Sono reduce (è il caso di dirlo) da uno splendido matrimonio pugliese con uno strepitoso menù a base di pesce, di cui allego reperto fotografico qui a lato: l’associazione di idee mi è venuta quindi spontanea. I miei amici convivevano ormai da un bel po’ di anni e siamo stati tutti molto felici di festeggiare l’ufficialità della loro unione. Il matrimonio di cui vi parlerò questo mese è invece abbastanza curioso e lontano dall’essere ufficiale: si tratta infatti di una delle prime applicazioni degli algoritmi di apprendimento automatico (o machine learning) allo studio dei canali ionici. Lo studio, firmato da Smiruthi Ramasubramanian e Yoram Rudy, della Washington University di St. Louis, nel Missouri, è apparso sul numero di giugno del Biophysical Journal e promette davvero di essere un punto di svolta nel settore, anche se non sono pienamente d’accordo con alcune sue metodiche: del resto il tenutario di questo blog è sempre stato un po’ “picatuso”, come ama sottolineare un mio collega!
Anzitutto partiamo dai canali ionici: avevo già parlato in un post precedente dei canali di acqua, le acquaporine. I canali ionici hanno qualcosa in comune con le acquaporine: si tratta infatti sempre di proteine che attraversano la membrana da parte a parte con uno o più canali, ma anziché favorire il passaggio di acqua, determinano il passaggio selettivo degli ioni, in particolare di sodio (Na), calcio (Ca), potassio (K) e cloro (Cl), rappresentati qui in figura.
Il passaggio è selettivo nel senso che un canale al potassio difficilmente farà passare uno ione sodio, anzi proprio non lo lascerà passare: se però osserviamo bene l’immagine ci rendiamo conto che lo ione potassio è più grande dello ione sodio, pur avendo la stessa carica elettrica. Tutto questo è in effetti controintuitivo: siamo abituati a immaginare che un poro che lascia passare una particella più grande debba necessariamente far passare quelle più piccole, come sa chiunque abbia usato uno scolapasta non italiano per scolare il riso!
C’erano state diverse teorie su come fosse possibile tutto questo, inclusa l’idea che gli ioni potassio venissero selettivamente legati dagli amminoacidi all’interno del poro. In realtà il meccanismo è in gran parte dovuto all’acqua circostante, ed è un magnifico esempio di come l’evoluzione abbia lavorato in milioni di anni per trovare una soluzione a questo problema.
Gli ioni infatti si trovano sempre in acqua, che è una molecola polare con cariche positive in corrispondenza degli atomi di idrogeno e carica negativa localizzata sull’atomo di ossigeno. Le cariche negative dell’ossigeno di varie molecole di acqua si dispongono dunque intorno agli ioni positivi, come appunto il sodio e il potassio, in modo quasi ordinato a formare una specie di gabbia detta anche guscio di idratazione (gabbia di acqua però va benissimo per ricordare il concetto). Uno ione sodio con il suo guscio di idratazione è rappresentato qui a lato. In realtà, essendo il sodio più piccolo del potassio, questa gabbia risulta particolarmente stabile proprio intorno al sodio: in altre parole, entrambi gli ioni hanno un vestito di molecole di acqua, ma al sodio il vestito sta proprio bene e difficilmente se ne spoglierà, mentre per il potassio questo vestito sta un po’ scomodo e tenderà a liberarsene nelle opportune condizioni. Il diametro del poro di un canale al potassio permette di accomodare esclusivamente lo ione potassio e nessuna molecola di acqua intorno: pertanto lo ione potassio deve liberarsi della sua gabbia di acqua ed entrare “nudo” nel canale, cosa che gli riesce particolarmente bene, anche perché viene aiutato dagli amminoacidi presenti al suo interno che in qualche modo cercando di spogliarlo! I campi elettrici poi fanno il resto, guidando lo ione attraverso il poro e facendolo passare dall’altra parte. Diverso è il caso di uno ione sodio: essendo più piccolo, il sodio arriva all’ingresso del poro con tutta la sua gabbia di acqua, ma risulta troppo piccolo per potersene liberare facilmente. Di conseguenza tenta di passare vestito con il suo intero guscio di idratazione, senza alcun successo e senza alcun aiuto da parte degli amminoacidi intorno.
Tutto questo meccanismo è stato accuratamente studiato proprio con la dinamica molecolare a partire dalle prime strutture cristallografiche del canale al potassio, risolte nel 2001 dal gruppo di ricerca di Roderick MacKinnon. Lo stesso MacKinnon per le sue ricerche ricevette il premio Nobel per la chimica nel 2003, e forse anche per riconoscenza verso questa affascinante proteina, nel 2007 ha commissionato una scultura basata sulle coordinate atomiche del canale al potassio da lui risolto. La scultura di Julian Voss-Andreae (qui a lato) si chiama “Nascita di un’idea”: è alta circa un metro e mezzo e credo si possa tranquillamente affermare che sia un incubo per chiunque voglia tentare di spolverarla (non è il mio caso: ho ereditato da mia mamma un felice rapporto di convivenza con la polvere).
Ma perché i canali ionici sono così importanti? Tra le loro tante funzioni, in realtà, c’è quella di mediare la conduzione di un segnale attraverso le sinapsi, ovvero le connessioni tra i neuroni e sono quindi attori protagonisti del sistema nervoso. Inoltre sono un componente fondamentale in una serie di processi biologici che comportano cambiamenti molto rapidi nelle cellule, come la contrazione del muscolo cardiaco o dei muscoli scheletrici (avete mai avuto i crampi notturni? Sono il segno di una carenza di potassio), o il trasporto dei nutrienti, il rilascio di insulina, l’attivazione delle cellule del sistema immunitario, insomma praticamente tutto il nostro motore! Per fare un esempio, molti dei cosiddetti veleni (o tossine) sviluppati dagli animali (ragni, scorpioni, serpenti, pesci, lumache di mare assassine, api, suocere...) sono in realtà molecole che interferiscono con la conduzione dei canali ionici, sia bloccandola (nei casi più gravi) o semplicemente alterandone la velocità (la cosiddetta cinetica). A questo punto non dovremmo restare sorpresi se proprio i canali ionici sono il tipico bersaglio nella ricerca di nuovi farmaci: per questo la determinazione della loro struttura ha comportato un premio Nobel e tantissime nuove ricerche negli ultimi venti anni.
Tuttavia, un conto è ottenere la struttura cristallografica e studiarne i meravigliosi dettagli, ben altro è invece lo sforzo richiesto per poter comprendere quali sono i movimenti implicati nell’apertura (o gating) di un canale ionico. Infatti, alcuni di questi canali si aprono soltanto in presenza di un segnale, che può essere dovuto a una molecola (anche una proteina) vicina, oppure uno stimolo elettrico, come nei canali regolati dal voltaggio (voltage-gated). Collegare la trasmissione di questi segnali fisiologici a dei meccanismi a livello molecolare è un’impresa titanica. In teoria, la biofisica computazionale potrebbe realizzare questo obiettivo: sappiamo che i force field sono in grado di descrivere piuttosto bene come si muovono gli atomi che compongono una proteina. Ho già parlato però del limite intrinseco dei metodi che descrivono il dettaglio atomico delle biomolecole: è il famoso problema del ∆t. Gli esperimenti avvengono su scale temporali che sono nell’ordine dei millesimi di secondo e pertanto sembrerebbe che ogni tentativo in questa direzione sia quantomeno poco pratico.
In questo studio però gli autori introducono una metodologia che utilizza gli algoritmi di apprendimento automatico (o machine learning) per ottenere dei modelli di diverse conformazioni dei canali al potassio con tutti i dettagli strutturali e funzionali. Come funzionano questi algoritmi? Un po’ come funzioniamo noi quando impariamo qualcosa: di solito veniamo esposti ad una serie di informazioni e di esercizi che ci consentono di diventare sempre più bravi nel riconoscere come dobbiamo comportarci in una determinata situazione per ottenere il risultato desiderato. Maggiore è il numero di esercizi che abbiamo a disposizione per imparare, migliore sarà la nostra capacità di apprendimento e più probabilità avremo anche di ottenere risultati esatti di fronte a nuovi problemi.
Negli algoritmi di apprendimento automatico funziona esattamente così: c’è una prima fase in cui la macchina impara a partire da un numero abbastanza alto di esempi (il cosiddetto training set o insieme di allenamento): quando la risposta agli esercizi del training set è soddisfacente, la macchina è pronta per fornire predizioni su nuovi problemi. In questo caso, hanno prima costruito tantissime strutture per il loro canale ionico (un training set di circa tre milioni di conformazioni): per ciascuna di queste strutture hanno calcolato l'energia, che è direttamente collegata alla probabilità che quella struttura sia realizzata, secondo le leggi della meccanica statistica. Le strutture prescelte erano particolari, nel senso che erano state ricavate anche sulla base di dati sperimentali, pertanto erano molto affidabili e si prestavano bene per allenare la macchina nella fase di apprendimento. Dopo questa fase di apprendimento, hanno quindi costruito altre strutture, variando leggermente le posizioni di alcuni pezzi della proteina (in realtà qui parliamo di un complesso davvero grande di proteine, come si può vedere in figura): per queste non hanno calcolato l'energia, ma hanno semplicemente utilizzato la macchina precedentemente addestrata per ottenere il dato necessario a costruire un modello che collegasse le diverse conformazioni delle proteine alla situazione fisiologica rappresentata nei dati sperimentali, un risultato decisamente impensabile con le tecniche classiche di simulazione.
Ad essere sincero, non sono proprio un accanito sostenitore delle tecniche di apprendimento automatico, forse perché a volte mi sembrano davvero degli esperimenti di magia nera: la macchina viene bombardata di informazioni e test finché non comincia a sputare fuori risultati consistenti con quanto ci attendiamo. Se facessi così con i miei studenti, gli appelli non basterebbero! Tuttavia, nonostante il mio atteggiamento a metà tra Don Abbondio e Don Rodrigo su questo matrimonio, e nonostante i tanti aspetti che andrebbero migliorati nel modello utilizzato per il calcolo dell'energia, devo ammettere che i risultati sono promettenti: ecco, magari lasciamo che si concretizzi una serena convivenza e aspettiamo futuri sviluppi!
Anzitutto partiamo dai canali ionici: avevo già parlato in un post precedente dei canali di acqua, le acquaporine. I canali ionici hanno qualcosa in comune con le acquaporine: si tratta infatti sempre di proteine che attraversano la membrana da parte a parte con uno o più canali, ma anziché favorire il passaggio di acqua, determinano il passaggio selettivo degli ioni, in particolare di sodio (Na), calcio (Ca), potassio (K) e cloro (Cl), rappresentati qui in figura.

C’erano state diverse teorie su come fosse possibile tutto questo, inclusa l’idea che gli ioni potassio venissero selettivamente legati dagli amminoacidi all’interno del poro. In realtà il meccanismo è in gran parte dovuto all’acqua circostante, ed è un magnifico esempio di come l’evoluzione abbia lavorato in milioni di anni per trovare una soluzione a questo problema.
Gli ioni infatti si trovano sempre in acqua, che è una molecola polare con cariche positive in corrispondenza degli atomi di idrogeno e carica negativa localizzata sull’atomo di ossigeno. Le cariche negative dell’ossigeno di varie molecole di acqua si dispongono dunque intorno agli ioni positivi, come appunto il sodio e il potassio, in modo quasi ordinato a formare una specie di gabbia detta anche guscio di idratazione (gabbia di acqua però va benissimo per ricordare il concetto). Uno ione sodio con il suo guscio di idratazione è rappresentato qui a lato. In realtà, essendo il sodio più piccolo del potassio, questa gabbia risulta particolarmente stabile proprio intorno al sodio: in altre parole, entrambi gli ioni hanno un vestito di molecole di acqua, ma al sodio il vestito sta proprio bene e difficilmente se ne spoglierà, mentre per il potassio questo vestito sta un po’ scomodo e tenderà a liberarsene nelle opportune condizioni. Il diametro del poro di un canale al potassio permette di accomodare esclusivamente lo ione potassio e nessuna molecola di acqua intorno: pertanto lo ione potassio deve liberarsi della sua gabbia di acqua ed entrare “nudo” nel canale, cosa che gli riesce particolarmente bene, anche perché viene aiutato dagli amminoacidi presenti al suo interno che in qualche modo cercando di spogliarlo! I campi elettrici poi fanno il resto, guidando lo ione attraverso il poro e facendolo passare dall’altra parte. Diverso è il caso di uno ione sodio: essendo più piccolo, il sodio arriva all’ingresso del poro con tutta la sua gabbia di acqua, ma risulta troppo piccolo per potersene liberare facilmente. Di conseguenza tenta di passare vestito con il suo intero guscio di idratazione, senza alcun successo e senza alcun aiuto da parte degli amminoacidi intorno.
Tutto questo meccanismo è stato accuratamente studiato proprio con la dinamica molecolare a partire dalle prime strutture cristallografiche del canale al potassio, risolte nel 2001 dal gruppo di ricerca di Roderick MacKinnon. Lo stesso MacKinnon per le sue ricerche ricevette il premio Nobel per la chimica nel 2003, e forse anche per riconoscenza verso questa affascinante proteina, nel 2007 ha commissionato una scultura basata sulle coordinate atomiche del canale al potassio da lui risolto. La scultura di Julian Voss-Andreae (qui a lato) si chiama “Nascita di un’idea”: è alta circa un metro e mezzo e credo si possa tranquillamente affermare che sia un incubo per chiunque voglia tentare di spolverarla (non è il mio caso: ho ereditato da mia mamma un felice rapporto di convivenza con la polvere).
Ma perché i canali ionici sono così importanti? Tra le loro tante funzioni, in realtà, c’è quella di mediare la conduzione di un segnale attraverso le sinapsi, ovvero le connessioni tra i neuroni e sono quindi attori protagonisti del sistema nervoso. Inoltre sono un componente fondamentale in una serie di processi biologici che comportano cambiamenti molto rapidi nelle cellule, come la contrazione del muscolo cardiaco o dei muscoli scheletrici (avete mai avuto i crampi notturni? Sono il segno di una carenza di potassio), o il trasporto dei nutrienti, il rilascio di insulina, l’attivazione delle cellule del sistema immunitario, insomma praticamente tutto il nostro motore! Per fare un esempio, molti dei cosiddetti veleni (o tossine) sviluppati dagli animali (ragni, scorpioni, serpenti, pesci, lumache di mare assassine, api, suocere...) sono in realtà molecole che interferiscono con la conduzione dei canali ionici, sia bloccandola (nei casi più gravi) o semplicemente alterandone la velocità (la cosiddetta cinetica). A questo punto non dovremmo restare sorpresi se proprio i canali ionici sono il tipico bersaglio nella ricerca di nuovi farmaci: per questo la determinazione della loro struttura ha comportato un premio Nobel e tantissime nuove ricerche negli ultimi venti anni.
Tuttavia, un conto è ottenere la struttura cristallografica e studiarne i meravigliosi dettagli, ben altro è invece lo sforzo richiesto per poter comprendere quali sono i movimenti implicati nell’apertura (o gating) di un canale ionico. Infatti, alcuni di questi canali si aprono soltanto in presenza di un segnale, che può essere dovuto a una molecola (anche una proteina) vicina, oppure uno stimolo elettrico, come nei canali regolati dal voltaggio (voltage-gated). Collegare la trasmissione di questi segnali fisiologici a dei meccanismi a livello molecolare è un’impresa titanica. In teoria, la biofisica computazionale potrebbe realizzare questo obiettivo: sappiamo che i force field sono in grado di descrivere piuttosto bene come si muovono gli atomi che compongono una proteina. Ho già parlato però del limite intrinseco dei metodi che descrivono il dettaglio atomico delle biomolecole: è il famoso problema del ∆t. Gli esperimenti avvengono su scale temporali che sono nell’ordine dei millesimi di secondo e pertanto sembrerebbe che ogni tentativo in questa direzione sia quantomeno poco pratico.
In questo studio però gli autori introducono una metodologia che utilizza gli algoritmi di apprendimento automatico (o machine learning) per ottenere dei modelli di diverse conformazioni dei canali al potassio con tutti i dettagli strutturali e funzionali. Come funzionano questi algoritmi? Un po’ come funzioniamo noi quando impariamo qualcosa: di solito veniamo esposti ad una serie di informazioni e di esercizi che ci consentono di diventare sempre più bravi nel riconoscere come dobbiamo comportarci in una determinata situazione per ottenere il risultato desiderato. Maggiore è il numero di esercizi che abbiamo a disposizione per imparare, migliore sarà la nostra capacità di apprendimento e più probabilità avremo anche di ottenere risultati esatti di fronte a nuovi problemi.
Negli algoritmi di apprendimento automatico funziona esattamente così: c’è una prima fase in cui la macchina impara a partire da un numero abbastanza alto di esempi (il cosiddetto training set o insieme di allenamento): quando la risposta agli esercizi del training set è soddisfacente, la macchina è pronta per fornire predizioni su nuovi problemi. In questo caso, hanno prima costruito tantissime strutture per il loro canale ionico (un training set di circa tre milioni di conformazioni): per ciascuna di queste strutture hanno calcolato l'energia, che è direttamente collegata alla probabilità che quella struttura sia realizzata, secondo le leggi della meccanica statistica. Le strutture prescelte erano particolari, nel senso che erano state ricavate anche sulla base di dati sperimentali, pertanto erano molto affidabili e si prestavano bene per allenare la macchina nella fase di apprendimento. Dopo questa fase di apprendimento, hanno quindi costruito altre strutture, variando leggermente le posizioni di alcuni pezzi della proteina (in realtà qui parliamo di un complesso davvero grande di proteine, come si può vedere in figura): per queste non hanno calcolato l'energia, ma hanno semplicemente utilizzato la macchina precedentemente addestrata per ottenere il dato necessario a costruire un modello che collegasse le diverse conformazioni delle proteine alla situazione fisiologica rappresentata nei dati sperimentali, un risultato decisamente impensabile con le tecniche classiche di simulazione.
Ad essere sincero, non sono proprio un accanito sostenitore delle tecniche di apprendimento automatico, forse perché a volte mi sembrano davvero degli esperimenti di magia nera: la macchina viene bombardata di informazioni e test finché non comincia a sputare fuori risultati consistenti con quanto ci attendiamo. Se facessi così con i miei studenti, gli appelli non basterebbero! Tuttavia, nonostante il mio atteggiamento a metà tra Don Abbondio e Don Rodrigo su questo matrimonio, e nonostante i tanti aspetti che andrebbero migliorati nel modello utilizzato per il calcolo dell'energia, devo ammettere che i risultati sono promettenti: ecco, magari lasciamo che si concretizzi una serena convivenza e aspettiamo futuri sviluppi!
Nessun commento:
Posta un commento