sabato 11 agosto 2018

Ferro, Zinco & friends: siamo tutti metallari!

Nello scorso mese di luglio, ho contribuito a organizzare un'interessante conferenza a Parigi, il cui titolo complicatissimo tradotto in italiano suonerebbe "Frontiere e sfide nella computazione dei metalli per applicazioni biochimiche, mediche e tecnologiche". Parigi val sempre un congresso, specialmente quando si tratta di argomenti così interessanti! Perché l'argomento della conferenza era la presenza dei metalli in molti dei calcoli che riguardano enzimi e proteine in generale.
A molti sarà capitato di passare attraverso un metal detector (in aeroporto, o in banca, ad esempio) e doversi spogliare di tutti gli oggetti metallici: tuttavia non facciamo mai caso al fatto che il nostro stesso organismo trasporti un bel po' di metallo al suo interno. Per fare un esempio, il ferro contenuto negli abitanti del nostro pianeta al momento (circa 7 miliardi di persone) sarebbe pari a 3 torri Eiffel e mezzo, sempre per restare nel tema Parigi. Fin da piccoli ci viene insegnato di mangiare gli spinaci perché contengono ferro (con tanto di testimonial Braccio di Ferro) e, non so voi, ma io mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo qualora di ferro ne avessi ingerito un po' troppo: avrei potuto attrarre calamite? Un fisico adulto è stato un bambino strano: forse lo è ancora...

In realtà di ferro abbiamo bisogno perché serve a trasportare ossigeno nel sangue: o meglio, c'è una proteina, l'emoglobina, qui accanto, che è specializzata nel legare il cosiddetto gruppo eme, che contiene un atomo di ferro e può legare una molecola di ossigeno. L'emoglobina, contenuta nei globuli rossi del sangue, viaggia quindi con il suo contenuto di ferro e di ossigeno attraverso il sangue e, in questo modo, è in grado di trasportare ossigeno a tutti i tessuti, un processo fondamentale per la vita. L'emoglobina è però solo un esempio, così come il ferro in essa contenuto è solo uno dei metalli che ci portiamo a spasso. In realtà ci sono tantissime proteine che contengono metalli: le cosiddette metalloproteine. Si stima che circa un terzo delle proteine presenti in tutti gli organismi siano in realtà metalloproteine o comunque richiedano metalli per il loro funzionamento.
I metalli hanno un duplice ruolo nelle proteine: questi ruoli non sono mutuamente esclusivi, nel senso che in realtà può anche succedere che un metallo giochi in entrambi i ruoli. 
Il primo è un ruolo strutturale: i metalli si legano in determinati punti della proteina e hanno un ruolo nella sua stabilità. Perché utilizzare un metallo e non un altro elemento? La risposta è dovuta alla capacità dei metalli di formare legami molto stabili con direzioni particolari, la cosiddetta coordinazione: gli atomi che costituiscono la maggior parte del nostro organismo (carbonio, azoto, ossigeno e idrogeno) hanno infatti geometrie molto ben definite. Ad esempio, il carbonio può formare al massimo quattro legami con atomi vicini, l'azoto tre, l'ossigeno due, l'idrogeno uno. La situazione è decisamente diversa per i metalli: il ferro nel gruppo eme, qui a lato, si coordina con quattro atomi di azoto e un amminoacido presente nell'emoglobina, ma riesce a legare anche una molecola di ossigeno, o anche il pericolosissimo monossido di carbonio, all'occorrenza. Il caso dell'eme è talmente particolare che spesso si parla di un terzo ruolo, ovvero proprio il trasporto di molecole. Tuttavia dovrebbe essere chiaro che è proprio il fattore geometrico che rende così importante l'impiego dei metalli nelle proteine: se avete giocato con le Lego (io sì, tanto), è come disporre di un pezzo un po' particolare rispetto a quelli classici con i soliti incastri. In questo caso, il ruolo è strutturale, perché stiamo sfruttando la capacità di ottenere una geometria particolare.
Tuttavia i metalli, hanno la possibilità di cambiare queste geometrie, ovvero mostrano una versatilità nella coordinazione: questa dipende dallo stato di ossidazione dell'atomo metallico, cioè da quanti elettroni l'atomo "presta" agli atomi vicini. Mi riferisco per semplicità sempre al caso dell'eme: il ferro può prestare due o tre elettroni. Quando ne presta due, si dice che è nello stato ferroso: nel caso dell'eme, nello stato ferroso non lega la molecola di ossigeno e assume una forma a cupola. Quando invece il ferro passa nello stato di ossidazione ferrico (quindi ha prestato tre elettroni), lega la molecola di ossigeno e assume una forma planare. Si tratta quindi di un atomo versatile, come un pezzo delle Lego che, oltre ad avere una geometria molto particolare, è anche in grado di cambiare questa geometria a seconda delle condizioni che si presentano. Questa estrema versatilità dei metalli li rende quindi particolarmente utili quando c'è da svolgere una funzione molto specifica da parte delle proteine. Si parla, in questo caso, di ruolo funzionale. Il ferro nell'eme, in effetti, ha un ruolo funzionale, ma le possibilità sono infinite. Soprattutto quando si considerano anche gli altri metalli, alcuni dei quali decisamente meno noti del ferro.
La versatilità può essere sfruttata, ad esempio, per accelerare (catalizzare) determinate reazioni: tipico è il caso dello zinco, il secondo metallo di transizione, dopo il ferro, per abbondanza nel nostro organismo (seguono manganese, rame, cobalto, molibdeno, vanadio, nichel, cadmio e tungsteno, sì proprio il tungsteno delle vecchie lampadine). Lo zinco ha anche un ruolo strutturale, anche se qui il confine è piuttosto labile: permette infatti a una determinata combinazione di amminoacidi (motivo) di riconoscere catene di acidi nucleici, DNA in particolare. E' talmente preciso nel legare il DNA che sembra un dito e infatti si parla di dito di zinco. Qui a lato ne vedete rappresentati tre, con lo zinco in verde: le tre dita permettono di accogliere una doppia elica di DNA, rappresentata in arancio. Potete immaginare quanto sia importante il riconoscimento del DNA, sia per regolare il corretto funzionamento di una cellula, sia per riconoscere quando c'è qualcosa che non va (ad esempio in una cellula tumorale). Si tratta quindi di uno dei motivi più studiati tra le metalloproteine.
Naturalmente una tale versatilità si riflette nella complessità dei calcoli che è necessario svolgere per poter studiare questi composti. Tipicamente non è possibile studiare le metalloproteine con la sola meccanica classica, specialmente quando i metalli hanno un ruolo funzionale e non solo strutturale. In questo caso infatti, cambiano numero e tipo di legami ed è quindi necessaria la meccanica quantistica, il che richiede una complessità di calcolo decisamente maggiore. Questo è il motivo per cui abbiamo organizzato questa conferenza a Parigi: abbiamo cercato di confrontare i vari metodi di simulazione per capire quali fossero i più adatti: un vero trionfo di funzionali, CPU, GPU, machine learning e chi più ne ha più ne metta!
A parte i calcoli, ci sono però ancora un paio di aspetti interessanti che vorrei sottolineare. Il primo è il ruolo che alcuni metalli, non proprio presenti nella nostra dieta, possono avere nei farmaci: un tipico esempio è il platino, presente in un farmaco antitumorale molto diffuso, il cisplatino. Questa molecola è in grado di interferire con il DNA, in particolare il DNA delle cellule tumorali che è facilmente esposto: si lega in modo covalente ad esso a formare specifici legami crociati (in figura) che sfuggono ai meccanismi di riparazione cellulare e ne inducono il suicidio (la cosiddetta apoptosi). Chissà quanti altri farmaci potremmo scoprire migliorando le nostre capacità di analisi (e di calcolo) sui metalli rari, come il platino, il rutenio, l'osmio o il rodio!
Il secondo è, invece, un aspetto forse più accademico ma per me molto affascinante: potremmo infatti chiederci come mai alcuni metalli siano più abbondanti nel nostro organismo rispetto ad altri. Come funziona? Sono le proteine a competere tra loro per legare determinati metalli, o sono i metalli a competere per legarsi alle proteine esistenti? La risposta, come sempre, è data dall'evoluzione: non sono i metalli ad evolvere, bensì le proteine: queste sono quindi entrate in competizione tra loro per legarsi ai metalli e, cosa ancora più interessante, hanno cercato di sfruttare i metalli che erano presenti in abbondanza negli ambienti in cui si sono evolute. Oggi sappiamo che la composizione degli oceani del nostro pianeta, sul quale ci siamo con ogni probabilità evoluti, è cambiata molto nel corso del tempo. Metalli che erano molto disponibili un tempo, oggi non lo sono più e viceversa. Le proteine che sfruttano questi metalli potrebbero portare quindi una traccia di questi oceani ancestrali in cui magari il nichel era più abbondante del rame. La nostra dipendenza da questi metalli rari (incluso il tungsteno delle lampadine) rappresenta quindi una specie di fossile della biologia molecolare. E se la composizione dovesse cambiare ulteriormente? Se quelli che oggi sono considerati metalli tossici improvvisamente potessero essere coinvolti in processi biochimici? E cosa è successo quindi sugli altri pianeti che ospitano la vita? Mi immagino un cartone animato alieno con Braccio di Rutenio, intento a mangiare il suo analogo degli spinaci. Come avevo scritto all'inizio di questo post, un fisico adulto è stato un bambino strano: forse lo è ancora...

Nessun commento:

Posta un commento