domenica 11 agosto 2024

Riflessioni islandesi: quanto può resistere la vita in ambienti ostili?

Scrivo questo post nei giorni immediatamente successivi al mio ritorno da un fantastico giro dell'Islanda, un'isola magnifica che avrei sempre voluto visitare, con il timore che mi sarebbe piaciuta così tanto da decidere di volerci tornare sempre. O chissà, viverci. In effetti, il giro mi ha procurato un'emozione costante di stupore di fronte allo spettacolo della natura: non è neanche un libro di geologia a cielo aperto, ma è un compendio di scienze naturali con incluse le attività di laboratorio, ovviamente tutto a cielo aperto! Tra una cascata e l'altra, tra ambienti che sembravano lunari e altri che sembravano marziani, ma che in fondo dicono che il nostro pianeta offre una tale varietà da lasciare senza fiato, mi ha colpito molto come la vita avesse trovato il modo di adattarsi anche alle condizioni più estreme. La resilienza, insomma. Ecco, l'Islanda è il posto che ti dice che la vita è resiliente e che anche la tua lo è: se la lasci fare, impara ad adattarsi anche alle condizioni più estreme, ai passaggi più complicati, perché alla fine, come amano dire gli islandesi, "þetta reddast", ovvero accettiamo l'incertezza della vita credendo che in qualche modo le cose si sistemeranno. E in Islanda, alla fine, tutto si sistema, in qualche modo. Quali sono però le caratteristiche che rendono la vita così resiliente? E la biofisica computazionale può dire la sua anche in questo ambito? Mi sono documentato perché mi hanno incuriosito anche i batteri che vivono in assenza di luce nelle grotte laviche, oltre a quelli che vivono nelle acque ricche di sali di zolfo, con quell'odore pestilenziale di uova marce. Parliamo quindi di batteri estremofili (che amano l'estremo) e di come facciano a sopravvivere anche in quelle condizioni. Cosa permette a questi batteri di sopravvivere? Naturalmente si tratta di particolari adattamenti delle proteine di cui sono costituiti.
Gli estremofili, in particolare gli alofili (amanti del sale) e i termofili (amanti del calore), hanno sviluppato proteine che riescono a funzionare in condizioni che distruggerebbero la maggior parte delle proteine normali. Comprendere i meccanismi molecolari alla base di questi adattamenti non solo soddisfa la nostra curiosità scientifica, ma offre anche potenziali applicazioni biotecnologiche, dalle industrie che utilizzano enzimi alle nuove strategie di progettazione farmaceutica. Vediamo un po' come funzionano le proteine alofile, le maestre dell'equilibrio salino. Come fanno le proteine alofile a mantenere una struttura stabile anche in presenza di così tanti ioni che distruggerebbero la loro capacità di comunicare mediante campi elettrici? Beh, come prima cosa tendono ad aumentare gli amminoacidi con carica negativa sulla loro superficie: in questo modo le cariche negative attirano gli ioni di sale circostanti e mantengono la proteina solubile, evitando che possa aggregare con altre proteine, visto che gli ioni di sale quasi sempre si portano dietro anche molecole di acqua. Inoltre, in genere, le proteine alofile tendono ad essere più compatte di quelle normali: in questo modo la superficie che viene esposta al solvente è minore, minimizzando i problemi che potrebbero derivare dall'elevata concentrazione salina circostante.
Diversi sono invece i meccanismi alla base della stabilità delle proteine termofile, cioè di quelle che permettono ai batteri di prosperare anche in ambienti come le sorgenti termali o le bocche idortermali profonde. Un primo meccanismo consiste in una presenza maggiore di legami idrogeno, specialmente abbondanti nel nucleo della proteina: questi legami permettono di ottenere una buona stabilità della struttura anche alle alte temperature: il legame idrogeno infatti prevede che ci sia un atomo donore e uno accettore e non tutti gli amminoacidi presentano queste possibilità. Basta quindi fare in modo che l'atomo donore sia vicino ad un solo accettore, per far sì che ci sia una relazione stabile: insomma, l'esatto contrario di Temptation Island, il donore non riesce a trovare un accettore tentatore nelle vicinanze e quindi resta con quello più vicino, anche quando la temperatura aumenta.
Un'altra caratteristica stabile rispetto alle variazioni di temperatura è l'interazione idrofobica: gli amminoacidi che tendono a evitare il contatto con l'acqua (idrofobici, appunto) restano molto uniti tra loro, di solito nel nucleo della proteina. Questo denso impacchettamento riduce la probabilità che i continui sballottamenti dovuti alla temperatura disturbino la struttura della proteina. C'è poi una terza interazione che è molto forte, ed è proprio quella dovuta ad amminoacidi carichi negativamente in contatto con quelli carichi positivamente: l'interazione elettrostatica a basse distanze è molto forte e ci vogliono temperature elevata per destabilizzarla. Si tratta dei cosiddetti ponti salini, che fanno un po' da collante aggiuntivo per tenere insieme la proteina e permetterle di resistere anche allo stress termico.
E' possibile esplorare questi adattamenti mediante la biofisica computazionale? Sicuramente! Non solo è possibile ricostruire, tramite la bioinformatica, la catena evolutiva che ha portato questi batteri a sviluppare queste caratteristiche estremofile, ma le simulazioni di dinamica molecolare permettono anche di indagare nel dettaglio questi adattamenti a livello delle singole interazioni, con gli amminoacidi chiave e le interazioni specifiche che contribuiscono a questa loro straordinaria stabilità. Tutto questo però non è soltanto semplice curiosità: comprendere questi meccanismi permetterebbe di utilizzarli per costruire (ingegnerizzare) proteine con stabilità elevata, imitando le caratteristiche delle proteine estremofile. Tutto questo potrebbe avere applicazioni a livello di processi industriali che richiedono enzimi capaci di resistere a condizioni estreme come alte temperature o ambienti chimici ostili e particolarmente inquinati. Si tratta insomma di un campo che ha applicazioni pratiche nelle biotecnologie, nella medicina e nelle scienze ambientali, con prospettive fantascientifiche quali la biologia sintetica o l'ingegneria biologica. 
Si tratta di uno degli esempi più impressionanti di ingegneria molecolare dell'evoluzione naturale, perché lei sì, alla fine dà proprio ragione agli islandesi: accettiamo l'incertezza della vita, perché niente è più incerto, ma viviamo nella convinzione che comunque tutto troverà il modo di aggiustarsi: "þetta reddast", appunto!

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