martedì 11 settembre 2018

Biofisica computazionale sul tuo desktop: é possibile?

Il titolo del post di questo mese è la traduzione dall'inglese del titolo del workshop internazionale che abbiamo organizzato all'Università di Trento dal 3 al 6 settembre e di cui vedete il logo qui a lato. E' stata un'esperienza davvero molto impegnativa ma pienamente riuscita: per quattro giorni Trento è stata il luogo in cui ci siamo confrontati sul presente e sul futuro della biofisica computazionale. Diversi i punti di vista, diversissimi i contributi, diverse le modalità filosofiche di approccio ai problemi, con siparietti anche molto divertenti. Unica nota negativa: la presenza davvero ridotta di rappresentanti del genere femminile. Da organizzatore, assicuro di aver fatto il possibile, ma il campo è ancora statisticamente dominato dagli uomini. Ho maturato una certa esperienza e il problema non è certo di capacità: le donne sanno programmare come gli uomini, ma è un'abilità che viene percepita ancora come maschile e le ragazze che vi si appassionano sono poche. Finora. Io però sono ottimista e le ragazze che hanno seguito i miei corsi lo sanno: la biofisica computazionale non è un lavoro per soli uomini e non lo sarà, di sicuro non lo sarà qui a Trento!

Ma perché biofisica computazionale sul tuo desktop? Il titolo voleva essere una provocazione e infatti lo è stato: la gran parte dei calcoli di biofisica computazionale è svolta, di solito, con l'ausilio dei supercalcolatori. Tuttavia questi non sono sempre accessibili a tutti: a parte pochi casi di supercalcolatori presenti all'interno di strutture universitarie, centri di ricerca o addirittura privati cittadini, come nel caso della D. E. Shaw, per tutti gli altri è necessario richiedere le risorse di calcolo attraverso procedure che sono dei veri e propri concorsi, come il PRACE, su scala europea, qui a lato. Anche nel sistema più efficiente, la procedura richiede almeno un paio di mesi. Inoltre i calcoli stessi possono richiedere, ancora, mesi. Supponiamo dunque che ci sia un gruppo sperimentale che stia lavorando su un sistema biologico interessante: hanno dati sperimentali da interpretare, per cercare di capire cosa sia successo dal punto di vista molecolare e, quindi, formulare nuove ipotesi. Il più delle volte sono costretti ad agire sulla base dell'intuizione, ma l'intuizione (in biologia, come in amore) spesso tradisce: non sono rari i casi in cui ci si trova davanti ad una spiegazione che sembra semplice e poi si rivela sbagliata. Sarebbe importante poter ricevere almeno un conforto dall'applicazione delle leggi della fisica a livello molecolare, ma queste richiedono troppo tempo e in biologia la competizione è feroce. 
Il risultato netto è che il gruppo sperimentale va per la sua strada, pubblicando i risultati degli esperimenti e una sua interpretazione basata sull'intuizione. Il gruppo teorico, nel migliore dei casi, arranca con mesi di ritardo cercando di capire cosa sia davvero successo dal punto di vista molecolare, in un gioco che ricorda moltissimo il famoso paradosso di Achille e della tartaruga: se è pur vero che Achille è più veloce della tartaruga, il tempo che gli occorre per coprire il tratto da A a B sarà sfruttato dalla tartaruga per andare da B a C e così via, con il risultato che se la tartaruga parte da B e Achille da A, Achille non raggiungerà mai la tartaruga, pur essendo più veloce. Ecco, in biologia i computazionali sono tartarughe che partono da A mentre Achille è già in B. Lo dico perché mi è successo più di una volta: ho sistemi molto interessanti da studiare, ma i tempi che mi occorrono per dare una risposta sono quasi biblici, in confronto ai tempi di una pubblicazione scientifica (che pure non sono brevissimi).
Si può obiettare (e infatti durante il workshop è emerso anche questo punto di vista) che si tratta in realtà solo di una nostra mancanza di risorse: ciò che 15 anni fa sembrava richiedere risorse di calcolo molto ingenti, oggi effettivamente gira su un desktop e quindi si tratta solo di aspettare che la tecnologia ci porti calcolatori più efficienti. Chissà, magari i fantomatici computer quantistici di cui tanto si parla...
Come cantava Sting in Russians "I don't subscribe to this point of view", non ci metterei la firma: il ragionamento è corretto, ma non mi soddisfa. Le domande sono talmente tante e la nostra capacità di calcolo così limitata che è necessario offrire cambiamenti di prospettiva, anche per poter formulare domande più interessanti o che possano avere un impatto maggiore negli scenari futuri della biologia. Ma non finisce qui: quale sarebbe il valore aggiunto di una simulazione con milioni e milioni di atomi rappresentati in un modello se poi non siamo in grado di comprendere il meccanismo di funzionamento dell'oggetto che stiamo studiando e dominarlo completamente come facciamo con le macchine? Se gli ingegneri avessero seguito il nostro modo di ragionare, avremmo dovuto ringraziare un'entità astratta in grado di far evolvere il motore della Ferrari a partire da tante Panda sulle quali gli ingegneri apportavano modifiche casuali, con un gruppo teorico di supporto a cercare di spiegare, a posteriori, perché il motore Ferrari fosse più veloce, basandosi sulla descrizione minuziosa di ogni singolo atomo componente. 
L'idea del nostro workshop era quindi quella di mettere a confronto le diverse tecniche di calcolo per cercare di ottenere risposte dirette alle domande poste dagli esperimenti impiegando un calcolatore singolo (possibilmente un desktop) o un numero di calcolatori che rientri facilmente nelle disponibilità economiche di un gruppo teorico medio nel mondo. Non è facile riassumere quanto è stato detto, tenterò di farlo nei prossimi mesi sbobinando la tavola rotonda (immagine qui a lato) che si è tenuta martedì 4 settembre, preceduta da una introduzione a carattere storico del Prof. Ciccotti (Università di Roma "La Sapienza") dal titolo (traduzione mia): "Dinamica molecolare: da dove a dove?", una specie di "quo vadis?" a modo nostro.
La mia impressione è che ci siano state almeno tre diverse anime sulla filosofia (!) delle simulazioni: una prima, la più rigorosa, che puntava all'efficienza negli algoritmi mantenendo però il dettaglio atomico (li chiamerò "gli accelerati"); la seconda è quella che corrisponde all'idea di rappresentare più atomi con un'unica sferetta, i cosiddetti metodi "coarse grained" (li chiamerò "i pallettari"); infine la terza, emergente, che utilizza approcci squisitamente ingegneristici per rappresentare la superficie delle proteine e delle macromolecole biologiche come se fossero, appunto, macchine dell'ingegneria, ma con una complicazione nei calcoli dovuta all'agitazione termica, cioè alla semplice temperatura che, su queste scale nanometriche, è un poderoso vento che spira in tutte le direzioni (li chiamerò "i nano-ing"). Naturalmente è una classificazione grossolana, perché ci sono tecniche che si trovano a ponte tra due (o anche tre) approcci ed altre che sfuggono a questa mia classificazione: un discorso a parte andrebbe speso poi per gli approcci di apprendimento automatico (o machine learning). 
Le uniche certezze che mi sono rimaste, dopo questo vero tour-de-force tra caffè, gente che arrivava e gente che partiva, telefonate, riduttori e adattatori di ogni ordine e grado, improponibili ubriacature serali e sveglie al mattino presto con occhiaie da mondiale nippo-coreano, sono due: ci sono davvero tanti progetti che qui a Trento potremmo realizzare, anche solo utilizzando computer poco potenti, ovvero quelli di cui disponiamo al momento, grazie alla combinazione tra il nostro entusiasmo e la freschezza dei nostri studenti. Su questo mi impegnerò a lavorare sin da subito, rendendo stabili i contatti con gli ospiti della conferenza, soprattutto attraverso il canale degli scambi studenteschi per le tesi di laurea e i programmi congiunti di dottorato.
L'altra inequivocabile certezza è che l'unico modo per mettere faticosamente d'accordo accelerati, pallettari e nano-ing è stato farli sedere a tavola, con qualche accorgimento per i vegetariani che, in Trentino, non hanno vita facile: si sono messi d'accordo solo su strudel e birra.

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