venerdì 11 novembre 2022

What is life?

What is life? È il titolo del famoso libro di Erwin Schrödinger, di cui ho già parlato l’anno scorso perché è stato di ispirazione per uno spettacolo di TeatroScienza, scritto da me e dall’attrice-drammaturga Maura Pettorruso, con la direzione di Andrea Brunello per la compagnia Arditodesìo. E in questo mese non potevo esimermi dal parlare di questo spettacolo anche nel mio blog, perché sono in piena tournée teatrale internazionale (chi l’avrebbe mai detto?), tra la prima dello spettacolo in lingua inglese che si è tenuta presso il Teatro Toplocentrala di Sofia e la seconda messa in scena prevista a Belgrado il giorno dopo la pubblicazione di questo post. Si tratta però di una domanda che ci siamo posti un po’ tutti in qualche momento della vita ed è proprio per questo che lo spettacolo sembra funzionare anche in una lingua diversa da quella di partenza, nonostante le nostre pronunce certamente poco British e neanche troppo American, ma decisamente molto Italian. Come dico nello spettacolo, su questa domanda mi sono arrovellato fin da bambino: un po’ per semplice curiosità, un po’ perché desideravo intensamente immaginare che esistesse la vita su altri pianeti e che si potessero esplorare. E ci spero ancora, eh? Proprio in questo mese però mi sono imbattuto per puro caso in un’intervista a due scienziati israeliani Nir Ben-Tal e Amit Kessel, autori di un curioso libro “From molecules to cells: The Origins of Life on Earth” dedicato all’abiogenesi, ovvero all’origine della vita come processo naturale in cui questa emerge da materia non vivente, come semplici composti organici.

Non è certamente una novità: i primi esperimenti in tal senso sono quelli sul cosiddetto brodo primordiale di Stanley Miller e Harold Urey, i quali dimostrarono che gli amminoacidi, i mattoni costituenti delle proteine, non sono poi così difficili da realizzare in laboratorio, basta avere un bel brodo di sostanze organiche (tutte ampiamente disponibili sulla Terra miliardi di anni fa), qualche bella scarica elettrica (anche questa abbastanza frequente oggi e ancora di più con l’atmosfera del nostro pianeta miliardi di anni fa) et voilà: si formano amminoacidi. Del resto, anche secondo Aristotele la vita si era formata praticamente per puro caso. E devo ammettere che anche io, nei miei momenti di lucidità razionale, sono del parere che la vita sia solo un altro stato della materia, uno stato che si autoorganizza per sfuggire all’equilibrio termico, alla legge dell’aumento costante di entropia, al disordine dello stato di equilibrio che corrisponde alla morte. Tuttavia, proprio l’abiogenesi, lo studio delle condizioni che determinano la possibilità che esista la vita, richiede che si ripensi un po’ al concetto stesso di vita. Cosa intendiamo per vita? Abbiamo bisogno di dare una definizione se vogliamo, prima o poi, capire se l’abbiamo o meno incontrata al di fuori del nostro pianeta. La NASA su questo si è già fatta una domanda e data una risposta: un organismo vivente è un sistema chimico in grado di autosostenersi e di evolvere in senso Darwiniano. Io non sono un biologo ma su questa definizione, con la mia limitatissima conoscenza della biologia, nutrirei già forti dubbi. Se ho dubbi io, figuriamoci se si è trovato il modo di dare una definizione su cui tutti gli scienziati siano d’accordo. I miei dubbi riguardano il fatto che questa definizione mi sembra troppo ancorata alla nostra visione terra-centrica. Che succede se troviamo un sistema chimico in grado di autosostenersi ma che ormai ha ottimizzato la sua evoluzione e riesce a vivere tranquillamente nella sua nicchia ecologica? Certo, per noi specie umana costantemente in lotta per la supremazia sul pianeta, con la nostra bulimia di risorse energetiche, è un po’ difficile da immaginare, ma il cosmo è vasto, le possibilità sono praticamente infinite.
Se diamo però per buona la definizione della NASA si pone subito un nuovo problema: LUCA. Che poi è il nome con cui mi ha sempre chiamato mia mamma, ma LUCA qui sta per Last Universal Common Ancestor, ovvero l’Ultimo Antenato Comune Universale (UACU però suona peggio di LUCA). Che sarà mai? E supponendo anche di riuscire a determinare con una buona approssimazione cosa sia stato LUCA e quando sia comparso sul nostro pianeta, dobbiamo però chiederci come abbia avuto origine lo stesso LUCA. Da cosa? E’ quello che si domandano i due autori israeliani. Perché sì, l’esperimento con il brodo primordiale ha messo in evidenza che gli amminoacidi sono molto più facili da ottenere rispetto ad altre molecole organiche, ma gli amminoacidi da soli non si mettono in fila per formare la giusta proteina e dar luogo a quei meccanismi evolutivi che, secondo la NASA, sono alla base del concetto stesso di vita. In effetti, gli autori partono da un fatto essenziale: la vita richiede due abilità operative. La prima è di tipo informazionale: la cellula deve codificare e trasmettere informazione sotto forma di materiale genetico. La seconda è di tipo metabolico: la vita accelera alcuni processi chimici e utilizza nutrienti per autosostenersi. 

Il libro descrive dunque ipotesi ed esperimenti che mostrano come gli amminoacidi e altre molecole semplici trovate nelle cellule possano formarsi spontaneamente, un po’ come nell’esperimento di Miller e Urey, ma in modo molto più sofisticato. Basta che ci siano le condizioni adatte, e queste condizioni non sono così difficili da trovare nello spazio, tant’è che amminoacidi e altre molecole organiche sono stati ritrovati su frammenti di meteoriti: questo tipo di chimica, quindi, funziona anche su altri pianeti, anche nel nostro Sistema Solare. E però gli omini verdi ancora non ci hanno fatto visita, se non nei vari telefilm e film di fantascienza. La novità in questo libro è che i due autori non si fermano a constatare che amminoacidi (e quindi piccole proteine), RNA e lipidi si possono formare nelle opportune condizioni, ma si chiedono quale sia il passo che porti dalla formazione di queste molecole (sempre possibile e probabilmente più probabile di quello che potremmo immaginare almeno finché non troviamo qualcosa fuori dalla Terra) allo sviluppo della vita con le due abilità: informazionale e metabolica. Gli scienziati si sono spesso domandati se la vita sulla Terra all’inizio fosse stata dominata da un mondo ad RNA o da un mondo di piccole proteine che poi hanno trovato il modo di comunicare tramite l’RNA. Queste due ipotesi sono l’ipotesi “Mondo a RNA” e l’ipotesi “Mondo di proteine”: ovviamente hanno portato al classico corto circuito che potrei volgarmente riassumere con “è nato prima l’uovo o la gallina?” in senso microbiologico. I due autori propendono per una salomonica via di mezzo: queste molecole erano praticamente in giro sulla nostra Terra primordiale, un mondo completamente diverso da quello che immaginiamo oggi, con una chimica che riguardava quell’enorme zuppa di acqua e sostanze varie con attività geologiche importanti a fare da fonte di energia e una temperatura da pianeta che ancora doveva raffreddarsi, e quelle terre emerse in cui l’acqua scarseggiava e si potevano generare sostanze con una chimica diversa da quella della zuppa primordiale. Con tutte queste molecole in giro, è molto probabile che LUCA sia venuto fuori da una combinazione tra proteine, RNA e lipidi, più che da un mondo fatto dell’uno o dell’altro. L’RNA doveva esserci, perché è l’unico vero candidato alla parte informazionale: il DNA è troppo fragile e poco versatile, sicuramente è stato utilizzato in una fase successiva. Infatti alcuni parlano di un mondo primordiale popolato da oggetti molto simili a virus, che in effetti è una combinazione di proteine, lipidi e RNA. 

Tutto molto bello e interessante, ma la domanda che l’intervistatrice ha posto ai due autori è quella che ovviamente mi ha bloccato su quella pagina e mi ha spinto ad acquistare il libro: ma quindi sugli altri pianeti? E beh, sugli altri pianeti questa probabilità non deve essere troppo bassa, servono solo le condizioni giuste. La vita nell’universo c’è, la probabilità che si formino le combinazioni giuste non è zero, e nell’universo abbiamo miliardi di miliardi di miliardi di pianeti, miliardi di questi potrebbero essere simili alla Terra, non possiamo pensare di essere soli. Il punto è avere una conferma. Ma potrebbe non servire l’astronave Enterprise, perché la conferma potrebbe arrivare anche nel corso delle nostre vite dal nostro Sistema Solare. Marte probabilmente ha conosciuto una finestra temporale in cui qualcosa simile a LUCA può aver dato luogo ad un’evoluzione: si è fermata? Non c’è più vita? Per capirlo, continueremo ad esplorarlo. Il pianeta rosso però potrebbe non essere il più adatto alla vita: al momento abbiamo due candidati sui quali gli scienziati stanno concentrando la loro attenzione: Europa (una luna di Giove) ed Encelado (una luna di Saturno). Se riuscissimo a trovare la vita su queste due lune, credo che davvero partirebbe una vera e propria rivoluzione culturale: pensateci per un momento. Non siamo soli: chissà, magari questo ci porterò ad evitare di fare brutte figure con chi verrà ad esplorare il nostro mondo e potrebbe ritrovarsi con una specie che ne ha consumato tutte le risorse, buttando al vento quella fortuna che magari non è così unica come pensiamo, ma certamente resta rara. Ancora una volta, io con questa domanda continuo a viaggiare, nello spazio, nel tempo, ma soprattutto nella scienza:  “What is life?”            


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