No, tranquilli, non è il fastidiosissimo Identificatore Numerico Personale che dobbiamo inserire per qualunque attività online, ma sarebbe al plurale, perché questo mese ho deciso di parlare delle Reti di Interazioni nelle Proteine, ovvero Protein Interaction Networks, le PIN appunto. Anzitutto, bisogna fare attenzione a non confondere le PIN con le PPIN: le prime sono le reti individuate dalle interazioni all'interno delle proteine, mentre le seconde sono le Protein-Protein Interaction Networks, ovvero le reti formate da interazioni tra proteine. Le PIN si riferiscono ad un'unica struttura proteica (o a un agglomerato di proteine, un complesso macromolecolare), mentre le PPIN si riferiscono proprio all'organizzazione delle proteine a formare una rete all'interno della cellula, con ciascuna proteina che può influire su tante altre e tutte insieme fanno funzionare (o non fanno funzionare, in caso di malattie) le nostre cellule. Per le PIN spesso si preferisce usare il termine PSN che sta per Protein Structure Networks, in quanto si parla di reti strutturali delle proteine. Tuttavia il termine PSN restituisce un'immagine piuttosto statica, mentre le PIN a cui vorrei riferirmi in questo post sono reti dinamiche di interazioni. Si tratta di una tematica che è cresciuta moltissimo, partendo dalla teoria delle reti, a sua volta figlia della teoria dei grafi in matematica. A partire dai primi tentativi (soprattutto all'inizio degli anni 2000), la teoria delle reti è stata applicata a tantissimi sistemi, tutti complessi e infatti la società di riferimento per questi lavori è proprio la Società per i Sistemi Complessi. Ma perché rete? E come si costruisce una rete in una proteina?
Per costruire una rete sono necessari dei nodi e dei collegamenti, un po' come per una rete ferroviaria o autostradale. I primi tentativi di definire una rete all'interno di una struttura proteica risalgono già agli anni '80. I nodi sono gli amminoacidi, le unità fondamentali della catena proteica, mentre i collegamenti sono banalmente stabiliti fissando una soglia per la distanza tra due amminoacidi: tutte le coppie di amminoacidi a distanza più bassa rispetto alla soglia, sono in collegamento. In questo modo è possibile ricostruire la rete dei collegamenti, esattamente come in una rete di trasporti, ma in tre dimensioni anziché su due. Anche la terminologia ricalca molto la rete dei trasporti: alcuni amminoacidi fungono da hub, un po' come gli aeroporti molto trafficati. Questi amminoacidi hanno molti collegamenti e quindi un qualunque tentativo di modificarli (una mutazione, ad esempio) potrebbe destabilizzare la struttura, un po' come un qualunque problema nell'aeroporto di Francoforte blocca l'intero traffico aereo nel continente europeo. Negli anni '80 però le possibilità di studiare le proteine in movimento erano molto limitate: la dinamica molecolare esisteva già e aveva raggiunto un buon grado di maturità, ma le proteine che potevano essere studiate erano piuttosto piccole e su tempi decisamente brevi. Le reti erano quindi stabilite sulla base delle strutture cristallografiche allora a disposizione, ma molto spesso quelle strutture non rappresentano davvero tutta la complessità dei movimenti che una proteina può compiere. La situazione è cambiata notevolmente con i progressi degli anni '90 e 2000, progressi che sono andati su due binari paralleli: da un lato, sicuramente la tecnologia ha consentito l'impiego di calcolatori più potenti, dall'altro gli algoritmi di simulazione sono diventati sempre più efficienti.
Il risultato netto è che a partire dagli anni 2000 le traiettorie di dinamica molecolare si sono allungate notevolmente e hanno riguardato anche sistemi sempre più grandi, per i quali la semplice ispezione visiva non è stata più sufficiente. D'altro canto, queste lunghe traiettorie di sistemi molto complicati hanno generato una quantità impressionante di dati che andavano analizzati. Di qui hanno cominciato a proliferare alcuni algoritmi che permettevano non soltanto di stabilire quando due amminoacidi sono in contatto e quindi formano un collegamento, ma anche la persistenza di quel collegamento, cioè quanto a lungo si mantiene. Infatti, durante la dinamica, alcuni contatti possono formarsi e scomparire: questo vuol dire che non sono molto forti o semplicemente sono poco stabili perché c'è una tendenza di quell'amminoacido a formare interazioni con partner diversi.
E' anche possibile discriminare i vari tipi di interazione, ad esempio quelle elettrostatiche dovute all'attrazione tra cariche positive e negative; quelle idrofobiche, dovute alla tendenza di alcuni amminoacidi a evitare il contatto diretto con l'acqua; o ancora, quelle dovute alla possibilità di alcuni amminoacidi di costruire un legame mediato dall'idrogeno (legame idrogeno). Queste tipologie di interazioni hanno loro caratteristiche fisiche ben precise e conferiscono anche un carattere particolare al tipo di struttura in cui svolgono un ruolo importante perché magari sono più persistenti che in altre. Non solo: è possibile, tramite queste reti, stabilire perché magari l'interazione con un farmaco in una determinata zona di una proteina sia responsabile di un evento che avviene in una regione apparentemente distante: nelle proteine, infatti, esistono dei percorsi meccanici che permettono di trasmettere le forze, come in una macchina. Le PIN riescono ad evidenziare questi percorsi e gli amminoacidi che giocano un ruolo fondamentale al loro interno e quindi potrebbero essere implicati nello sviluppo di qualche malattia se risultassero mutati.
Uno degli algoritmi più usati in questo contesto è PyInteraph, sviluppati dal laboratorio diretto dalla mia collega Elena Papaleo, presso l'Università Tecnica della Danimarca, a Copenhagen. Nel gruppo di ricerca di cui faccio parte, abbiamo cominciato a utilizzare PyInteraph circa 5 anni fa, mentre 3 anni fa è rientrato anche nel programma del corso di Biofisica Computazionale che insegno all'Università di Trento. In genere, mi piace molto inserire argomenti di stretta attualità in questo corso che, anno dopo anno, si sta aggiornando e tiene il passo con alcune fra le più recenti innovazioni nel campo. O almeno così spero. Mi piacerebbe dedicare più tempo ai nuovi argomenti da inserire, ma dovrei davvero ritagliarmi un anno per lavorare solo su questo e, al momento, ho fin troppi impegni istituzionali per poterlo fare. Avrò però l'opportunità di visitare il laboratorio di Elena proprio alla fine di questo mese, ultima tappa di questo tour scandinavo del 2023. Spero quindi di pianificare magari qualche possibile collaborazione per continuare su questa strada. Perché bisogna fare rete anche per studiare le reti, questo è certo!
Nessun commento:
Posta un commento