venerdì 11 marzo 2022

Quelli che... il calcio

No, non sto parlando della celebre trasmissione degli anni '90 di Fabio Fazio, ma di un gruppo di ricerca dell'Università di Verona che ha da poco pubblicato un lavoro molto interessante dedicato a una proteina che lega il calcio, la calmodulina. Mi piace parlarne per vari motivi, ma il più importante di questi è la capacità di mettere insieme diverse tecniche, sperimentali e computazionali, per cercare di rispondere a domande di interesse biomedico legate, per giunta, a malattie rare. Se infatti risulta abbastanza facile ottenere finanziamenti per studiare malattie molto diffuse e, tra queste, in particolare le malattie tipiche dei paesi più ricchi del nostro martoriato pianeta, molto più complicato è ottenere fondi per studiare patologie che si presentano molto raramente nella popolazione. Queste malattie sono tuttavia molto importanti, non solo perché causano sofferenza ad altri esseri umani (e, di questi tempi, è sempre bene ricordare che dovremmo cercare di dedicare la nostra vita ad alleviare le sofferenze altrui, non a causarle), ma anche perché ci permettono di comprendere meccanismi che potrebbero presentarsi in forme molto simili in malattie meno rare di quelle da cui siamo partiti.
Il gruppo, coordinato da Mariapina D'Onofrio e Daniele Dell'Orco, è partito per l'appunto da alcune patologie il cui solo nome mi fa già sentire male: tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (per gli amici, che immagino siano molto pochi, CPVT) e sindrome del QT lungo (LQTS). Per i miei compagni nel magico mondo dell'ipocondria, il QT è un intervallo nell'elettrocardiogramma (vi siete mai guardati l'elettrocardiogramma? io sì, naturalmente!): rappresenta il tempo necessario al sistema elettrico del cuore per lanciare un impulso attraverso i ventricoli e quindi ricaricarsi. Ecco: in alcuni pazienti, questo QT è più lungo del solito (sono appena andato a ricontrollare il mio di qualche anno fa, sembra normale, ma se lo guardo un altro po', mi sembra che aumenti). Il problema è che entrambe queste patologie sono caratterizzate da malfunzionamenti del cuore e morte cardiaca improvvisa, per la serie: stavo meglio prima di conoscerle. Il punto è: quali sono le cause? Ecco, non è per niente banale attribuirle a un singolo elemento biochimico, ma ci sono forti indizi che la responsabilità per queste patologie sia proprio in alcune mutazioni della calmodulina. La calmodulina è una proteina presente praticamente in tutte le cellule, tant'è che viene codificata da tre geni presenti su cromosomi diversi, ma caratterizzati dalla stessa sequenza di amminoacidi. 
Un po' perché resto sempre affascinato dai nomi che i biologi danno alle proteine, un po' perché non sono mai riuscito a farmi i fatti miei quando si tratta di biologia, mi sono sempre chiesto da dove venisse questo nome: ecco, è un'abbreviazione per CALcium MODULated proteIN, cioè proteina regolata dal calcio. In effetti, la calmodulina nella figura qui a lato è una specie di componente: avete presente "Miwa! lanciami i componenti!" di Jeeg Robot d'acciaio? Se non ce l'avete presente, andate a guardarvi qualche puntata di questo splendido anime che ha segnato la mia infanzia. Questo componente viene lanciato (pardon, sintetizzato) e può interagire con diverse proteine, ma è molto sensibile alla presenza di ioni calcio. In effetti, nella sua forma Apo (ovvero senza nessuno ione o altro ligando attaccato) è abbastanza compatto come nella parte a sinistra della figura sopra, ma quando lega gli ioni calcio, assume la tipica forma a manubrio della parte destra. Quei nomignoli EF1-EF4 sono i siti in cui si legano gli ioni calcio e sono appunto quattro per ogni calmodulina: il nome EF pare provenga dalla nomenclatura usata per un'altra proteina, la parvalbumina, ed è utilizzato ogni volta che si presenta questa tipica struttura che somiglia un po' a una mano, infatti si chiama mano EF. La sensibilità agli ioni calcio nella calmodulina è dunque data proprio dalle quattro mani EF: è importante però sottolineare che la calmodulina è appunto un componente (nel senso di Jeeg Robot) che può essere legato a diversi partner. Tra questi, l'attenzione dei ricercatori si è concentrata sul recettore rianodinico 2, ovvero un canale che lascia passare il calcio e che è responsabile della contrazione delle cellule cardiache. Ebbene, è stato notato che alcune mutazioni proprio nella calmodulina sono associate all'insorgenza delle patologie di cui ho parlato sopra e che non ripeterò altrimenti le sento tutte. 
Forse il problema è proprio nell'interazione della calmodulina con il recettore rianodinico 2? E' la domanda che si sono posti a Verona: lo studio si è concentrato proprio sul complesso formato dalla calmodulina con i quattro ioni calcio legati e un pezzo del recettore rianodinico 2, proprio il pezzo che si lega alla calmodulina, quell'elica lilla nella figura qui a fianco. A questo punto, con procedimenti certamente non semplici ma comunque oggi possibili, sono state sintetizzate le calmoduline mutate. Sono stati poi realizzati diversi esperimenti con l'obiettivo di caratterizzare la capacità di legare il calcio, la stabilità dell'interazione con il recettore rianodinico 2, e anche un po' la forma del complesso della calmodulina con questo pezzo del recettore rianodinico 2. C'è da dire però che le calmoduline mutate non sembrano avere forme molto diverse rispetto alle calmoduline normali: la loro struttura sembra pressoché identica, anche se i dati sperimentali suggeriscono che ci siano delle differenze nella cinetica di legame del calcio e, soprattutto, nella capacità di legare stabilmente il recettore rianodinico. E' qui che però interviene la parte computazionale dello studio. Per le simulazioni, non è complicato inserire una mutazione: basta sostituire un amminoacido con un altro, senza che questo comporti grosse difficoltà, se non qualche calcolo per cercare di capire che tipo di struttura si ottiene all'equilibrio. Questa parte del calcolo è stata affidata a Daniele Dell'Orco e a Valerio Marino, con cui ho il piacere di collaborare da qualche anno. Con Daniele condivido una convinzione che ormai è quasi ostinazione: la dinamica molecolare, presa da sola, ha poco potere predittivo. 
E' un microscopio computazionale, come amava dire Klaus Schulten, ma quel microscopio, da solo, non può far molto. Se però la dinamica molecolare è combinata con dei dati sperimentali, diventa uno strumento molto potente e permette di comprendere alcuni meccanismi molecolari che sarebbero difficili da indovinare. Per le calmoduline mutate studiate da Daniele e Valerio, il punto è che la struttura può restare la stessa, ma la dinamica no: è proprio lì il segreto della maggiore propensione delle calmoduline a legare il recettore rianodinico 2. Certamente non si tratta di una prova schiacciante: ci sono ancora tanti passaggi necessari per capire davvero se la causa di quelle terribili morti improvvise (tra cui ci sono anche le insopportabili morti precoci in culla) sia da ricercare in queste mutazioni nella calmodulina, però quegli indizi di cui parlavo prima cominciano a diventare un po' meno indizi e un po' più sospetti. Probabilmente la cura è ancora lontana, ma senza una comprensione di questi fenomeni non potremmo neanche immaginarla all'orizzonte.

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