lunedì 11 marzo 2024

Capire la cellula: il futuro della biologia strutturale

Questo post è il risultato di due coincidenze: la recente pubblicazione di un articolo di rassegna sulla rivista "Cell" con questo titolo molto accattivante e la nuova avventura didattica che sto per intraprendere. Marzo coincide infatti con la cosiddetta "programmazione didattica", ovvero il momento in cui l'intero dipartimento decide chi terrà quali corsi. Con il mio nuovo incarico da direttore sarebbe risultato un po' complicato proseguire con il mio corso di Fisica Medica per gli studenti e le studentesse del corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Allo stesso tempo, il pensionamento di un mio collega lascerebbe scoperto il corso di Fisica per gli studenti e le studentesse del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Biomolecolari. Di fronte a questo doppio invito del destino, mi sono detto che era ora di rendere ancora più concreta questa mia (insana?) passione per la biologia, provando per la prima volta ad insegnare la fisica agli studenti e alle studentesse di un corso di laurea che fa parte della classe di Biotecnologie. L'obiettivo? Convincerne una parte ad affrontare le nuove sfide della biologia quantitativa: per poterlo fare, ci vuole in effetti qualcuno che abbia una sensibilità verso la nuova biologia strutturale, che porti avanti una visione in cui la fisica non è più un ostacolo sulla via della laurea, ma un aiuto prezioso per poter comprendere la direzione in cui la biologia strutturale sta andando. E qual è questa direzione? Provo a raccontarlo qui, facendo un riassunto molto semplificato dell'articolo che invito comunque a leggere.
Partiamo dal fatto che la biologia, come tutte le scienze, è cresciuta grazie all'approccio riduzionista. In cosa consiste? Si tratta di cercare di spiegare i fenomeni complessi scomponendoli in parti più semplici e fondamentali. Questa prospettiva parte dall'idea che la comprensione delle parti costituenti un sistema o un fenomeno può portare a una conoscenza più approfondita del tutto. Il riduzionismo ha consentito di determinare le strutture di tantissime biomolecole e anche degli organelli che sono presenti all'interno della cellula con una precisione di dettaglio che sicuramente poteva sembrare un sogno visionario per chi, come me, ha studiato la biologia verso la fine degli anni '80. Tuttavia al momento ci sono almeno due sfide che si manifestano in tutta la loro criticità. 
La prima sfida è che l'approccio riduzionista ha sì determinato la struttura di tantissime biomolecole, ma fotografate in una posa statica, perché le tecniche sperimentali non consentivano di fare molto di più. Le biomolecole però sono dinamiche, continuano a muoversi, svolgono le loro innumerevoli funzioni proprio perché sono in movimento e perché variano i movimenti in risposta a segnali provenienti dall'esterno o da altre biomolecole. Non tener conto della dinamica significa cercare di capire la struttura della società guardano semplicemente una fotografia di persone che attraversano un incrocio. Le tecniche sperimentali oggi però consentono di guardare anche alla dinamica, di risolvere questi movimenti con scale temporali inimmaginabili, o addirittura di verificare che una biomolecola può assumere diverse conformazioni nel tempo e gioca proprio su questa estrema versatilità per svolgere la sua funzione. La seconda sfida riguarda proprio l'approccio riduzionista che non funziona se non è accompagnato anche da un approccio costruzionista: conoscere gli elementi costitutivi dei sistemi complessi non è sufficiente per capire come funzionano, come interagiscono tra loro. Ancora una volta, riprendendo l'immagine dell'incrocio, è come se anziché guardare la fotografia di un gruppo di persone a un incrocio, guardassimo le singole persone, senza renderci conto che in realtà la società è formata da interazioni piuttosto complesse. Non è un caso che nel 2007 alcuni scienziati abbiano introdotto il concetto di sociologia molecolare, proprio ad indicare la complessa rete di interazioni tra tutte le biomolecole presenti all'interno della cellula, come in una società complessa. 
La ricerca scientifica tende inoltre a semplificare i sistemi, perché in una cellula viva ci sono troppe variabili in gioco, difficili da controllare: gli esperimenti vengono spesso condotti "in vitro", cioè in sistemi artificiali ricostruiti sotto il vetrino del microscopio (per usare un'immagine semplificata), ma così tutta la sociologia molecolare risulta fortemente semplificata. Cosa cambia quando osserviamo gli stessi fenomeni "in vivo"? Da questo punto di vista, è importante l'esempio delle membrane e delle proteine di membrana: vengono tipicamente studiate come se fossero sistemi separati nell'approccio riduzionista, perché si studiano le membrane e si studiano le proteine di membrana singolarmente, ma è molto complicato metterle insieme e capire come funzionano. Eppure si parlano. E anche tanto. Il fisico americano John Archibald Wheeler era famoso per aver risvegliato un po' l'interesse per la relatività generale nel secondo dopoguerra: in relatività generale c'è il concetto di spaziotempo, che è diventato così famoso poi nei film di Nolan. Wheeler ha riassunto il principio fondamentale della teoria della relatività generale dicendo: "Lo spaziotempo dice alla materia come muoversi; la materia dice allo spaziotempo come curvarsi." Questo concetto può essere esteso per analogia all'organizzazione cellulare: le proteine e le altre biomolecole non agiscono su un palcoscenico statico. Le molecole e il loro ambiente, che sia una membrana, un compartimento confinato o una soluzione complessa, fanno parte dello stesso sistema dinamico, interagiscono tra di loro. Nel caso delle interazioni proteina-membrana, potremmo dire: "Le membrane indicano alla proteina dove andare, e le proteine indicano alle membrane come curvarsi."
In tutto questo, risulta fondamentale il ruolo delle simulazioni, che però devono essere scalate a inglobare l'intera cellula, creando una sorta di "gemello digitale" rispetto alla cellula su cui si compiono gli esperimenti. Tutto questo è oggi possibile per diversi fattori: non soltanto la potenza di calcolo (che peraltro è sempre mal distribuita), ma soprattutto l'uso dell'intelligenza artificiale ha reso gli approcci in questo campo molto più sistematici. L'intelligenza artificiale è oggi in grado di predire diverse strutture che possono poi essere studiate con simulazioni a livello atomistico. I risultati possono essere confrontati con i dati sperimentali, e questi ultimi possono essere usati per migliorare i modelli, fino a raggiungere un livello di comprensione tale da permetterci di intervenire sulla cellula e comprendere la portata dei nostri interventi. La combinazione di queste metodologie ha un grande potenziale per chiarire quella che gli autori chiamano la "grammatica" delle cellule, che sottende la complessa coreografia dell'auto-organizzazione cellulare. Ci chiediamo quindi: quando avremo davvero compreso come funzionano le cellule? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che ci sarà ancora un enorme lavoro da fare per molte generazioni di futuri biologi che studieranno le cellule con metodi quantitativi, alcuni dei quali sono ancora da inventare. Nel mio piccolo, spero di poter contribuire a spronare le nuove generazioni di biologi in questa direzione. 

1 commento:

  1. Da Biologa fisiologa cresciuta con il vecchio insegnamento, sono d'accordo nell'utilizzare nuovi approcci sia teorici, col metodo quantitativo, che strumentali come l'intelligenza artificiale, che aiutino a raggiungere una descrizione piu "realistica" dei fenomeni cellulari, tenendo conto della loro dinamicita nel contesto in cui avvengono. Perche solo cosi poi si arriva a capire la fisiologia dell'organismo.
    Bravo Gianluca, in bocca al lupo per questa nuova sfida, sono sicura che darai un ottimo contributo alla Biologia.

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