Ancora una volta, questa puntata del blog sarà pubblicata mentre porto lo spettacolo "What is life?" in giro per l'Europa, questa volta ad Anversa. E' tutto molto singolare per me, anche perché la storia di questo spettacolo è, per buona parte, una storia tratta dal mio vissuto, dalle sensazioni che ho provato mentre studiavo e finivo sempre per interessarmi di fisica applicata alla biologia. A questo proposito, in questo mese mi sono imbattuto in una splendida iniziativa della rivista "Frontiers", in cui per puro caso si parlava di un argomento che tratto anche nel mio spettacolo. Cerco però di andare con ordine, se ci riesco, partendo dall'iniziativa di Frontiers. Si chiama "Frontiers for young minds" ed è un sito dedicato alle frontiere della scienza: l'idea è quella di porre domande a esperti/e di un particolare settore della scienza, chiedendo di spiegare una propria scoperta o il senso delle proprie ricerche. L'articolo è poi sottoposto all'esame di una "young mind", una mente giovane che è normalmente associata ad una persona più esperta, un mentore. I due leggono l'articolo e cercano di semplificarlo in modo da renderlo comprensibile anche ad un pubblico di non esperti in materia, mantenendo però il rigore scientifico del pezzo. Si tratta davvero di un'iniziativa molto bella, ma sarebbe sbagliato pensare che gli articoli siano scritti per bambini: in realtà sono scritti per giovani menti curiose. E' per questo che mi fa piacere parlarne qui sul blog, nella speranza che chi mi legge possa sottoporlo alle giovani menti curiose che conosce. Tra queste ci saranno sicuramente gli scienziati e le scienziate del futuro.
L'argomento in cui mi sono imbattuto per caso, scoprendo anche questo sito e questa iniziativa, è la comunicazione tra i neuroni, un argomento che mi ha sempre affascinato e di cui parlo nello spettacolo. Sì perché ad un certo punto parlo della mia tesi di laurea, in cui l'idea di fondo era cercare di classificare mediante reti neurali le tracce prodotte nel grande acceleratore del CERN, in modo da riconoscere segnali anomali che potessero indicare dei candidati per il bosone di Higgs. Non ci avete capito niente? Nessun problema: alla fine della tesi, in realtà, il bosone di Higgs (che sarebbe stato scoperto 15 anni dopo la mia festa di laurea) non compariva neppure. Il motivo? Ero rimasto affascinato dalle reti neurali, modelli della struttura del nostro cervello, in cui i neuroni sono collegati tra loro e comunicano. Sono proprio queste comunicazioni a definire ciò che siamo: le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri sentimenti e i nostri ricordi. E anche la volontà di studiarli e di parlarne. E' quello che è successo a Bert Sakmann, un medico tedesco premio Nobel per la medicina nel 1991 e autore di questo articolo su Frontiers for young minds.
Le cellule neuronali, o neuroni, sono i blocchi elementari che costituiscono il nostro cervello: comunicano tra loro mediante il linguaggio dell'elettricità, quella che si studia in fisica. In ogni momento della nostra vita, ciascun neurone mostra una specifica attività elettrica, producendo degli impulsi elettrici, i cosiddetti "spike". E' come se ciascun neurone fosse uno strumento che partecipa, insieme agli altri, alla costruzione di quella "sinfonia elettrica" che è il nostro cervello, che siamo noi.
La domanda che aveva colpito Sakmann è: come fanno i neuroni a comunicare per generare questa sinfonia così coordinata? Certo, sappiamo che altre cellule comunicano tra loro, ma per i neuroni si tratta di qualcosa di più complicato, perché la comunicazione deve includere componenti chimiche ed elettriche e avviene in specifiche regioni della cellula, le sinapsi, ovvero i collegamenti tra un neurone e un altro. Oggi sappiamo che questa comunicazione avviene mediante sostanze chimiche, dette neurotrasmettitori, rilasciate dalla cellula che manda il segnale nello spazio extracellulare in prossimità della cellula ricevente. Quando il neurotrasmettitore giunge per semplice diffusione alla cellula ricevente, si lega ad alcune proteine presenti sulla membrana, dette recettori: di conseguenza, comincia un flusso di ioni attraverso la membrana della cellula, ovvero una corrente elettrica.
Ma perché comincia un flusso di ioni? Sappiamo che nella cellula sono presenti principalmente quattro tipi di ioni: il sodio, il potassio, il calcio (tutti positivi, ma il calcio vale doppio poiché corrisponde a due cariche positive) e il cloro (ione negativo). Sicuramente sono questi i principali responsabili dei segnali elettrici nei neuroni, ma questo significa che deve avvenire un trasporto di ioni tra l'interno e l'esterno della cellula o viceversa. Quando Sakmann cominciò a lavorare a questo problema, c'erano due teorie contrapposte: una sosteneva che ci fossero molecole in grado di trasportare questi ioni dentro e fuori dalla cellula, l'altra che in realtà fossero gli ioni a passare attraverso alcuni pori presenti sulla membrana cellulare, dei veri e propri canali che si aprono a comando, ovvero quando i neurotrasmettitori giungono sui recettori presenti sulla membrana cellulare. Questi canali sono stati chiamati appunto canali ionici: tuttavia non c'erano esperienze dirette della presenza di questi canali, almeno non prima dell'esperimento che ha dato il via alla cosiddetta Tecnica del Patch Clamp. In questo esperimento, viene utilizzato un sottilissimo tubo di vetro, una micro-pinzetta con la punta di un millesimo di millimetro di diametro. L'altra estremità di questo tubo di vetro contiene uno strumento che permette di misurare la corrente elettrica, ovvero un amperometro. La punta della micropinzetta è spinta su una piccola porzione della membrana cellulare, creando attraverso la suzione un contatto molto stretto tra l'interno della pinzetta e la membrana, in modo che non ci sia nessuna perdita di ioni dai bordi. In questo modo è possibile registrare la corrente dovuta agli ioni che passano attraverso i canali ionici, con dei tempi così brevi che sarebbe impossibile pensare si tratti di altre molecole in grado di trasportarli.
In effetti, per uno straordinario gioco del destino, una combinazione fortuita, è stato proprio un articolo apparso sulla rivista Le Scienze nel 1992, quando ancora dovevo iscrivermi al corso di laurea in Fisica, il primo segnale di quella irresistibile attrazione verso la biologia che ha determinato il mio percorso di studio e di vita, inclusa la straordinaria esperienza di TeatroScienza con la Compagnia Arditodesio. Conservo ancora quel numero, così come conservo il mio libro di biologia del liceo, quel libro che tanto mi aveva affascinato e innervosito per l'assenza di equazioni. La tecnica del patch clamp, in effetti, è stata l'inizio della rivoluzione quantitativa in biologia, quella che ha letteralmente travolto un modo di vederla e insegnarla che era perlopiù qualitativo, traghettandola in questo nuovo secolo in cui sta decisamente giocando un ruolo di primo piano, anche se tallonata ormai dalla climatologia, per motivi sicuramente più preoccupanti. E la sensazione è che ci sia ancora tanto, tantissimo da scoprire: chissà cosa potranno scoprire le giovani menti curiose che si affacciano ora in questo mondo così affascinante.
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