Il post di questo mese è dedicato al secondo incontro per la collaborazione MIMOSA, finanziata dall'Unione Europea, di cui avevo già parlato in post precedenti. Il primo incontro era un cosiddetto kick-off, cioè un incontro per far partire il progetto e si è tenuto a Rouen proprio un anno fa. Questa volta toccava a noi qui a Trento organizzare l'incontro: non è la prima volta che mi accade di organizzare workshop, scuole, meeting e congressi da quando sono qui (e sono "solo" 7 anni), ma questo era un po' particolare, perché aveva proprio come obiettivo fare il punto della situazione all'interno della collaborazione e capire cosa è stato fatto finora e, ancora più importante, cosa fare adesso. Per questo motivo abbiamo preferito anche un'organizzazione un po' insolita rispetto alle conferenze abituali: il primo giorno è stato dedicato all'esposizione dei risultati ottenuti dai singoli gruppi con le classiche relazioni e le onnipresenti slide, ma il secondo giorno è stato completamente occupato da un tavolo di discussione proprio per cercare di capire quali sinergie possono emergere e come costruire i prossimi passi in collaborazione.
Del progetto avevo già parlato, ma ne riassumo qui le caratteristiche: l'idea nasce dalla possibilità di costruire una nuova tecnologia per determinare la struttura delle proteine. Questa tecnologia si chiama "Tomografia a sonda atomica" (o APT da Atom Probe Tomography) ma non ha nulla a che fare con bombe atomiche, energia nucleare e pellicole cinematografiche di complicati registi britannici. In pratica, la proteina di interesse viene ingabbiata in una matrice che si ottiene a partire da un comune gel di silice, facendo asciugare l'acqua in esso contenuta. Una volta ottenuto, questo campione viene messo sulla punta di un ago che è sottoposto a un laser con una frequenza nel Terahertz, quindi corrispondente a una luce che non possiamo vedere (è più o meno nell'infrarosso): il laser distrugge il campione (e quindi l'ago) strato per strato, ma, facendolo, gli atomi che vengono emessi cadono in posizioni ben precise che permettono di calcolare da dove sono partiti con una precisione davvero incredibile. Ne viene fuori, strato dopo strato, una tomografia della proteina come nelle TAC che facciamo in ospedale, con le posizioni degli atomi ben determinate nella struttura tridimensionale.
Quale sarebbe il vantaggio se il metodo funzionasse? Al momento, per ricostruire la struttura di una proteina è necessario inserirla in un cristallo o utilizzare la Risonanza Magnetica Nucleare: realizzare un cristallo però non è facile e produce sempre qualche artefatto dovuto all'impacchettamento, mentre la Risonanza Magnetica Nucleare ha altre limitazioni (per esempio le dimensioni ridotte della proteina in esame). Questa terza tecnologia (la APT) permetterebbe, in linea di principio, di determinare la struttura di proteine di qualunque dimensione, ma sopratutto di non dover preparare cristalli, quindi di utilizzare qualunque proteina che sia possibile incastrare nel gel di silice. Bello, no? Beh, io mi ci sono buttato con entusiasmo, anche perché il bello di lavorare all'interno di un consorzio è che ad ognuno viene richiesto di fare esattamente ciò che sa fare meglio: nel mio caso, si trattava di lavorare sulla parte modellistica, per cercare di rispondere alle domande che gli esperimenti pongono.
Ciò che è emerso durante questo nostro secondo incontro di collaborazione è che gli esperimenti hanno davvero tante difficoltà, ma il lavoro sta procedendo molto bene: ciascun gruppo sta lavorando sugli aspetti più problematici, inclusa la possibilità di costruire un dispositivo che permetta di realizzare la APT in tempi rapidi e con costi bassi: sì, perché c'è anche un partner industriale! Le relazioni della componente sperimentale erano fin troppo tecniche e, almeno per me, di difficile comprensione: tuttavia mi ha molto colpito la partecipazione con cui i vari gruppi hanno affrontato i contributi teorici. Le domande erano tante e ognuna di queste apriva in effetti nuove linee di intervento per la parte modellistica, quindi mi sono ritirato con due pagine di quaderno riempite di appunti per progetti a corto, medio e lungo termine.
Nella seconda giornata, dopo una passeggiata e una cena sociale in riva al lago di Caldonazzo con una splendida luce, è stato proprio bello vedere come sia proprio la parte modellistica e teorica a creare dei ponti tra i diversi aspetti che i gruppi sperimentali stanno considerando per risolvere le loro problematiche. E può sembrare scontato ma non lo è, non lo è mai: è sempre il dialogo la chiave di tutti i rapporti umani e la ricerca scientifica non fa eccezione, anzi. E' necessario dargli spazio, pretendere che al dialogo sia dedicato del tempo: la decisione di dedicare l'intera seconda giornata alla tavola rotonda è stata davvero vincente. Sono anche sicuro che il successo della seconda giornata sia anche da attribuire alla passeggiata e alla cena sociale del giorno prima: è stato un momento in cui abbiamo cercato di "fare squadra", anche parlando del nostro privato, delle nostre passioni, dei nostri viaggi, di ciò che ci piace in questo progetto e ciò che invece ci preoccupa.
Infatti, al secondo giorno, siamo andati poi in giro per Trento e abbiamo festeggiato la conclusione dell'incontro con una pizza e tante risate. Dandoci però un arrivederci: sì, perché il prossimo incontro della collaborazione Mimosa sarà a Goteborg, nel 2024. Perché è sempre il dialogo a portarci lontano, nello spazio e nel tempo.
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