domenica 11 giugno 2023

Come si costruisce l'eccellenza? Il caso del centro S3

L'eccellenza. Una di quelle parole tanto pronunciate in Italia, spesso a sproposito: scuola di eccellenza, università di eccellenza, dipartimenti di eccellenza, ricercatori di eccellenza. Dimenticando però la sua caratteristica fondamentale: l'eccellenza non è una qualità posseduta da qualcuno o qualcosa, come gli occhi azzurri o una bella vista sul lago. L'eccellenza non si compra, né si ordina sulle piattaforme commerciali, ma soprattutto l'eccellenza non si trapianta come troppe volte i ministeri italiani hanno pensato di fare, andando a caccia di italiani che si erano costruiti l'eccellenza all'estero e trapiantandoli in Italia, senza poi fornire loro gli adeguati finanziamenti per rimanere eccellenti, oppure (peggio ancora!) pretendendo l'eccellenza e lasciandoli marcire in dipartimenti fatiscenti. L'eccellenza, appunto, si costruisce, e si costruisce lavorando insieme e a lungo, perché nessuno può mai eccellere da solo, soprattutto sul piano scientifico. E' un pensiero che ho maturato negli anni e sul quale ho riflettuto molto in questo mese, per tre motivi: 1) l'immagine qui a lato è stata scelta per rappresentare l'assemblea di dipartimento che organizziamo tutti gli anni, di solito proprio a giugno, un momento di riflessione per tutti e quindi anche per me; 2) qualche settimana fa gli studenti hanno richiesto un incontro sul tema del dottorato, con una serie di domande che, a loro dire, volevano cercare di chiarire alcuni luoghi comuni molto diffusi sulla ricerca e, in particolare, sulla ricerca in Italia; 3) il mese scorso mi è arrivato un mail di invito per un mini-workshop che intendeva celebrare i 20 anni del centro S3 di Modena, un istituto del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche. 

Si trattava di un invito particolare perché, in realtà, non avevo mai interagito con il centro S3: lo conoscevo, certo, avevo letto alcuni loro lavori e più volte avevo incrociato qualcuno che era passato dal centro S3, ma non ho mai direttamente lavorato con nessuno di loro. E' stato quindi un po' bizzarro ricevere un invito a partecipare ad un workshop per celebrarne i 20 anni: di solito a questi workshop sono presenti solo i collaboratori più stretti. Inoltre mi chiedevano di presentare un poster, qualcosa che non facevo da più di una decina di anni, un po' perché gli impegni di lezioni e la scarsità di fondi non mi permettono di andare a troppe conferenze, un po' perché quando riesco ad andarci, in genere ho una presentazione orale oppure semplicemente ascolto. Ad ogni modo, ho deciso che era una buona occasione per andare a Modena, una città che avevo già visto altre tre volte e mi era sempre piaciuta molto, per allacciare qualche contatto sia con i ricercatori del centro S3, sia con l'Università di Modena e Reggio Emilia. 
Anzitutto, la storia: il centro S3 nasce nel 2003 (dopo qualche anno di lavoro) come centro di ricerca dell'Istituto Nazionale di Fisica della Materia (INFM), che oggi non esiste più. Il nome S3 sta per "nanoStructures and bioSystems at Surfaces", ovvero nanostrutture e biosistemi su superfici: tuttavia davvero pochi ricordano il nome, anche perché dopo qualche anno in cui ha funzionato come centro di ricerca dell'INFM, è stato assorbito all'interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche, CNR, di cui oggi costituisce una parte importante dell'Istituto di Nanoscienze. A parte questi dettagli amministrativi, però, il centro si occupa e continua ad occuparsi esattamente di quelle tre esse, ovvero Strutture e Sistemi sulle Superfici, ma non tutte le possibili strutture e tutti i possibili sistemi, bensì le strutture di dimensioni nanometriche (un milionesimo del metro) e i sistemi biologici. Per chi, come me, si occupa di biofisica computazionale, si tratta di un immenso campo da gioco e una risorsa importante. Non c'è però solo questo, c'è anche un modo, a mio parere molto caratteristico di quel territorio, di far fronte ai problemi. 
Perché i problemi sono arrivati. Dopo i primi anni di operatività del Centro S3, la decisione tuttora incomprensibile di chiudere l'INFM ha lasciato un po' tutti perplessi: personalmente ricordo ancora gli sguardi cupi e la tristezza di quei giorni, sembrava davvero che ci fosse un piano deliberato per distruggere tutto quello che in Italia funzionava nel campo della ricerca. Per la verità, è una sensazione che noi ricercatori italiani abbiamo spesso, troppo spesso. E a prescindere dal colore del governo, in tutta onestà. Tuttavia, il Centro S3 è andato avanti, con progetti in collaborazione con altri paesi europei, rimboccandosi le maniche e cercando una collocazione all'interno della nuova casa, ovvero il CNR. Da questo punto di vista, si tratta di un esempio importante per il nostro Paese: nonostante tutto, nonostante il Paese, nonostante i governi degli ultimi 20 anni (tutti, nessuno escluso), quando noi italiani ci mettiamo seriamente a lavorare insieme, riusciamo a costruire grandi cose, perché abbiamo alcune caratteristiche che ci rendono speciali: abbiamo inventiva, abbiamo preparazione, ma soprattutto abbiamo una grandissima capacità di sviluppare rapporti umani. Perché sono queste le caratteristiche che permettono di raggiungere l'eccellenza, persino in tempi così disgraziati come quelli che stiamo vivendo: testa bassa, spirito di squadra e progettualità.
Certo, in un workshop di un paio di giorni ho potuto soltanto vederne la parte buona. Sono sicurissimo che ci sono stati contrasti anche all'interno del centro, ma i contrasti sono inevitabili in qualunque organizzazione: il punto è quanto i contrasti possano bloccarne il funzionamento. Gestire i contrasti è una capacità umana e può essere coltivata solo con il confronto. Ecco, non è un caso che la percentuale di donne all'interno del Centro S3 sia più alta rispetto ad altri istituti simili in Italia (con il mio dipartimento purtroppo in pessime acque da questo punto di vista, nonostante l'impegno). E non è neanche un caso che all'interno del centro S3 la parte teorico-computazionale e la parte sperimentale non siano viste come due entità separate, ma come approcci complementari e assolutamente necessari non per se stessi, ma l'uno all'altro. Senza esperimento, non si fa scienza, ma senza l'interpretazione e la formalizzazione dei risultati, non si comprende la scienza. E la scienza, la più lunga avventura umana che si conosca, non può essere solo osservazione, ma è soprattutto comprensione. Reciproca, prima di tutto.

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