata quindi modellizzata sia nel suo stato outward open che in quello inward open. E fin qui l'unico rischio era semplicemente aver sbagliato il modello per qualche pezzo della proteina: tuttavia avevamo buone indicazioni che il modello fosse valido, anche perché sembrava davvero mettere vicini gli amminoacidi che risultavano vicini anche in altre proteine simili e lasciare esposti all'acqua proprio gli amminoacidi giusti. Tuttavia si trattava sempre di stati effettivamente presenti in natura, anche se non ancora disponibili nei database come strutture cristallografiche.
Discorso diverso invece per la prestina nei mammiferi: qui abbiamo scelto come campione un nostro degno rappresentante, ovvero il rattus norvegicus che poi sarebbe il comune ratto delle fogne. Carino non è, anche se ho scelto una foto in cui lo sembra: tuttavia il pensiero dei biologi che hanno nutrito e sacrificato questi animali per i loro studi scientifici aumenta ancora di più il mio rispetto per chi ha voluto dedicare la propria vita a questi studi, visto che per me è molto facile invece prendere questi modelli tridimensionali delle proteine e analizzarli su un computer. Nel caso dei mammiferi (con il topo di fogna a rappresentarci) lo stato inward open è effettivamente presente in natura, ma quello outward open non esiste. Lo abbiamo però ricavato con i nostri modelli di omologia che, in questo caso, sono andati contro natura! E' una delle cose più belle, rischiose e anche divertenti della biofisica computazionale: possiamo provare a vedere cosa succederebbe se ci fosse qualcosa che in natura non esiste. Certo, sarebbe stato bello poter simulare la transizione dallo stato inward open a quello outward open: nel caso del pesce zebra avremmo osservato qualcosa che in natura accade, mentre nel caso del topo di fogna, avremmo forzato un processo che in natura non esiste e forse anche capito perché non può esistere. Tuttavia questo non è stato possibile: i tempi necessari per simulare questo processo sarebbero stati troppo lunghi, molto al di là delle nostre disponibilità computazionali.
Ci siamo quindi limitati a studiare la proteina del pesce zebra e quella del topo di fogna nei due stati, cercando di descrivere analogie e differenze tra le proteine nei due animali e tra i due stati per lo stesso animale. Abbiamo confrontato i nostri risultati con le proprietà note e, soprattutto, con i dati sperimentali: i nostri calcoli sembrano suggerire uno dei meccanismi ipotizzati per il cambiamento dallo stato inward a quello outward, ovvero una inclinazione di una porzione della proteina rispetto al resto accompagnata da uno scivolamento vero e proprio (meccanismo "tilt and shift"). Perché questo sia possibile nel pesce zebra e non nel topo di fogna resta ancora un mistero: molto probabilmente l'inclinazione o lo scivolamento (o entrambi) sono impediti da una rete di interazioni che abbiamo mostrato essere persistente nel caso del topo di fogna. Tuttavia non è escluso che ci siano anche altri pezzi di proteina che non abbiamo potuto ancora studiare e che siano coinvolti nell'impedire il movimento nel topo e agevolarlo nel pesce zebra. Per questo però saranno necessari ulteriori studi: spero soltanto che non richiedano altri 5 anni!
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