venerdì 11 gennaio 2019

La biologia: un caso complicato di ingegneria inversa?

Bob Eisenberg, Rush Medical College
Il titolo è una mia rielaborazione di un articolo apparso su un numero speciale del Journal of Molecular Liquids, dedicato alla memoria del fisico-chimico Lesser Blum, scomparso nel 2016. L'articolo è a firma di Bob Eisenberg, che ho avuto il piacere di conoscere nel 2008 durante uno dei miei periodi estivi alla SISSA di Trieste e con cui ho potuto poi lavorare direttamente nell'estate del 2009, presso il Rush Medical College di Chicago. Bob (qui a lato) è sempre stato molto illuminante nelle sue disamine su cosa dovrebbero fare i fisici che si occupano di biologia: la sua è una mentalità aperta e ossessionata dalla curiosità, aperta sì, ma mai accomodante, con opinioni personali forti, ma argomentate molto bene. Insomma, una di quelle persone con cui è un piacere parlare e la cui amicizia mi fa davvero molto onore. Il suo articolo è molto lungo e argomentato, ma qui mi premeva parlarne per sottolineare alcuni spunti di riflessione: ce ne sono tanti altri, ma forse dedicherò qualche altro post ad approfondirne alcuni. Invito comunque i miei lettori a dare un'occhiata all'articolo originale (qui una versione liberamente scaricabile) anche perché non è affatto complicato ed è scritto in un inglese davvero impeccabile.

Il punto di partenza di Bob giustifica la rivista su cui è apparso il suo articolo: la vita non è altro che chimica fisica applicata alle soluzioni saline concentrate. Spoetizzante o riduzionista quanto sia, resta però il fatto incontrovertibile che le domande che ci poniamo quando studiamo i sistemi viventi sono molto diverse da quelle che la fisica, o la chimica, si pongono normalmente. Il motivo principale di questa differenza è che la vita, al contrario dell'universo, ha un fine che è anche il suo unico motore di evoluzione: la riproduzione. Tutti gli strumenti (i cosiddetti "device" nell'articolo di Bob) utilizzati dall'evoluzione, ovvero gli organi e i meccanismi che ci permettono di vivere, sono qui perché semplicemente hanno permesso ai nostri predecessori di ottenere un successo evolutivo, riproducendosi più di altri loro competitori. 
Se guardiamo soltanto ai dispositivi, lo studio dei sistemi viventi somiglia allo studio dei sistemi ingegneristici: tuttavia l'ingegneria è guidata da principi logici, di efficienza, riduzione dei costi, ottimizzazione delle prestazioni, miniaturizzazione, facilità di impiego e, in ultima analisi, convenienza economica. I sistemi biologici sono guidati dall'unico fine generale, ovvero quello di riprodursi più degli altri, nelle condizioni che si sono venute a determinare nella storia (geologica e climatica) del nostro pianeta. Possiamo anche cercare di comprendere come funzionano gli organi, i nostri strumenti: tuttavia quegli organi e quegli strumenti sono lì perché hanno superato una pressione riproduttiva, non perché ci sia dietro una logica (con buona pace per i fautori del cosiddetto "disegno intelligente"). In altre parole, la biologia somiglia più a un'ingegneria inversa (reverse engineering): ci vengono date delle macchine molto complicate e sta a noi capire come funzionano, posto che sappiamo che quelle macchine sono lì perché si sono riprodotte meglio e più delle altre.
E' un punto di vista interessante e Bob cita l'esempio dell'amplificatore. Sappiamo tutti cosa fa un amplificatore: prende un segnale in ingresso e lo aumenta in uscita. Tuttavia supponiamo di avere in mano un amplificatore e non sapere cosa sia: cosa facciamo come prima cosa? Osserviamo che c'è una presa e lo colleghiamo alla corrente per capire cosa fa. Un amplificatore senza una presa di corrente, infatti, non fa assolutamente nulla. Poi, certo, possiamo anche provare a smontare l'amplificatore pezzo per pezzo, a scollegare prima un filo, poi l'altro e fare delle prove per capire se funziona ancora o meno. E' il cosiddetto procedimento per tentativi ed errori, tipico della scienza e tipico anche della biologia.
Il procedimento per tentativi ed errori ottiene successi, ma costa tantissima fatica; inoltre, spesso nel tentativo di comprendere se un filo o un pezzo dell'amplificatore è importante, facciamo modifiche che possono danneggiare l'intero amplificatore e non farlo funzionare più. Tutto questo vale anche per gli organismi viventi, con una complicazione ulteriore: molte delle nostre misure sono fatte cercando di capire cosa accade in condizioni controllate, e le condizioni controllate corrispondono spesso in fisica a condizioni di equilibrio. Il problema è che la vita all'equilibrio ha un altro nome: morte.
Studiare una cellula morta è come studiare un amplificatore spento: non è per niente facile capire cosa faccia. Studiare una cellula viva è però enormemente più complicato che studiare un amplificatore in funzione, anche perché i segnali in ingresso e in uscita sono tantissimi.
Bob spinge l'analogia anche più in là: in questa ingegneria inversa, cosa possiamo fare per cercare di capire come funziona un dispositivo? Lo smontiamo pezzo per pezzo, facciamo un elenco di tutti i pezzi che lo compongono e poi proviamo a riassemblare i pezzi, magari a gruppi. Da questa prospettiva, appare chiaro che questo è stato anche il percorso che lo studio dei sistemi viventi ha seguito: ha cercato di capire come funzionano i pezzi del nostro corpo e del corpo degli animali, ha creato elenchi lunghissimi di tutti i componenti, fino ai costituenti microscopici, fino all'enorme banca dati che contiene tutte le strutture delle proteine che finora siamo riusciti a risolvere.
Oltretutto, oggi abbiamo anche a nostra disposizione tutti i disegni originali che permettono di ricostruire i pezzi, dato che sappiamo che il codice genetico contiene le istruzioni per costruire le proteine e le proteine sono in grado di costruire tutto il resto, inclusi i lipidi che costituiscono le membrane e gli ormoni che ci spingono a innamorarci (sono loro le frecce di Cupido!) e, in un ultimo impeto di incoscienza, a riprodurci.
Abbiamo dunque tutti i pezzi: si tratta di capire come riassemblarli, comprendere come si passi da processi che avvengono su scala microscopica o addirittura atomica, a funzioni che interessano un organismo vivente complesso, quale il nostro. Attenzione, però: perché il punto di vista è molto originale e più vicino all'ingegneria che alla fisica. Bob fa l'esempio della porta: una porta è composta da tantissimi atomi, inclusa la maniglia e i cardini. Tuttavia non abbiamo dubbi che il suo funzionamento dipenda in modo cruciale dagli atomi presenti nella maniglia e nei cardini. Tutto il resto fa da supporto. E' necessario conoscere come siano disposti tutti gli atomi presenti nella porta? No. E' necessario sapere di che materiale sono fatti? In linea di massima, no. E' invece indispensabile capire come funziona, vederla operare e, soprattutto, capire come movimenti di pochissimi atomi possano influire su un oggetto così grande.
Ora, nel caso biologico, la situazione è anche più delicata: perché gli atomi che determinano il comportamento di un intero organismo sono davvero pochi. Ma proprio pochi, pochi: è come pensare che una nostra singola azione possa avere conseguenze per l'intero continente sul quale ci troviamo. Questo risultato è controintuitivo ed anche difficile da accettare per chiunque abbia seguito dei corsi di fisica. Sarà forse per questo che lo studio dei viventi tra i fisici di solito scatena due reazioni: la profonda curiosità di chi vuol capire qualcosa che sembra, in apparenza, sfuggire agli insegnamenti della fisica oppure il disgusto dettato dalle stesse motivazioni. Perché tutto questo?
Perché ci insegnano (anzi, io stesso insegno) la meccanica statistica che ci permette di collegare le proprietà microscopiche a quelle macroscopiche. La meccanica statistica in realtà ci dice che le proprietà di un sistema macroscopico sono spesso determinate più dalla statistica dei suoi costituenti che dai dettagli delle loro interazioni. Un momento: questo però è proprio quanto lo studio dei viventi contraddice. Sappiamo che pochissimi atomi sono responsabili di un numero enorme di effetti, del funzionamento di dispositivi che vanno dalle scale del micron a quelle del metro. Quindi? La meccanica statistica non vale più? Questi sistemi viventi seguono leggi che non comprendiamo? Niente di tutto questo: quei risultati della meccanica statistica in realtà si riferiscono a sistemi debolmente interagenti. Per sistemi che hanno forti interazioni non è affatto così: se un atomo interagisce fortemente con molti altri, qualunque suo piccolo spostamento verrà avvertito da tutti gli altri e finirà per determinarne il comportamento collettivo.
E' proprio questo il punto: capire come i piccoli spostamenti si propagano e risultano in effetti macroscopici. La biofisica computazionale può dare delle risposte da questo punto di vista. Tuttavia non è sufficiente: sarebbe necessario assumere un approccio cosiddetto integrativo, in cui si riesca a collegare queste piccole variazioni microscopiche ai fenomeni collettivi, che andranno descritti con modelli che si adattino via via alle scale rappresentate. Senza questo approccio modulare, sarà molto difficile riuscire davvero a comprendere come funzionano gli organismi viventi. Bob parla di una vera e propria gerarchia della vita, rappresentata nella figura qui sopra, in cui si passa dagli atomi/ioni, alle molecole, alle proteine, agli organelli e membrane cellulari, alle cellule intere, ai tessuti e infine agli organi. Tutti gli elementi di questa gerarchia sono caratterizzati da una loro struttura, che oggi conosciamo anche nel dettaglio atomico. Ciò che però ancora non sappiamo fare è creare dei modelli che ci consentano di passare dalla descrizione del funzionamento a livello atomico agli effetti macroscopici che si possono misurare negli esperimenti. In questo sarà assolutamente necessario, secondo Bob, l'impiego dei matematici che potrebbero appassionarsi molto di più alle equazioni necessarie per tali descrizioni, di quanto possano fare i fisici, un po' impacciati di fronte alla consapevolezza che pochissimi atomi possano davvero fare enormi differenze. Resta però il contributo fondamentale dei biologi: sono loro a porre le domande e in questo campo porre la domanda giusta è spesso più importante che trovare la risposta giusta. Del resto, è un principio fondante del procedimento per tentativi ed errori: gli errori possono essere utili, ma la domanda è fondamentale.
Che siate matematici, biologi, ingegneri ma anche fisici (perché poi a noi fisici piacciono i sistemi che ci mettono a disagio), c'è davvero tanto da fare: la biofisica computazionale può (e anzi dovrebbe) intervenire a qualunque scala e fornire modelli e strumenti per comprendere i meravigliosi macchinari che siamo e come l'evoluzione ci ha portati fin qui.

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